La comunità di S. Patrignano nasce dall’intuizione del suo fondatore, Vincenzo Muccioli, istrionico e vulcanico romagnolo, nato come imprenditore del turismo e riconvertitosi al sociale, amante di misteri e magia, frequentatore di abissi, personali e sociali.
La bella e documentata serie andata in onda su Netlix, raccontandoci la storia della comunità di San Patrignano ci precipita in un’altra Italia, un’Italia ormai scomparsa; sono passati 40 anni ma di quel tempo non c’è più nulla.
C’erano altri orizzonti culturali, sopravvivevano le ideologie, malconce ma ancora influenti. L’assunzione di droghe era associata a scelte politiche e visioni del mondo, la droga della ribellione e dei rivoluzionari, la droga dello sballo e dei ricchi. In pochissimi anni l’uso di sostanze precipita nel tunnel dell’abuso, della tossicodipendenza; arriva l’HIV, il mondo cambia volto e delle rivoluzioni sognate rimane il dolore della perdita.
Vincenzo Muccioli apre le porte del suo semi-diruto casale ai dannati della dipendenza; lo Stato non ancora si organizza per farvi fronte, le famiglie scivolano in un incubo: figli morti di overdose, trasformati in ladri, piccoli criminali, posseduti dalle sostanze, ingestibili, infognati.
A San Patrignano vengono accolti decine di ragazzi e ragazze sbandati, perduti, non più padroni delle proprie vite e soprattutto ripudiati dalla società. Muccioli teorizza e pratica l’isolamento sociale, il distanziamento dai luoghi del consumo, dalle città, dalle comitive devianti. I tossicodipendenti vengono accolti, amati, visti, impiegati in lavori agricoli che strutturano la giornata e danno un senso fisico, materiale, psicologico alla propria esistenza in declino.
Siamo nel 1978.
L’esempio di Muccioli e del modello San Patrignano, che modello ancora non è, viene seguito da altri. Nel 1979 in Umbria nasce la prima Comunità Incontro di Don Pierino Gelmini, in breve tempo sorgeranno in tutta Italia sedi distaccate; nella splendida abbazia di San Giovanni a Lucoli, per tanti anni verrà ospitata una comunità Incontro di medie dimensioni con decine di giovani e adulti in trattamento, in clausura. Don Gelmini aggiunge all’accoglienza “totale” e al lavoro agricolo, già praticati a San Patrignano, la preghiera e l’educazione religiosa.
Nel 1978, coincidenza curiosa, viene promulgata la “Legge Basaglia”, che chiude i manicomi ritenuti dei luoghi di reclusione, disumani e per nulla terapeutici. Gli ospiti dei manicomi non vengono più rappresentati come dei devianti, criminali di fatto o potenziali, da rinchiudere, ma dei malati o addirittura, fenologicamente, delle persone con una diversa modalità di essere al mondo.
I tossicodipendenti subiscono uno stigma diverso, vengono considerati e trattati come viziosi immorali, delinquenti e pericolosi. Ci vorranno decenni affinché anche i tossicodipendenti possano considerarsi dei malati, da curare, affetti da una malattia “cronica e incurabile, progressiva se non si interviene” (approccio Minnesota e dei 12 passi).
La tossicomania non è il problema ma è la risposta ad un problema; pertanto, il tossicodipendente verrà considerato non più un deviante ma una persona bisognosa di cure. Ci vorranno però decenni per affermare questo cambio di rappresentazione, peraltro socialmente ancora oggi non totalmente condivisa.
Muccioli e Don Gelmini aprono le porte a ragazzi senza più casa e speranza, li accolgono, li vedono. Nella docufilm uno degli ospiti racconta di Muccioli: “tutte le mattine si affacciava dal balcone e, anche se eravamo tanti, ci guardava negli occhi a uno a uno”. Non erano più reietti ma accolti, capiti. Psicoanaliticamente, Vincenzo Muccioli - forse inconsapevolmente - praticava il “contenimento emotivo”, “l’holding” di winnicottiana memoria, attraverso l’empatia e la presenza cercava di riparare antiche ferite. Emblematico il frammento in cui si vede il fondatore di San Patrignano andare a riprendere una ragazza fuggita, alla quale descriverà il suo futuro prossimo, qualora decidesse di non tornare a San Patrignano: “finirai in una stanza di albergo con un signorotto a fare sesso senza neanche accorgertene, per soldi”.
Un atteggiamento empatico e accudente.
Così Vincenzo Muccioli curava e recuperava centinaia di ragazzi e ragazze.
Il perturbante però si mostra in una duplice veste: usciti dalla comunità, da tutte le comunità, i ragazzi tornano a “farsi”. Le percentuali delle ricadute sono altissime. Muccioli lo sa e per questo impedisce ai residenti di andarsene, ogni forma di ribellione o di libera interruzione del percorso non viene accettata. E qui si mostra il secondo aspetto perturbante: i gruppi chiusi, anche se numerosi, che si fondano sulla dipendenza (!) da un leader carismatico e sull’ostilità verso gli altri, in questo caso il mondo esterno, finiscono per degenerare. Si manifestano comportamenti opachi, violenti, mortificanti.
Le angherie e i soprusi che mostra il docufilm non sono solo momenti di contenzione, come raccontano i sostenitori di Muccioli, ma sono atti di umiliazione e mortificazione. I “fuggiaschi” non sono richiusi in stanze di contenzione, pratica di per sé comunque aggressiva, ma vengono legati nel canile o nella piccionaia, al freddo, nel letame. Se non obbedisci sarai distrutto, questo è il messaggio. Ogni volta che si mortifica il corpo, che si violenta, si scava una ferita profonda nella psiche della persona, alla sua identità, alla suo essere soggettivo. Per questo, le evidenti violenze usate a S. Patrignano rappresentano un violazione dei diritti umani e la giustificazione dello scapaccione educativo diventa grottesca, perché non si tratta di scapaccione ma di tortura e segregazione che di educativo non hanno nulla.
Certo colpisce ascoltare il geniale Paolo Villaggio sostenere, politicamente, che lì dove i “padri progressisti” non hanno osato, ci pensa ora Muccioli.
Quando si frequenta il limite poi è facile cadere oltre il consentito. Muccioli diviene il padrone delle vite dei ragazzi, decide chi esce e chi entra, chi si sposa e chi no, chi può avere figli e chi non può averli. Decide addirittura se e quando comunicare una diagnosi di HIV, comunicazione che farà ad un utente con anni di ritardo, mettendo a rischio decine di persone.
Il resto della storia rientra perfettamente negli ingranaggi della società dello spettacolo, così come aveva profetizzato Guy Debord nel saggio “La Società dello Spettacolo” del 1967. San Patrignano diventa una merce da vendere, comprare, possedere, mostrare. I politici chiudono e aprono le campagne elettorali tra i tossicodipendenti, abitudine che andrà avanti per decenni, da Craxi a Gasparri, da Fini ai Moratti, questi ultimi legati, troppo legati (negli anni daranno al fondatore della comunità somme di denaro impressionanti) alla comunità.
Muccioli diviene un feticcio, amato, odiato, il suo narcisismo, già robusto, esplode! La comunità è lasciata in mano a cacicchi violenti e spesso disturbati, il numero degli utenti arriva a 2000, il giro di denaro è impressionante, cavalli da 300 milioni nelle scuderie.
Fino a quando questo impero, come sempre accade, viene sgretolato dal vizio, dal buio, dalla violenza, dai segreti. Muccioli finisce sotto processo, nega di conoscere fatti delittuosi, poi ci ripensa e sostiene di aver negato per difendere i “suoi” ragazzi. Qualche anno dopo una morte prematura lo colpirà.
Trent’anni dopo tutto è cambiato: la clinica delle tossicodipendenze, la struttura delle comunità (dal modello del Gruppo Abele di Torino, all’accoglienza con riduzione del danno di Don Gallo a Genova, dall’avvento dei centri diurni ai gruppi dei narcotici anonimi), l’impatto sociale e la diffusione delle droghe. La diffusione e il consumo.
Questo punto esprime il senso di una tragedia contemporanea. Il consumo è diffusissimo, la cocaina ormai è una sostanza di quotidiana assunzione come il caffè, costa poco, si trova facilmente. Non rappresenta più un consumo di classe, ma è per tutti. Ricchi, poveri, manager, professori, studenti, artigiani, disoccupati, tutti consumano.
Un grande parte di incidenti e aggressioni sono causati o compiuti da persone che hanno assunto sostanze, per lo più cocaina. Non esiste neanche più in luogo privilegiato del consumo, dai ministeri ai piccolissimi borghi spopolati delle nostre montagne la presenza della cocaina è ovunque. Nei nostri borghi, dove purtroppo e colpevolmente mancano servizi di ogni tipo, la sostanza puoi trovarla.
Parlando di disagio giovanile nei piccoli centri il tema ricorrente è all’assunzione di cocaina. Fa impressione pensare che in luoghi remoti, piccoli, si ricorra sistematicamente all’assunzione di questa sostanza e che questa assunzione non è finalizzato allo sballo ma, semplicemente e drammaticamente, ad affrontare la giornata, impegnativa, noiosa, piena o vuota non fa differenza.
Chiediamoci come mai si sente questo bisogno di consumo. Sicuramente le idee dominanti della nostra società sono “tossiche”: il sentirsi potenti, invincibili, apparire disinibiti e sicuri, mai fragili, sempre “up”. Questi non sono solo gli effetti dell’assunzione di cocaina ma sono le idee dominanti del tempo, i modelli vincenti, richiesti, a cui tutti aneliamo. Non sono i singoli individui ad essere tossici ma forse è la società ad esserlo e, come sempre accade di fronte al nostro lato oscuro, fingiamo di non vederlo.
Abbiamo impegnato mesi a dividerci se far attraccare nei nostri porti uomini e donne in sofferenza, bloccandoli per giorni sulle navi, nel mentre, a fianco, sbarcavano quintali di sostanze stupefacenti, nel sostanziale disinteresse dello Stato.