L’Aquila sembra vivere un eterno presente.
E’ la sensazione che si prova ‘leggendo’ la città a distanza, staccando dal lavoro quotidiano di cronaca e approfondimento.
Raramente scrivo in prima persona; stavolta, il ‘lusso’ mi viene concesso dalla voglia di condividere alcune riflessioni maturate in vacanza, a qualche centinaio di chilometri dalla città. Da quando ci sono le bambine, le ferie vengono anticipate alle prime settimane di luglio: come l’anno scorso, dunque, ho vissuto l’inaugurazione dei Cantieri dell’Immaginario da lontano. Come l’anno scorso, la rassegna stampa e i post di facebook raccontano la kermesse come una ripartenza per la città.
Eppure siamo giunti alla decima edizione, la seconda ai tempi della pandemia.
A pensarci bene, sono anni che i Cantieri vengono presentati così, in una sorta di coazione a ripetere post traumatica alimentata da una pervasiva comunicazione politica. “L’Aquila riparte” viene raccontato, qui ed ora, in un eterno presente che ha lo sguardo rivolto al passato più che al futuro; la retorica della ripartenza si aggancia a immagini evocative di un tempo che fu: non è affatto casuale che la decima edizione dei Cantieri si svolga sulla scalinata di San Bernardino, laddove, viene ribadito, prendeva corpo e vita l’estate degli spettacoli aquilani prima del terremoto.
“L’Aquila riparte”, viene raccontato ogni anno. “Di nuovo?” verrebbe da chiedersi, e “per andare dove?”.
Qui sta il punto.
Sia chiaro: i Cantieri dell’Immaginario sono una kermesse di assoluta qualità, con spettacoli di alto livello; chi scrive, tornato dalle vacanze, assisterà con entusiasmo a diversi eventi in programma. Una considerazione che non impedisce, però, di farsi alcune domande. La prima: in dieci anni, i Cantieri sono costati circa 3 milioni di euro – più o meno, 300 mila euro l’anno – a valere sul programma restart, il 4% dei fondi per la ricostruzione destinato allo sviluppo socio economico del cratere; finite le risorse per la ricostruzione, che ne sarà dei Cantieri dell’Immaginario?
In questi anni, l’amministrazione attiva avrebbe dovuto lavorare per rendere la kermesse sostenibile economicamente, trasformandola in un appuntamento fisso dell’estate aquilana come accade altrove per manifestazioni che, nel tempo, sono diventate un attrattore turistico, oltre che culturale, attraverso la costruzione di una identità chiara e riconoscibile. Al contrario, si rischia di aver speso milioni di euro per un evento che, finita la ricostruzione, resterà un bel ricordo.
Sarebbe una responsabilità grave.
D’altra parte, i Cantieri erano stati pensati per finanziare il tessuto culturale cittadino, alimentarlo e sfidarlo, rinnovandolo, affinché divenisse terreno fertile per la nascita di realtà giovani e innovative capaci di produrre cultura, rendendo L’Aquila, nel tempo, attrattiva e pronta ad esportare le sue produzioni altrove. Si è fatta un’altra scelta: i Cantieri hanno finanziato le Istituzioni culturali già consolidate - e viene da chiedersi se avranno la forza di andare avanti, di 'stare sul mercato' senza le risorse garantite in questi anni - mettendo in cartellone spettacoli di teatro, danza e musica di alto livello, e lo ribadiamo, ma che si possono fruire anche altrove.
Legittimo, sia chiaro, a patto che si trovi una sostenibilità economica che, al momento, non c’è.
La città dovrebbe discutere anche di questo; oltre la retorica, la ripartenza dovrebbe essere seguita da uno sviluppo e da un consolidamento che passano da una attenta pianificazione. Da anni, invece, ci si ritrova sempre al punto di partenza, in un eterno presente appunto.
L’attuale amministrazione si è ritrovata tra le mani una kermesse pensata da altri e finanziata con fondi dello Stato: ha avuto la felice intuizione di affidare la direzione artistica ad un professionista di indiscusse qualità come Leonardo De Amicis ma si è limitata a questo, costruendo intorno all’evento una comunicazione che si ripete uguale a se stessa, ogni anno, che restituisce il senso di una città in movimento reiterando, però, meccanismi che non parlano di futuro.
Se ci pensate è il limite della politica, ad ogni livello: non si ragiona più di futuro, non si pianificano strategie di sviluppo a lungo respiro, piuttosto si insegue il consenso immediato attraverso scelte che guardano al giorno dopo, raccontate, però, con straordinaria enfasi emotiva. “L’Aquila riparte”, come l’anno scorso e come l’anno prima.
E badate bene, è una riflessione che può estendersi ai fatti degli ultimi giorni, per come si possono leggere sulla stampa.
Partiamo dal Consiglio comunale straordinario sul centro storico: tensioni in maggioranza, proteste dei commercianti, dei residenti e dei professionisti che, pur favorevoli alla pedonalizzazione, denunciano la mancanza di servizi, l’assenza di interventi sul breve, medio e lungo periodo che avrebbero dovuto accompagnare il percorso di chiusura di alcune aree del centro storico alle automobili, frustrazione dei cittadini che vorrebbero un centro storico davvero pedonale, così come si dovrebbe in una città d’arte.
A mancare è la visione, la pianificazione di una strategia condivisa che dovrebbe restituire una vocazione chiara al centro storico. Si lavora giorno per giorno, cercando di soddisfare questo o quel gruppo di interesse, con provvedimenti temporanei, di corto respiro, che finiscono per alimentare insoddisfazione e spaesamento.
Si opera con l’affanno di dover inseguire il consenso immediato.
E’ ciò che è accaduto, per fare soltanto un altro esempio, col piano strategico di Porta Leoni: da anni ci sono le risorse per realizzare, a seguito di permuta con l’Ater, un belvedere con affaccio sul Gran Sasso laddove sorgono le abitazioni ex Incis, con due piani di parcheggi interrati. Arrivati all’ultimo anno di legislatura, col problema irrisolto dei parcheggi che soffoca le politiche di pedonalizzazione del centro storico, si corre ai ripari spacchettando il progetto e provando a realizzare, almeno, un parcheggio a raso di 89 posti, sulle mura urbiche, con le legittime prescrizioni della Soprintendenza che non consentirà di asfaltarli e con un problema di viabilità irrisolto. Ciò a fronte di un investimento pubblico di 11 milioni e col secondo lotto dei lavori per la realizzazione degli stalli interrati rinviato a data da destinarsi.
Si spera di inaugurare il parcheggio prima delle elezioni.
Potremmo andare avanti: la mancata pianificazione fa sì che dinanzi al manifestarsi di un malessere della popolazione, si pensi alla mancata ricostruzione del ponte Belvedere, s’intervenga prendendo i soldi già appostati su un altro progetto, la realizzazione dei parcheggi su viale della Croce Rossa pensati per essere a servizio del polo di San Basilio, il cui masterplan è rimasto su carta.
A leggere la rassegna stampa di questi giorni balza all’occhio un altro fatto politico rilevante, lo scontro in Commissione Vigilanza tra l’amministrazione attiva e il presidente del Centro turistico Gran Sasso sulla manutenzione ordinaria della funivia del Gran Sasso; in sostanza, l’assessore Carla Mannetti ha risposto a brutto muso a Dino Pignatelli che aveva comunicato la chiusura della funivia al termine della stagione invernale, come d’abitudine, per i controlli di rito. Di questi tempi, con il covid che ha lasciato un poco di respiro, interrompere la funzionalità dell’infrastruttura avrebbe però significato un danno economico, oltre che d’immagine per il Comune: dunque, Mannetti ha intimato di non fermare il servizio. Un ‘invito’ rinviato al mittente da Pignatelli.
Sorvolando sui tragici fatti del Mottarone, a pochi giorni dallo scambio di note tra Ctgs e Comune, di nuovo si è ragionato col ‘pensiero corto’ del risultato immediato da cogliere, e delle polemiche da evitare, per una mancata capacità di pianificazione; considerato che la manutenzione è un fatto ordinario, che si ripete annualmente, possibile non ci sia stato il tempo di concertare l’intervento tenendo insieme le legittime prerogative del Ctgs con le esigenze dell’amministrazione attiva?
Ciò è accaduto negli ultimi giorni, visto da lontano – come scrivevo all’inizio – restituisce l’idea di una città che si racconta al tempo presente ammantandosi della retorica della ripartenza (L’Aquila ripartirà con i parcheggi a porta Leoni, e così ripartirà con l’abbattimento del Ponte Belvedere: siamo pronti a scommetterci) ma che si mostra incapace di guardare al futuro, di immaginarlo un futuro possibile, di mettere in campo una visione, un’idea di città che si sostanzi con politiche di lungo respiro.
“Se non ora quando”, verrebbe da dire, se è vero che le risorse del Recovery Plan dovranno ridisegnare il paese e che sul cratere, un territorio di modeste dimensioni, pioveranno altri 110 milioni di euro dal 4% dei fondi per la ricostruzione (si aggiungono ai 70 milioni non ancora vincolati della vecchia programmazione), oltre ai fondi strutturali europei e a quota parte dei quasi 2 miliardi previsti dal Pnrr per i crateri del 2009 e del 2016.
Una iniezione di risorse straordinaria che dovrebbe costringerci a parlare di futuro, ad andare oltre la ripartenza, finalmente.