Siamo arrivati alla stretta finale sulla realizzazione degli impianti di sci dei Campi della Magnola. Il comprensorio sciistico di Ovindoli, e più in generale delle Rocche, rappresenta senza dubbio un fattore di sussistenza economica fondamentale per quell’altipiano, al pari del turismo estivo e naturalistico.
Non c’è bacino sciistico in Abruzzo, come del resto in Italia, che non sia interessato da progetti di ampliamento che prevedono nuove infrastrutture, nuovi collegamenti, nuove edificazioni in ambienti molto spesso protetti in quanto di grande pregio, sensibilità e fragilità. Questi progetti a volte vengono finanziati, altre volte rimangono sulla carta, in entrambi i casi suscitano infinite polemiche e feroci contrapposizioni tra chi ritiene insostenibili i costi ambientali ed economici, anche in prospettiva futura, in considerazione dei cambiamenti climatici e delle mutate condizioni economiche della popolazione, e chi invece ritiene questi interventi un impareggiabile occasione di crescita economica da realizzare a qualunque costo, economico ed ambientale.
Nel caso specifico, la zona interessata è ricompresa in parte nella ZPS, Zona di Protezione Speciale IT 7110130, proprio per l’alto valore ambientale dei luoghi e, in base al progetto, sarà profondamente trasformata.
Le criticità maggiori riguardono il disboscamento che andrà in parte effettuato in quanto, al contrario del bacino sciistico del Gran Sasso, gli impianti di Ovindoli e Campo Felice si snodano in un ambito boschivo; dalla cresta del Sirente, guardando verso la Magnola, e dalla cima di Monte Ocre, guardando verso Campo Felice, si può osservare il grave impatto sull’intero complesso boschivo. Questo intervento, accompagnato da quello di sbancamento e movimento terra per la creazione delle piste e per collocazione degli impianti, attraverso l’utilizzo di mezzi meccanici, produrrà una compromissione dell’ecosistema presente di alto pregio che avrà ripercussioni su specie faunistiche a rischio di estinzione come l’orso bruno marsicano e la vipera orsini. Questa alterazione è di tutta evidenza, in quanto non si può certo ritenere che il corridoio ecologico per l’orso resti tale in caso di realizzazione di infrastrutture così pesanti che richiameranno migliaia di persone e, soprattutto, andranno ad alterare l’habitat necessario alla presenza di questa specie, come di altre.
Un’ulteriore criticità, valida in tutti i progetti di ampliamento, attiene la vita di questi impianti in relazione ai costi altissimi sia per la realizzazione che per la manutenzione e in relazione ai cambiamenti climatici in atto che comportano l’innalzamento dello zero termico e la conseguente difficoltà ad avere l’innevamento necessario.
Ora, soffermandoci su questo ultimo aspetto, va sottolineato con forza come la soluzione prospettata per far fronte alla carenza di neve, cioè l’innevamento artificiale, rappresenti una cura peggiore della malattia, in quanto ha costi economici ed ambientali esorbitanti, che vanno a contribuire significativamente alla distruzione di risorse energetiche e naturali.
Vediamo alcuni dati provenienti da diverse fonti, ENEA e WWF, ma sostanzialmente convergenti:
- ogni anno vengono impiegati 95 milioni di metri cubi acqua e 600 gigawattore di energia;
- il costo economico è di 136000 euro per ettaro di pista;
- un metro cubo di neve artificiale costa 3 euro e, al tal proposito, Funivie Campiglio nel 2015 comunicò che aveva speso un milione di euro per produrre 400000 metri cubi di neve artificiale, impiegando 270 milioni di litri di acqua per produrre dai 500 a 675 mila metri cubi di neve;
- un metro cubo di neve artificiale pesa 500/600 kg, quella naturale 250/300, provocando una significativa alterazione sul terreno che compromette attraverso la mancata areazione e il danneggiamento alle radici, la crescita vegetale;
- per la produzione di neve artificiale è necessario scavare degli invasi e, in taluni casi, è previsto l’utilizzo di prodotti chimici.
Si evince con chiarezza come l’innevamento artificiale abbia costi economici ed ambientali alla lunga insostenibili: pensare di utilizzarlo per fronteggiare le difficoltà provenienti dal cambiamento climatico, provocato anche dall’uso sconsiderato delle risorse naturali, è semplicemente folle e rappresenta emblematicamente il comportamento suicida dell’uomo moderno che pretende, novello Icaro, di sfidare ogni limite!
Tornando al progetto dei Campi della Magnola e al territorio del Parco Velino/Sirente e delle Riserve limitrofe, non va taciuto che tale luogo di grande bellezza e pregio ambientale da anni è sottoposto ad attacchi antropici, espansione edilizia, arroccamenti, riperimetrazioni continue dei confini del Parco. Solo qualche anno fa dopo una lunga battaglia legale e amministrativa, il TAR bocciò la delibera che autorizzava una inutile e massiccia espansione edilizia a Rocca di Mezzo; progetti di collegamenti funiviari sono presenti su tutto il territorio, uno per tutti quello che prevede il collegamento con Campo Felice passando per Pezza.
In ultimo, ma non per importanza, va segnalata la continua riperimetrazione del Parco, ve ne sono già state tre e si prepara la quarta, dopo il fallimento di due tentativi portati avanti dalla Regione a presidenza Chiodi e poi D’Alfonso. La proposta di riduzione che a breve arriverà in Consiglio Regionale ed avrà il sostegno anche della coalizione guidata da Legnini riguarderà i territori della Valle Subequana, la parte bassa del Parco, ed è fortemente sostenuta da alcuni sindaci vicini al centrosinistra quando governava il centrosinistra ed ora in zona Lega/FDI, fedeli al motto che in Italia si corre in soccorso del vincitore!
La ragione ufficiale che spinge i sindaci sarebbe legata alle lentezze burocratiche dovute ai ritardi degli uffici del Parco nel rilasciare autorizzazioni e permessi: più in generale, ci sarebbe una forte insofferenza verso vincoli e restrizioni. La realtà ci dice anche che gli amministratori dei piccoli paesi spesso sono condizionati da gruppi di cacciatori (in un comune come quelli della Valle Subequana si viene eletti con 15/20 voti…) e di piccoli imprenditori edili che vorrebbero le “mani libere il più possibile”; è chiaro che la presenza del Parco crea dei fastidi.
Va aggiunto che le Amministrazioni regionali degli ultimi decenni non hanno investito su questo Parco e sul territorio nel quale ricade, non dando la possibilità al Parco di funzionare e mettere in campo progetti; pertanto, è sembrato un ente che impone solo divieti senza attuare politiche di valorizzazione del territorio e di sostegno alla comunità. Il Parco Velino/Sirente da troppi anni è commissariato ed ha una disponibilità economica da soglia di sopravvivenza: questa situazione espone gli amministratori locali - a volte, a dire il vero, non di grandissima qualità - alle pressioni di piccoli e grandi gruppi di potere che facilmente condizionano le amministrazioni.
Due evidenze però saltano aglio occhi:
- il Parco non andrebbe ristretto ma fatto funzionare con fondi e governance adeguati;
- della tutela e della conservazione degli ecosistemi di quel territorio rischia di rimanere ben poco se nelle zone alte si continuano a costruire arroccamenti, con quello che comportano, e nelle zone basse si cancella il parco e di conseguenza le norme di conservazione.
La strada da percorrere esiste ed è quella attuata in alcuni territori protetti che riescono a coniugare tutela, turismo regolato e sopravvivenza delle comunità locali, PNALM docet!
Se le risorse venissero destinate allo sviluppo di un turismo sostenibile realmente, naturalistico, culturale, ambientale in tutte le sue declinazioni, mantenendo e curando la parte impiantistica senza ampliarla, il territorio, e soprattutto quello della Valle Subequana, tornerebbe ad avere possibilità di sopravvivenza. La creazione di comunità e luoghi e non di centri commerciali a cielo aperto, cioè non-luoghi, realizza le condizioni per far vivere le aree interne, mettendo al primo posto una politica dei servizi che consenta a chi vive in questi spazi meravigliosi di avere servizi sociali, culturali, sanitari, scolastici e di avere collegamenti efficienti attraverso azioni di miglioramento e adeguamento e non certo grandi opere che andrebbero a distruggere il paesaggio.
Rodolphe Christin in un illuminante e piccolo saggio, Turismo di massa e usura del mondo, ci descrive come il turismo di massa e la turistizzazione forzata di luoghi e tempi di vita finisca per omologare territori, spazi fisici e psichici e stili di vita, ponendosi al servizio di un unico scopo: il consumo. In questo modo ogni cosa diventa oggetto, anche la natura con i suoi luoghi e abitanti, finendo per far perdere senso ed unicità proprio ai luoghi e ai territori; è restituendo senso ed unicità che si dà una possibilità di vita, questo vale per gli individui, per le comunità, per i luoghi.
Se tutto è così chiaro come mai la quasi totalità degli amministratori sostiene convintamente questi interventi? La risposta può essere racchiusa in 5 clusters:
- i portatori di interesse hanno un discreto potere economico ed elettorale, molto forte nella zona alpina abbastanza importante in quella appenninica;
- il bacino di persone interessate è di discrete dimensioni e rappresenta un serbatoio elettorale non indifferente;
- i finanziamenti per la realizzazione di queste opere il più delle volte sono pubblici e pertanto non generano preoccupazione sul loro destino, se saranno sciupati o redditizi;
- il miraggio di un “circo bianco” modello Vacanze di Natale dei Vanzina crea nell’immaginario collettivo un desiderio e una considerazione positiva che si accompagna alla promessa di grandi possibilità occupazionali;
- il discorso ecologista essendo venato di preoccupazione per il futuro evoca passioni e sensazioni tristi e per questo suscita evitamento ed antipatia in una società alla perenne ricerca di anestetici, droghe, psicofarmaci, turismo di massa, social, ecc ecc…
Come insegna Berlusconi, il consenso si ottiene attivando desideri illimitati di grandezza, ricchezza e di godimento!
Una maschera però deve cadere in un momento storico in cui il discorso ecologico ed ecologista diviene centrale ed emergenziale: gli interventi infrastrutturali di cui si parla hanno costi e benefici di natura diversa ma certo non si possono definire sostenibili; i costi ambientali dell’innevamento artificiale e l’alterazione degli ecosistemi in modo così profondo di sostenibile non hanno nulla!
La cattiva abitudine di inserire il termine “sostenibile” vicino ad interventi ad alto impatto ricorda la dicitura “guerra umanitaria” o “operazioni di polizia internazionale” dove per evitare di evocare ciò che la guerra è, ovvero distruzione e morte, venivano introdotte parole che richiamavano valori di umanità e giustizia. Una manipolazione in piena regola.
In conclusione, sarebbe opportuno per coerenza ed esempio nei confronti delle giovani generazioni che i tanti sostenitori di questi interventi evitino di manifestare il venerdì contro i cambiamenti climatici e la distruzione del Pianeta per poi il sabato battersi convintamente per realizzare arroccamenti, innevamenti artificiali, riduzioni delle aree protette, espansioni edilizie e quanto altro compromette e colpisce irrimediabilmente l’ambiente. Ognuno si assuma le proprie responsabilità.
Enrico Perilli, segreteria regionale Sinistra Italiana