Ha vinto Luciano D'Alfonso. Così come Renzi a livello nazionale, nella campagna elettorale più emozionale della breve storia repubblicana, l'ex sindaco di Pescara ha saputo interpretare al meglio le paure e la rabbia degli abruzzesi incarnando speranza e ottimismo, tra metafore e arguti sottintesi, e disegnando a suon di citazioni il quadro di una Regione nuova. Che nuova non sarà affatto.
Con D’Alfonso - così come con Renzi - hanno vinto i poteri forti, gli imprenditori e le banche. E il Partito Democratico ha d'improvviso preso forma: un grande partito centrista, d'opinione com'era la Forza Italia di Silvio Berlusconi. Di potere.
Luciano ha saputo convincere gli elettori abruzzesi, cancellando d'un colpo i guai giudiziari, gli scandali e i processi, i bancomat immacolati e la vita da sindaco finanziata da zie e famiglie di amici dai cognomi ingombranti. E così, seppur in attesa del secondo grado di giudizio del processo Housework - assolto in primo grado con altri 23 imputati (imprenditori, politici, tecnici comunali e i fratelli Carlo e Alfonso Toto), il pm Gennaro Varone ha giudicato troppo generosa l'assoluzione e chiesto il secondo grado -, è divenuto il nuovo Presidente della Regione Abruzzo. A compimento di un percorso politico iniziato due anni fa, che ha scavalcato - per poi stravolgere - le dinamiche interne del Partito Democratico.
Ha ottenuto un risultato straordinario e difficilmente pronosticabile alla vigilia, nelle dimensioni almeno. Ha vinto con il 46,3% dei voti, 117mila in più dello sfidante di centrodestra, l'uscente Gianni Chiodi, che si è attestato al 29,2%. Ha strappato consenso anche alla candidata del Movimento 5 Stelle, Sara Marcozzi, che ha ottenuto il 21,3%. Otto punti in meno rispetto ai voti conquistati dai 'pentastellati' alle Europee.
Effetto D'Alfonso, senza dubbio: il camion da preferenze che ha allestito, otto liste e 238 candidati consiglieri, ha semplicemente travolto gli avversari. Basta leggere i numeri, per capire: il Partito Democratico, alle Regionali, ha ottenuto poco più del 25%: ben quindici punti sotto il clamoroso exploit delle Europee a livello nazionale, sette punti sotto la media regionale. Erosi i consensi dei partitini che hanno sostenuto la coalizione - Sel (2,93%), Centro Democratico (2,53%), Idv (1,69%), Psi (1,73%) - a far la differenza hanno pensato la lista civica "Regione Facile" e il neonato "Abruzzo Civico" che insieme hanno ottenuto quasi l'11% delle preferenze. Guarda un po', proprio le liste che hanno accolto alcuni 'campioni di consenso', transfughi del centrodestra. E che disegnano la nuova fisionomia del partito, centrista appunto.
Effetto D'Alfonso. Che ha trovato nella provincia dell'Aquila uno straordinario sostegno: il nuovo presidente ha ottenuto infatti il 53,4% dei voti, dieci punti in più rispetto ai voti ottenuti nella provincia di Pescara. Merito di candidature importanti, certo. Merito anche del Pd aquilano però, che si è battuto - isolato dal resto del partito che è parso sciogliersi a livello regionale per rincorrere il camion D'Alfonso e sistemare qualche poltrona - perché L'Aquila tornasse al centro degli equilibri politici. Con risultati al di là delle aspettative, di nuovo nelle dimensioni: il candidato consigliere Pierpaolo Pietrucci ha conquistato più di 7mila preferenze. E' tra i più votati in Abruzzo. Anzi, a far di proporzione tra elettori e voti ottenuti, forse è il più votato in assoluto.
La giovane classe dirigente del partito aquilano ha difeso fino in fondo le primarie, ha sostenuto Pietrucci al di là delle resistenze di alcuni big del partito - sembra un secolo fa, è invece passato meno di un anno dal siluramento di Pietrucci da capo di gabinetto e il sindaco, oggi, festeggia con lui l'elezione a consigliere regionale -, e nonostante le scelte di D'Alfonso che ha imbarcato candidature scomodissime a livello locale (Anastasio, Nusca, Pandolfi, Verini, Berardinetti e non solo), ha creduto nella candidatura, ottenendo un risultato destinato a modificare gli equilibri interni. In provincia, certamente. In regione, più in generale. E' alle porte un Congresso regionale importante, e la dirigenza aquilana è intenzionata a far pesare i voti ottenuti. E molto si muoverà anche a livello provinciale, ha assicurato Fabio Ranieri. "Sono successe cose strane, andranno chiarite", ha spiegato. E' evidente che l'elezione di Andrea Gerosolimo ha scatenato più di un mal di pancia.
Il Partito Democratico aquilano ha vinto, dunque. Non c'è dubbio. E D'Alfonso dovrà tenerne conto. Non solo lui, a dire il vero. Qualcosa è destinato a muoversi anche a Villa Gioia.
Scenari futuri in Consiglio regionale. Ad oggi, è impossibile delineare con precisione la composizione del prossimo consiglio regionale. Interpretando la confusa legge elettorale, non sono mancate proiezioni più o meno attendibili. Si tratta di proiezioni, però. E' certo che la provincia dell'Aquila, in maggioranza, ha eletto Pierpaolo Pietrucci, Peppe Di Pangrazio, Andrea Gerosolimo e Lorenzo Berardinetti. Tra le opposizioni, dovrebbero averla spuntata Emilio Iampieri, Antonio Morgante e il pentastellato Gianluca Ranieri.
Dovrebbero essere dieci i consiglieri del Partito Democratico: detto di Pietrucci e Di Pangrazio, spazio a Silvio Paolucci, Camillo D'Alessandro, Donato Di Matteo, Alberto Balducci, Dino Pepe e i teramani Sandro Mariani e Luciano Monticelli. Il dubbio si annida intorno al nome della candidata pescarese Marinella Sclocco, però. Ed è un dubbio non di poco conto per il Pd aquilano: se la Sclocco dovesse farcela, Giovanni Lolli verrebbe nominato vicepresidente e assumerebbe la delega alla ricostruzione dell'Aquila. In caso contrario, resterebbe fuori dall'assise regionale e potrebbe profilarsi la possibilità di un assessorato per Pierpaolo Pietrucci. Che comunque potrebbe non essere l'unico aquilano a rivestire un ruolo di responsabilità: come anticipato da NewsTown qualche mese fa, infatti, per Vincenzo Rivera potrebbero aprirsi le porte del gabinetto di D'Alfonso.
A completare la maggioranza consiliare, Lorenzo Berardinetti e Alessio Monaco di Regione Facile, Mario Olivieri e Andrea Gerosolimo di Abruzzo Civico, Vincenzo Cipolletti di Sel, Lucrezio Paolini dell'Italia dei Valori. Balla un altro posto, e si tratta di un altro bel rebus: non è chiaro se sarà della maggioranza il tanto discusso Giorgio D'Ambrosio, volto forte del 'partito dell'acqua' che ha chiuso gli occhi dinanzi allo scandalo di Bussi, bocciato da D'Alfonso che in realtà voleva fosse della coalizione e poi rientrato dalla finestra del Centro Democratico.
Elaborazioni, come detto. Nulla di più. Bisognerà aspettare il pronunciamento dell’ufficio centrale regionale, insediato in Corte d’Appello dell'Aquila, che proclamerà gli eletti dopo aver esaminato la nuova legge elettorale.
Scenari futuri in Consiglio comunale. Sarà interessante capire cosa accadrà in seno al Consiglio comunale dell'Aquila. Il voto regionale, infatti, potrebbe modificare gli equilibri della maggioranza che sostiene Massimo Cialente. Innanzitutto, c'è da sostituire Alfredo Moroni che - come noto - nei prossimi giorni lascerà la carica di assessore alle Opere pubbliche. Il sostituto verrà indicato dal Partito Democratico, ha sottolineato Cialente. Che ha precisato - però - come conteranno molto le competenze riconosciute al nuovo assessore. E' probabile che il nome venga indicato dalla giovane classe dirigente che ha sostenuto Pietrucci e già imposto Emanuela Di Giovambattista quando si è trattato di sostituire Stefania Pezzopane.
C'è poi il malumore di alcuni candidati all'assise regionale che - fuori per una manciata di voti - non hanno perdonato a Cialente la campagna elettorale a sostegno di Pietrucci, specialmente negli ultimi giorni. Gianni Padovani del Partito Socialista da una parte, l'ex vicesindaco Giampaolo Arduini dall'altra, che non ha mancato pesanti stoccate al primo cittadino. Questione non da poco, se è vero che Arduni - in Giunta - ha una assessora di riferimento molto in vista: Emanuela Iorio. Questione non da poco, inoltre, se è vero che la maggioranza ha mostrato delle crepe anche nelle settimane precedenti al voto: Antonello Bernardi, oramai, è praticamente fuori così come Giuseppe Ludovici. Anche Pierluigi Mancini ha lasciato trapelare dei malumori al momento di votare l'ampliamento del sedime aeroportuale a disposizione della Xpress. C'è poi lo scontro con Rifondazione Comunista, esploso intorno al piano di rilancio del Gran Sasso e, in particolare, ai lavori sulle Fontari. In gioco, un altro assessore - Fabio Pelini - e il consigliere Enrico Perilli.
Cialente, in realtà, non è parso affatto preoccupato. Ha spiegato di aver fatto campagna elettorale per il candidato del suo partito, come giusto. Come Renzi per le Europee, ha sottolineato. Ha liquidato con poche parole i malumori di alcuni consiglieri. E su Rifondazione è stato assai esplicito: "Se vogliono suicidarsi - ha detto - possono farlo. Non credo usciranno dalla maggioranza, però. Se Rifondazione Comunista, a livello regionale, ha ottenuto a L'Aquila il miglior risultato, è perché qui si confronta con l'azione di governo. Il candidato alla presidenza Acerbo ha pagato proprio la residualità di una opposizione che non ha ambizione di governo", ha concluso.
La partita, però, sembra tutt'altro che chiusa. E non è così fantasioso immaginare sviluppi anche clamorosi, nelle prossime settimane, per la maggioranza di centrosinistra.