Mercoledì, 03 Febbraio 2021 09:45

Del governo dei tecnici e della fine della rappresentanza politica

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Una premessa è d'obbligo: il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, non aveva altra scelta; non poteva sciogliere le Camere nel pieno della seconda ondata pandemica, con la campagna vaccinale da mettere a punto e, soprattutto, con il Recovery Plan da presentare alla Commissione europea. 

Lo sapevano tutti: lo sapeva Matteo Renzi, il più abile nei giochi di Palazzo, che su questo ha scommesso per far fuori Giuseppe Conte

Ed era chiaro da mesi che, si fosse arrivati a rottura tra le forze della oramai ex maggioranza, Mattarella avrebbe affidato la guida del paese a Mario Draghi o, in alternativa, a Marta Cartabia. D'altra parte, da mesi c'era la sensazione che 'pezzi di potere', con agganci a destra e tra i centristi sedicenti progressisti, spingessero per affidare il governo del paese ad una personalità di comprovata fede europeista, ben visto dal mondo capitalistico, con un profilo riconosciuto a Bruxelles.

Mario Draghi, appunto.

L'ex presidente della Banca centrale europea ha accettato l'incarico con riserva: vedremo se troverà una maggioranza parlamentare; c'è da scommetterci, però, che ci riuscirà.

E' la morte della politica, spiegavano i notisti ieri sera; in realtà, è la morte della rappresentanza politica: ciò che sta accadendo in queste ore è squisitamente politico, una politica che, però, non risponde più a chi, in teoria, dovrebbe detenere la sovranità, il popolo, stando almeno alla Costituzione.

E' un processo di destrutturazione che viene da lontano, portato avanti per anni, e bisognerebbe risalire alla strategia della tensione, alla P2 di Licio Gelli e al suo 'piano di rinascita democratica' per capire che gran parte di quel progetto che consisteva, di fatto, nell'assorbimento degli apparati democratici della società italiana dentro le spire di un autoritarismo legale è stato realizzato, di riforma in riforma, dai diversi governi che si sono succeduti, fino all'ultimo referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari.

Il discorso ci porterebbe troppo lontano.

Basti dire che ciò si è accompagnato, in seguito alla caduta del Muro di Berlino e a Tangentopoli, con la discesa in campo nel 1994 di Silvio Berlusconi, alla fine del modello partitico novecentesco, il primo segnale di una disarticolazione dei corpi intermedi che ha portato, con gli anni, alla disintermediazione politica e all’affermarsi di un modello giacobino di democrazia immediata e centralizzata, favorito più di recente dal sistema dei mass media e dai social network.

Un modello che potremmo definire 'leaderistico'.

Con la scomparsa dei partiti, e il ristringimento degli spazi di esercizio democratico, è venuta meno la rappresentanza politica: il partito, nella sua accezione novecentesca, incarnava un universo valoriale chiaro, in cui gli iscritti si riconoscevano, in nome del quale delegavano il potere a chi, in questo modo, veniva legittimato ad imprimere contenuto al comando politico, dovendo rispondere direttamente di quella legittimazione.

Non è più così.

Oggi, di fatto, i partiti si sagomano e si conformano alla figura del leader, del capo; non sono i militanti che lo scelgono a rappresentarli, è il leader che li chiama a sé, andando a cercare un popolo di riferimento testando gli umori del paese con sondaggi d'opinione. E' un processo top down - come direbbero quelli bravi - dall'alto in basso; si offre un leader e soltanto dopo si trovano militanti ed elettori.

E' accaduto così con la discesa in campo di Silvio Berlusconi ma, se ci riflettete bene, è accaduto con la nascita del Movimento 5 Stelle che ha plasmato un mondo indistinto di militanti ed elettori sulla figura di Beppe Grillo, è accaduto persino con la deriva salviniana della Lega, è accaduto con Italia viva che si è strutturata sul suo leader, Matteo Renzi. Discorso a parte meriterebbero Fratelli d'Italia e Pd: il movimento guidato da Giorgia Meloni viene da una solida tradizione politica che, tra spaccature e divisioni, ha trovato un punto d'approdo in un partito che ha una identità culturale prima ancora che politica ma che pure, per emergere, ha avuto bisogno di un leader forte e riconoscibile; per ciò che attiene il Pd, dovremmo parlare piuttosto di fusione a freddo di tradizioni politiche diverse alla continua ricerca di una mediazione che si è sostanziata, però, e soltanto in alcuni momenti, intorno ad una leadership trainante, come fu quella di Renzi nel periodo della rottamazione.

Non è un caso che in questi giorni si parli di un partito di Giuseppe Conte.

Ciò che si intende dire è che i partiti, per come li conosciamo oggi, non rappresentano più un universo valoriale, culturale prima ancora che politico, non stimolano la partecipazione attiva, non producono pensiero politico e, di riflesso, azione politica, dai territori e fino al Governo, ma si plasmano intorno alle figure dei leader, ai consensi del momento, in forma di delega rappresentativa personale e non collettiva, immediata e diretta, che si costruisce sulle dirette facebook e non più sulle riunioni degli organi partitici, e che, al contrario di ciò che sembra, cancella il senso ultimo della delega di sovranità così come sancita dalla Costituzione, e cioé quello dell'esercizio del potere in nome di valori che tenevano insieme una comunità di elettori.

Si privilegia la dimensione verticale rispetto a quella orizzontale che, a valle, rende il panorama politico continuamente mutevole.

Venuto meno il senso della rappresentanza collettiva, è venuta meno la capacità dei partiti di selezionare la classe dirigente - ricorderete che Berlusconi scelse i candidati di Forza Italia, nel '94, attraverso provini video tra i dipendenti di Publitalia: siamo arrivati, 25 anni dopo, alla piattaforma Rousseau - è venuta meno la capacità di produrre pensiero politico e, dunque, proposta politica, si è infine delegato il potere a capibastone che agiscono in nome di un interesse personale e non collettivo.

Ciò che abbiamo visto accadere, di nuovo, in questi giorni.

Non ci si è confrontati su visioni e prospettive, su temi concreti; non abbiamo assistito al processo di mediazione tra pensieri politici, che è il senso della democrazia, bensì a conflitti personali, a guerre tra bande che attraversano i partiti e le coalizioni. Una classe dirigente priva di pensiero politico collettivo, di riferimenti valoriali forti, incapace per questo di dare una risposta alla crisi drammatica che sta attraversando il paese e che di nuovo, come era già accaduto 10 anni fa, all'epoca della crisi economica, ha dovuto affidarsi ai tecnici, al "governo dei migliori" come l'ha definito nei giorni scorsi Berlusconi.

Una forma di 'aristocrazia' che rende ancora più evidente la fine della rappresentanza politica; e torniamo così al punto di partenza.

La classe politica non risponde più ai partiti, agli interessi collettivi di una comunità di cui dovrebbe essere espressione - non è più delegata, insomma, ad imprimere contenuto al comando politico, a realizzare una visione - bensì a gruppi di potere che decidono delle sorti del paese lontano dai luoghi dell'esercizio democratico. E che ha pensato fosse arrivato il momento di affidarsi ad un governo tecnico per gestire la partita del Recovery Plan, con la connivenza di gran parte del mondo politico sancendo, di fatto, il fallimento della terza repubblica.

Dinanzi allo stallo provocato in un momento così drammatico, Mattarella non ha potuto far altro che esercitare il potere e il dovere di supplenza.

Ma ciò non determinerà altro che un aumento della sfiducia degli italiani nelle istituzioni, un allontanamento ancora più marcato tra cittadini e rappresentanti, assecondando il vento populista e sovranista che, da domani, soffierà con ancora maggiore intensità sul nostro paese. E d'altra parte, i tecnici non salveranno il paese: i salvatori della Patria non hanno mai avuto successo; senza una classe dirigente rinnovata, senza una vera politica che riparta proprio dai corpi intermedi, l'Italia non si salverà.

Bisogna ripartire dal basso, dunque, dai territori, alimentando partecipazione, dibattito, confronto e produzione politica che sola determina la possibilità di una delega vera di rappresentanza; è oramai chiaro che i leader imposti dall'alto, il richiamo a presunti poteri taumaturgici che possano risolvere i problemi non attraverso l'elaborazione orizzontale di una visione culturale e politica bensì imponendo la leadership in modo verticistico, hanno vita breve. 

Ultima modifica il Mercoledì, 03 Febbraio 2021 16:12

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