Domenica, 17 Ottobre 2021 18:47

L'assalto alla Cgil e l'importanza di piazza San Giovanni: la Democrazia si difende con il lavoro sicuro e dignitoso

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Giusto cent'anni fa, il 'biennio nero' fu segnato dagli attacchi ripetuti dei fascisti al movimento operaio e alle istituzioni dello Stato liberale.

Dopo l’assalto al comune di Bologna del novembre 1920, preceduto dalla distruzione della Camera del Lavoro cittadina, si moltiplicarono le violenze e i saccheggi a Camere del lavoro, Case del popolo, cooperative e leghe. Il 7 febbraio 1921 venne ucciso a Firenze Spartaco Lavagnini, segretario del sindacato ferrovieri.

Le violenze culminarono il 28 ottobre del 1922 con la marcia su Roma e la presa del potere di Benito Mussolini.

In un primo momento, il regime tentò un'opera di normalizzazione politica, cercando inutilmente di coinvolgere nel governo alcuni leader dell’allora CgdL (Confederazione Generale del Lavoro); tuttavia, le violenze continueranno fino all’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti nel giugno 1924. Seguirà la svolta totalitaria e la promulgazione delle leggi fascistissime che, di fatto, cancellarono ogni forma di opposizione pubblica al fascismo.

Con gli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, Confindustria e sindacato fascista si riconobbero reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro e abolirono le Commissioni Interne; con la legge 563 del 3 aprile 1926, poi, venne riconosciuto giuridicamente il solo sindacato fascista (l’unico a poter firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro), si istituì una Magistratura ad hoc per la risoluzione delle controversie di lavoro e venne cancellato il diritto di sciopero.

Le leggi liberticide di Mussolini e la crisi economica del 1929 portarono alla scissione del sindacato. Il 4 gennaio 1927 il vecchio gruppo dirigente della CgdL decise l’autoscioglimento dell’organizzazione. Contrario Bruno Buozzi, Segretario generale della CgdL dal 1925, che nel febbraio dello stesso anno ricostituì la CgdL a Parigi. Il sindacato in esilio aderì, con alcuni partiti, alla Concentrazione d’azione antifascista; nel febbraio del 1927 si tenne la prima Conferenza clandestina di Milano: i comunisti crearono la propria Confederazione Generale del Lavoro.

In questo modo, dalla fine degli Anni '20 e fino alla caduta della dittatura fascista, le CgdL furono due: una di ispirazione riformista, aderente alla Federazione Sindacale Internazionale; l’altra comunista, aderente all’Internazionale dei Sindacati Rossi. A capo della CGdL clandestina fu chiamato nel 1930 Giuseppe Di Vittorio.

Il resto è storia.

Di Vittorio guiderà la Cgil, ricostituita nel giugno 1944, fino al 3 novembre 1957, il giorno della sua morte a Lecco, poco dopo aver incontrato alcuni delegati sindacali.

Una lunga premessa per dire che l'attacco portato da Forza Nuova alla sede nazionale della Cgil, a Roma, è stato un evento dal forte valore simbolico. Sia chiaro: non stiamo dicendo che l'azione squadrista del 9 ottobre scorso possa essere paragonata a ciò che accadde nel biennio nero; tuttavia, non era mai accaduto nel dopoguerra che venisse assaltata una sede sindacale. Si è infranto un tabù, la sacralità di luoghi legati all'infrastruttura istituzionale del Paese; attaccare un sindacato è diventato pensabile e persino realizzabile. 

E questo è un fatto di inaudita gravità che non può essere in alcun modo sottovalutato; "l’ascesa del fascismo - ha scritto nei giorni scorsi lo storico Miguel Gotor - dovrebbe avere insegnato che non bisogna mai sottovalutare la violenza o pensare di strumentalizzarla in base ai propri interessi politici contingenti, come fecero fino al 1925 i liberali e i popolari nella convinzione di potersi servire di Mussolini e dello squadrismo fascista in funzione anti-socialista".

D'altra parte, in questo Paese non c'è stato soltanto il fascismo, ma anche il così detto neofascismo, un fenomeno storicamente determinato e documentato che ha praticato la violenza politica, lo stragismo - a partire dal dicembre 1969 con la bomba di piazza Fontana e almeno fino alla strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 - e la lotta armata.

Roberto Fiore, fondatore e leader di Forza Nuova, fu militante di Terza posizione. 

Ecco il motivo per cui le migliaia e migliaia di persone - 200mila secondo gli organizzatori  - che, sabato scorso, hanno affollato piazza San Giovanni, hanno fisicamente rappresentato una risposta di tenuta democratica del paese. Ed è stata di grande importanza la presenza in piazza di Cisl e Uil accanto alla Cgil. 

Di nuovo, pur non volendo mettere a confronto epoche storiche e contesti così distanti e diversi, sul piano evocativo la piazza dei sindacati uniti a Roma ha richiamato alla memoria la piazza del Duomo a Milano gremita di gente per i funerali delle vittime di piazza Fontana, in un grigio lunedì del 1969, tre giorni dopo lo scoppio della bomba. Nel ricordo di Sandro Pertini "era mezzogiorno ma sembrava mezzanotte"; lo storico John Foot racconta che "la giornata era così cupa che i lampioni stradali furono lasciati accesi, creando un'atmosfera ancor più drammatica e irreale. La folla era impressionante in quel giorno freddo, umido e nebbioso. La stragrande maggioranza stava rispettosamente in silenzio. Molti erano vestiti di scuro, ma migliaia indossavano le loro tute da lavoro. Si calcola che solo sui gradini del Duomo ci fossero 50mila persone, mentre altre 20mila affollavano l'interno dell'immensa cattedrale gotica. Erano gremite anche le strade adiacenti, fino ai Navigli della città".

I partiti antifascisti e i sindacati organizzarono, quel giorno, la presenza degli operai e degli impiegati milanesi, senza cartelli, senza bandiere, senza parole. 

Due giorni dopo, il 17 dicembre, il quotidiano inglese 'The Guardian', in un editoriale, avrebbe coniato l'espressione 'strategia della tensione': l'articolo svelò che il giorno dei funerali erano previsti degli scontri di piazza; dopodiché, il Presidente del Consiglio Mariano Rumor avrebbe dovuto sospendere il diritto di manifestare col presidente della Repubblica che avrebbe nominato un nuovo governo di unità nazionale, segnando una svolta autoritaria. 

Quella piazza di operai e impiegati convinse Rumor a non dichiarare lo stato d'emergenza; una piazza che - in altri modi e in altri contesti storici - ha rappresentato la tenuta democratica del paese. E ci sia consentito di dire che sentir parlare Giorgia Meloni, alla guida di un partito con la fiamma tricolore nel simbolo, parlare di 'strategia della tensione', come a strappare quella espressione da una precisa connotazione storica e politica, lascia davvero interdetti.

Piazze di lavoratrici e lavoratori, quella di Milano e quella di Roma, a ribadire che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, come recita il primo articolo della Costituzione.

Il lavoro come collante comunitario, elemento determinante per la tenuta democratica se è stabile, sicuro e giustamente remunerato; è evidente che la precarietà, l'insicurezza, i bassi salari finiscano per alimentare paure e solitudini che possono essere facilmente cavalcate da chi punta alla destabilizzazione del paese. E' questo il messaggio che Cgil, Cisl e Uil hanno inteso lanciare dal palco di San Giovanni. E se è vero che i sindacati, in questi anni, hanno fatto difficoltà a comprenderne l'evoluzione, a star dietro agli stravolgimenti imposti dalla rivoluzione digitale, a contrapporsi alle storture di un modello capitalistico oramai al capolinea, e per questo ancora più iniquo, è vero anche che il sindacato è, oggi più di ieri, un presidio democratico imprescindibile, a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori.

Non è un caso che un filo rosso abbia unito il discorso del leader della Cgil Maurizio Landini: lottare contro il fascismo significa lottare per la democrazia e alla base di questa lotta c’è la dignità delle persone, il lavoro, la cultura. Proprio per questo, perché lo squadrismo non faccia più paura, serve una fase di grande cambiamento sociale nel nostro paese, a partire dalla grande emergenza del lavoro: "Un lavoro sicuro e non precario", appunto. 

Diventa cruciale, dunque, capire quale lavoro si crea con lei risorse del Pnrr: "Su 500 mila nuovi posti di lavoro l’80% sono a termine – ha attaccato Landini –. Non va bene: dobbiamo creare lavoro stabile". Lavoro stabile e anche sicuro: "Mentre siamo qui, un’altra persona è morta sul lavoro. È inammissibile". Con il nuovo decreto che inasprisce il giro di vite sulle aziende che non rispettano le regole, ha detto, "abbiamo ottenuto un risultato importante. Ma non basta. Bisogna prevenire, e dunque la salute e la sicurezza devono diventare un vincolo e non un costo". Così come un vincolo deve essere che "gli investimenti siano fondati sulla sostenibilità ambientale come fattore di un nuovo modello di sviluppo". Non è neanche tollerabile che 5 milioni di lavoratori vivano sotto la soglia della povertà, ha proseguito Landini: "Questo vuol dire che il modello sociale è sbagliato e noi non possiamo accettarlo", perché "disagio sociale e precarietà indeboliscono le democrazie".

E si torna dunque al punto: la lotta per il lavoro dignitoso è parte fondamentale della lotta per una democrazia compiuta.

Arriviamo così all'altra evidenza restituita da piazza San Giovanni gremita: il paese reale è distante dalla rappresentazione che ne restituiscono i social e le prime pagine di alcuni quotidiani. A leggere le decine e decine di articoli pubblicati nei giorni scorsi, il 15 ottobre scorso - giorno dell'entrata in vigore del green pass sul posto di lavoro, pubblico e privato - l'Italia si sarebbe dovuta fermare: di fatto, non è accaduto quasi nulla. Sui social e sui giornali si è parlato di no vax e no pass: ad oggi, 44 milioni di italiani hanno concluso il ciclo vaccinale con la somministrazione delle due dosi, 46 milioni ne hanno fatta almeno una.

Poche migliaia di persone che hanno manifestato in alcune piazze italiane hanno alimentato l'idea di un paese spaccato, lacerato, sull'orlo di una crisi sociale. Piazza San Giovanni ha avuto il merito di riprendersi la narrazione, di raccontare che, in realtà, la grande maggioranza del paese sta rispondendo in altro modo alla crisi pandemica, sociale ed economica, a partire proprio dal mondo del lavoro. 

Lavoratrici e lavoratori che hanno reso evidente che cosa significhi la parola solidarietà. Non sapremmo davvero dirlo meglio del giornalista Claudio Agostoni: "Nelle lotte per il lavoro c’è una drammatica bellezza che affascina. Il gesto di colleghi e compagni d’una fabbrica che si uniscono, alzano la testa per difendere non tanto uno stipendio, ma più spesso la propria dignità, porta inscritto in sé una forma di nobiltà; perché è espressione di una solidarietà che significa sentirsi parte d’una comunità, sapersi prender cura l’uno dell’altro, disposti anche a pagare un prezzo per questa comunanza di vita e di destini", ha scritto Agostoni.

"È una bellezza che invece non c’è nei blocchi minacciati al porto di Trieste o sulle autostrade a opera di una parte degli autotrasportatori. E il perché è presto detto: ad accendere queste lotte c’è quantomeno un travisamento della solidarietà, se non più semplicemente l’idea corporativa di una minoranza che intende usare il proprio piccolo potere per imporre qualcosa al governo pro tempore e alla maggioranza dei cittadini. Nello specifico, la cancellazione di una norma di legge a tutela della salute pubblica. Con l’aggravante di abusare della retorica di una presunta 'dittatura sanitaria'".

La prima e vera solidarietà fra lavoratori è, in realtà, la tutela della salute di tutti e di ciascuno. Lavoro dignitoso e sicuro, come dicevamo. "Imporre blocchi contro il green pass, al contrario, è come fare le barricate contro la sicurezza, come opporsi all’obbligo delle imbragature, del caschetto o delle cinture di sicurezza in auto. È vero che queste ultime, in casi assai limitati, provocano danni, fratture e perfino la morte quando non si riescono a sganciare per uscire da una vettura che precipita: quasi sempre, però, ci salvano la vita. Così è per i vaccini".

Bastano tre cifre per comprenderlo: senza i vaccini ci sono state oltre 27.000 morti per ogni milione di casi; la profilassi evita il rischio di morte nel 98% dei casi; correlati al vaccino ci sono stati 0,19 decessi per milione di dosi. Morti da piangere, certo. Ma una sincera solidarietà non può prescindere dalla razionalità che questi numeri esplicitano, altrimenti diventa mistificazione e avventurismo. "Prima della solidarietà per qualche compagno che ha deciso di non vaccinarsi né vuole sottoporsi alla trafila dei tamponi per ottenere il green pass, viene quella verso gli altri colleghi che invece alla profilassi si sono sottoposti e che vorrebbero lavorare con una maggiore tranquillità. E pure nei confronti di tutti gli altri lavoratori italiani, dipendenti e autonomi, che nella stragrande maggioranza hanno scelto, vaccinandosi, di tutelare assieme la propria e l’altrui salute".

In un anno e mezzo di lockdown, in tanti hanno subito decurtazioni dello stipendio o degli incassi e non vorrebbero oggi né assistere a nuove chiusure delle attività per una ripresa di contagi e decessi né trovarsi con un fermo della propria fabbrica o negozio per i blocchi delle merci nei nostri porti. "E men che meno - prosegue Agostoni - si può invocare in questo contesto la soppressione della libertà. Perché non essendoci obbligo di legge, resta la possibilità per chi non intende vaccinarsi di non farlo e di continuare a lavorare".

Certo, ci si potrebbe muovere in direzione di un abbassamento dei costo dei tamponi, si potrebbe pensare a sgravi fiscali temporanei per le aziende che assumano i costi dei test; d'altra parte, è chiaro che esibire un certificato per poter svolgere alcune attività, e per lavorare in particolare, possa essere vissuto come una limitazione della libertà. Tuttavia, è vero anche che siamo nel mezzo di una pandemia globale e che tutte le libertà hanno un prezzo da pagare, così come tutte le scelte comportano una rinuncia. "I nostri figli da tempo ottemperano a un obbligo vaccinale piuttosto complesso, pena l’esclusione dal diritto allo studio. È per un bene superiore, però: quello, appunto, di tutelare la loro vita, quella di chi non può vaccinarsi per motivi medici e pure la salute dell’intera comunità degli adulti. Questa, sì, è solidarietà", conclude Agostoni. "Non ci sono dunque argomenti nobili o anche solo validi che possano sostenere la decisione di bloccare le attività nei porti o sulle strade. Piuttosto, una sincera e razionale solidarietà dovrebbe farci guardare a chi la profilassi non può permettersela organizzando, magari, uno sciopero – virtuale – per rivendicare licenze obbligatorie di produzione dei vaccini nei Paesi in via di sviluppo. I compagni di lavoro, fratelli nostri, sono milioni oltre il ristretto orizzonte d’una banchina del porto".

Sta anche qui il senso di piazza San Giovanni. Non sentiamo di dover aggiungere altro.

 

Ultima modifica il Lunedì, 18 Ottobre 2021 19:08

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