Venti donne; venti teste, venti età diverse, venti vite diverse.
Donne che hanno accettato l’invito a vedersi e riflettere sul tema “donne e territorio” in tutte le declinazioni possibili.
Donne che in un qualche modo si sono anche forzate a uscire, a guardarsi negli occhi e parlarsi, dopo due anni in cui si è perso il senso del contatto e del confronto in presenza.
Dalla geografia alle scienze umane il concetto di territorio è ampio: una ‘precisa determinazione areale, derivante da una ben determinale pertinenza a un soggetto che, tramite il proprio agire, informa in maniera tipica e riconoscibile una porzione di spazio geografico rendendola territorio’. E dal legame delle donne col territorio che abitano, che amano e nel quale vivono e lavorano è partito il percorso di interviste che Avanti Popolo, la Scuola del Popolo della CGIL dell’Aquila aveva portato avanti in estate.
Fare quelle interviste non è stata una scoperta per me.
Conosco tantissime donne imprenditrici, agricultrici e viticultrici, artigiane, ma anche avvocate, docenti, sindache, e parlando con loro si tocca con mano un grande legame col territorio, una grande forza che le porta a “lottare in più di un luogo e in più di un modo” per i propri ideali e sogni, le proprie necessità, il proprio comune, il proprio lavoro.
Indubbiamente a volte un percorso a ostacoli, ma quale vita in fondo non lo è.
Ieri però l’invito a incontrarsi era per tutte. Non solo per le donne intervistate, che abitano nell’ampio comprensorio aquilano, con l’obiettivo di provare a confrontarsi e andare oltre l’assunto che “le donne reggono il mondo”, come recitava un titolo di un libro uscito ormai dieci anni fa, come se noi portassimo un peso. Le donne che faticano, le donne ‘eroine’, eppure ancora poco presenti nei ruoli di potere, nelle amministrazioni e così via.
Dopo due dense ore di discussione siamo giunte a porci questa domanda: perché questa forza di ognuna, che tutti ci riconoscono, non diventa collettiva?
Grandi donne animano il nostro territorio nei diversi settori. Si cerca di portare l’attenzione sul divario e la violenza di genere in giornate come l’8 marzo o il 25 novembre, ma c’è bisogno, ora più che mai, di un passo in più. Certo, non siamo negli anni '70, quando il lavoro delle organizzazioni e dei partiti era di straordinario supporto , e neanche nel 2011, quando la città dell’Aquila ha vissuto un momento di grande attivismo e desiderio di coinvolgimento nei processi di trasformazione che investivano il territorio.
Gli anni di pandemia hanno sicuramente contribuito ad assopire quel poco che era rimasto a livello di esperienze collettive. E se ne sente forte la mancanza. Io ne sento forte la mancanza.
Siamo stati troppo tempo chiuse e chiusi, nelle nostre case e nei nostri micromondi. Abbiamo fatto troppi incontri online, troppa DAD, troppe discussioni sui social network. Allora usciamo, incontriamoci, e dimostriamo di non aver perso i valori in cui crediamo, anche in vista, anzi, soprattutto in vista, di lavorare perché la città dell’Aquila abbia un’amministrazione diversa.
Torniamo ad affermare, senza paura, quello in cui crediamo, per noi e per le nuove generazioni, che non di telecamere, ma di valori di riferimento hanno bisogno. Di credere e costruire percorsi di pace, antifascismo, antirazzismo, di tutela della dignità del lavoro, di femminismo e diritti LGBTQ+, di difesa della Costituzione.
E venti donne che si confrontano e decidono di mettere in piedi un percorso condiviso forse possono essere un inizio.