“Goodbye Lenin", film del 2003 di Wolfgang Becker, è uno dei maggiori successi di sempre del cinema tedesco.
Ispirato al fenomeno post-riunificazione dell'Ostalgie, racconta la storia di Christiane e dei figli Alex e Ariane: la sera del 7 ottobre 1989, la donna è tra gli invitati al ricevimento ufficiale per il quarantesimo anniversario della DDR; nello stesso momento centinaia di persone, tra cui anche suo figlio Alex, scendono in strada durante una delle sempre più frequenti manifestazioni di protesta del popolo, oramai insofferente verso il logoro regime socialista che tiene le redini del Paese. Nei tumulti che seguono, la donna scorge proprio Alex pestato e arrestato dalla polizia: a quella vista, Christiane viene colpita da un infarto ed entra in coma.
La donna si risveglia dopo otto mesi, non immaginando che in questo breve lasso di tempo il mondo attorno a lei è profondamente cambiato: il Muro è caduto spazzando via quarant'anni di socialismo, e le due Germanie si stanno avviando a passo spedito verso la riunificazione.
Per evitarle il contraccolpo psicologico, ritenuto fatale dai medici, Alex — confidando nel fatto che la madre dovesse restare a riposo per molto tempo, e aiutato dalla riluttante sorella — "preserva" la normalità della DDR all'interno di una stanza del proprio appartamento: recupera cimeli, prodotti e giornali della Germania Est, realizza improbabili ma credibili telegiornali della televisione orientale per tenere aggiornata la madre, fino a coinvolgere sempre più amici e vicini nella lunga pantomima, sperando che la donna non scopra mai la verità.
Ora immaginate di traslare la storia di Christiane ai giorni nostri.
La donna vive a Roma, non a Berlino; è il 2021, entra in coma per un incidente il pomeriggio di martedì 26 gennaio; il governo 'Conte bis' sta per cadere: Matteo Renzi ha aperto la crisi il 13 gennaio ritirando le ministre di Italia viva e, da allora, si sono susseguite trattative convulse che, tuttavia, non hanno sciolto i nodi. Il senatore semplice di Rignano spiega che "non è una questione di poltrone ma di programmi": chiede l'attivazione del Mes sanitario, lo sblocco delle infrastrutture con la realizzazione di alcune grandi opere, boccia la riforma della giustizia cui sta lavorando il ministro Bonafede, la struttura commissariale di Arcuri e, più in generale, chiede di riscrivere daccapo il Recovery plan. Dai banchi delle opposizioni, le destre attaccano chiedendo il ritorno alle urne. Pd e Movimento 5 Stelle salgono sulle barricate: governo Conte ter, e mai più con Renzi, oppure l'unica alternativa è lo scioglimento delle Camere.
Christiane si sveglia dal coma la mattina dell'8 febbraio: sono passati 13 giorni e, come nella Berlino del novembre 1989, in questo breve lasso di tempo il mondo attorno a lei è profondamente cambiato.
Sta per partire il secondo giro di consultazioni del premier incaricato, Mario Draghi, che ha accettato con riserva la chiamata del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, per formare un nuovo governo di responsabilità nazionale.
A Draghi è arrivato il sostegno della vecchia maggioranza formata da Pd, Leu, Movimento 5 Stelle e Italia viva, seppure con alcuni distinguo, dei 'responsabili europeisti che hanno formato un nuovo gruppo parlamentare, di Azione di Calenda e Cambiamo di Toti, di Forza Italia e persino della Lega. Tutti pronti a salire sul carro.
Pd e M5S hanno deciso di fare a meno di Conte che, tra l'altro, è stato 'invitato' a dare la sua benedizione al nuovo esecutivo; è caduto anche il veto su Matteo Renzi. Da parte sua, il senatore semplice di Rignano ha rinunciato a qualsiasi richiesta: non si parla più di Mes, di grandi opere, di Recovery plan. C'è Draghi, il sostegno è incondizionato; i temi, le idee, così importanti fino a 10 giorni prima, sono stati chiusi in un cassetto. Forza Italia e i moderati di centrodestra non aspettavano altro e sono accorsi alla corte dell'economista: la richiesta di elezioni anticipate è dimenticata.
La Lega di Matteo Salvini ha fatto un'inversione di 360 gradi, come nulla fosse. Il leader del Carroccio che, fino a qualche anno fa, accusava Draghi di essere "complice di chi sta massacrando la nostra economia, il nostro lavoro, i nostri giovani, le nostre speranze", indicandolo come esponente di spicco della "folle burocrazia europea", ora è pronto a votare la fiducia ad un suo governo; se fino a qualche ora prima Salvini chiedeva le elezioni - "continua il vergognoso teatrino sulla pelle di 60 milioni di italiani. Siamo sicuri che il Capo dello Stato non permetterà altre perdite di tempo: la via maestra sono le elezioni" - ora è deciso a stare da protagonista, con suoi ministri, dentro l'esecutivo guidato dall'ex presidente della Bce. Se ad una prima apertura era seguito un diktat - "Draghi scelga tra noi e Grillo" - ora il Carroccio invita tutte le forze politiche a far parte del governo, anche il Movimento 5 Stelle, quello dei "no a tutto" che aveva spinto Salvini a mandare in soffitta il governo 'Conte 1', persino il Pd, "il partito di Bibbiano".
Come per Renzi, le idee del Carroccio sono state chiuse in soffitta: Salvini è pronto a sostenere il governo Draghi e non pone condizioni: "Il bene dell’Italia, il lavoro, la salute, la sicurezza e il futuro del nostro Paese vengono prima di tutto, prima di interessi o vantaggi personali e di partito"; non c'è più traccia della richiesta di tagliare le tasse, di chiudere le frontiere, della flat tax al 15%, della Tav e della pace fiscale.
E i dem sono pronti a stare in un governo con Salvini, sottolineando la sua virata su "posizioni europeiste".
Ad evitare il contraccolpo psicologico alla povera Christiane dovranno pensarci Alex e Ariane.
Viene da chiedersi, però: stante l'appello del Presidente della Repubblica "a tutte le forze politiche presenti in Parlamento" affinché "conferiscano la fiducia a un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica", dovrà pure esserci una differenza tra votare la fiducia in un momento di crisi straordinaria e far parte di una maggioranza di governo. O no?
Timidamente, vorremmo far notare che non è ancora chiaro il programma di un futuro esecutivo Draghi: il problema non è spendere le risorse del Recovery plan, ma per cosa si spendono e per chi, con quale idea di Paese, di futuro. Come possono sedere in uno stesso governo partiti che chiedono la flat tax al 15% e partiti che difendono la progressività della tassazione? E' soltanto un esempio, tra i tanti possibili.
Più in generale: come potranno convivere pensiero sovranista e pensiero progressista nel momento in cui c'è da disegnare il futuro dell'Italia?
Se ha ancora senso, in questo paese, parlare di destra e sinistra - e noi siamo convinti che la distinzione tra le parti sia più attuale che mai - se ha ancora senso parlare di politica, in ultima istanza, allora Draghi dovrà definire un perimetro per la sua maggioranza - e i partiti dovranno chiedergli di farlo - che esprima una idea di Paese prima ancora che un programma di governo; altrimenti, che si affidi l'esecutivo a profili squisitamente tecnici col commissariamento definitivo del sistema partitico.
Sarebbe davvero difficile spiegare a Christiane come si sia potuti arrivare ad un governo con esponenti della Lega e del Pd, di Forza Italia, di Leu e del Movimento 5 Stelle; e sarebbe davvero difficile per i partiti recuperare credibilità di idee e valori agli occhi dei loro elettori.