Chi l'avrebbe mai detto, una quindicina d'anni fa, che L'Aquila avrebbe ospitato in modo così gioioso e partecipato l'Abruzzo Pride; chi avrebbe mai immaginato il Gran Sasso illuminato dei colori dell'arcobaleno.
E' stato rigenerante vivere la città in questi giorni, raccontare una piazza, quella di sabato, giovane, radicale, determinata, stare accanto a ragazze e ragazzi che hanno avuto la straordinaria capacità, e visione, di rendere evidente come le battaglie Lgbt+ si intreccino con le lotte contro il patriarcato, il sessismo, la misoginia, il razzismo, con le lotte in difesa del diritto all'aborto, dell'ambiente e del lavoro.
Una boccata d'aria fresca, ed in particolare in questo momento storico, con le forze progressiste della città che, ad un anno dalle elezioni, stanno restituendo una pessima immagine di sé, incapaci di dialogare, di rendersi costruttrici di una proposta di governo alternativa, tra fughe in avanti, uscite scomposte, post allusivi sui social, tatticismi soffocanti e autocandidature.
Così come l'Anpi con la sua campagna di tesseramento che, a fine febbraio, in poche ore, ha contato 187 nuove iscrizioni, raccogliendo intorno ai banchetti cittadini vogliosi di identificarsi in un progetto coerente fatto di storia e di futuro, di ritrovare la voglia di partecipare alla vita di un'associazione che, in un clima di incertezza e confusione, fa da sponda affidabile e sicura, la piazza del Pride ha dimostrato che c'è una parte di città ancora disposta a schierarsi, a prendere parte, a condividere battaglie, a costruire un'idea di futuro possibile.
D'altra parte, un sondaggio dell'Istituto Piepoli pubblicato ad inizio giugno ha svelato che il 75% degli italiani condivide l'impianto del ddl Zan. A fronte di un 92% di elettori di centrosinistra che supportano il provvedimento, c'è un 83% di simpatizzanti a 5 stelle che si è detto favorevole all'approvazione, a dire che il dimezzamento, o quasi, dei consensi del Movimento - dalle ultime politiche ad oggi - ha asciugato la base di elettori tendenzialmente di destra. Vedremo che cosa accadrà nelle prossime ore tra Conte e Grillo: sta di fatto che se l'ex premier dovesse assumere la leadership dei pentastellati, il Movimento si collocherebbe stabilmente ne campo progressista.
Un campo largo che, come dimostra l'orientamento sul ddl Zan, sulla battaglia per i diritti è compatto.
Ed è da qui che bisognerebbe ripartire.
Non è affatto un caso che, proprio stamane, sia partita la 'Carovana dei Diritti' della Cgil della provincia dell'Aquila; l'idea è praticare un nuovo modello di azione sindacale che si richiama alla formula del 'Sindacato di strada', con l'intuizione che "il cambiamento passa anche dalla capacità di rappresentare i bisogni, di farli emergere da un oblio costruito sulla retorica, di rappresentarli e soddisfarli" stando vicino ai lavoratori, ai pensionati, ai migranti, ai giovani, ai fragili, aprendo luoghi di incontro e discussione. Non è un caso perché da tempo, all'Aquila e in provincia, la Cgil sta dettando l'agenda ai progressisti, sostituendosi, in alcuni casi, ai partiti e alle forze politiche d'area.
Si riparta dai diritti, dunque, con generosità, mettendo da parte interessi e aspettative personali con l'idea di costruire una proposta radicale, nei valori innanzitutto; L'Aquila ha diritto di determinarsi potendo scegliere tra agende di governo della città alternative, le forze progressiste hanno il dovere di darle questa possibilità.
"Bisogna saper scegliere il tempo, non arrivarci per contrarietà".
Diritto al lavoro, che dovrebbe essere al centro dell'azione di una amministrazione attiva sebbene non abbia funzioni dirette; a L'Aquila è vero più che altrove, considerato che ci sono ancora da 'mettere a terra' quasi 200 milioni di euro per lo sviluppo economico, il 4% dei fondi per la ricostruzione (110 dalla nuova programmazione e circa 70 dalla vecchia), in una città che si è scoperta all'improvviso più povera, con la forbice delle disuguaglianze sempre più accentuata. Diritto a politiche sociali all'altezza delle esigenze e dei bisogni dei cittadini più fragili.
Diritto alla vivibilità, in un centro storico all'affannosa ricerca di una vocazione e in periferie spalmate su un territorio vastissimo, scollegate e privi di servizi; diritto a servizi pubblici adeguati, dunque, dal trasporto locale alla raccolta dei rifiuti, diritto alla socialità, in una città priva di luoghi aperti e attraversabili, aggregativi, di ritrovo, formazione, crescita culturale, contaminazione artistica. Diritto all'istruzione, in scuole adeguate e moderne.
Diritto allo sport, universale e per tutti, e non soltanto per chi può permettersi di frequentare impianti affidati a pochi, nella assenza totale di luoghi pubblici, aperti e curati per chi voglia praticare attività. Potremmo andare avanti a lungo.
Si parta da qui: aprendo luoghi di discussione, sedendosi con generosità intorno al tavolo, si potrebbe scoprire che i distinguo, le divisioni, i contrasti sono alimentati da posizioni personali, aspettative egoistiche, battaglie personalistiche e che, al contrario, visioni e riferimenti valoriali sono comuni; si potrebbe scoprire che c'è una parte di città pronta a partecipare, se soltanto si avesse l'umiltà di mettersi all'ascolto, di alimentare il confronto. Così si costruisce un progetto politico, così lo si rende condiviso e condivisibile: il resto è tatticismo politico, che allontana e rende respingente ogni proposta.
E' una responsabilità storica per le classi dirigenti progressiste: perdere l'occasione di fornire una alternativa reale alla città, di dare la possibilità ai cittadini di scegliere tra diverse visioni di futuro, significherebbe condannarsi davvero all'irrilevanza.