Tra il 28 e il 12 ottobre si eleggono consiglieri e presidenti di 64 province - in Abruzzo, si vota il 12 ottobre a Teramo, Chieti e Pescara mentre per il Consiglio provinciale dell'Aquila la scadenza è il 2015 - e 8 città metropolitane. E per la prima volta si esprimeranno soltanto gli amministratori locali. I cittadini resteranno a casa.
E' la riforma firmata Graziano Delrio, convertita in legge dalla Camera in aprile, che ha 'disegnato' le nuove Province italiane. Il Ddl era stato presentato nell’agosto del 2013, approvato il 21 dicembre alla Camera (quando il presidente del Consiglio era Enrico Letta) con i voti favorevoli di PD, Scelta Civica e NCD e lo scorso 26 marzo era poi passato anche in Senato, con qualche difficoltà e modifica, prima di tornare alla Camera per il voto definitivo.
Si sono rivisti così confini e competenze dell'amministrazione locale in attesa della riforma del Titolo V della Costituzione, l'ultimo passo prima dell'abolizione definitiva delle province che, intanto, diventano enti territoriali di area vasta, di secondo grado.
Come funzioneranno le elezioni? I Presidenti e i Consiglieri saranno eletti dai Sindaci - che potranno candidarsi per la carica di Presidente - e dai consiglieri comunali - a loro volta, potranno correre per la sola carica di Consiglieri. I nuovi amministratori saranno 986, invece degli attuali 2500: oltre ai 64 presidenti di Provincia, 760 consiglieri provinciali e 162 consiglieri metropolitani.
Il Presidente della Provincia resterà in carica 4 anni, non più 5. Saranno abolite le giunte provinciali, sostituite dalle assemblee dei sindaci della provincia che avranno funzioni propositive, consultive e di controllo. I Consigli provinciali invece si rinnoveranno ogni 2 anni: saranno composti dal sindaco che presiederà la provincia e da un numero di sindaci e consiglieri proporzionale alla popolazione della provincia stessa, da un minimo di 10 ad un massimo di 16 (16 componenti nelle province con popolazione superiore a 700.000 abitanti, 12 componenti in quelle con popolazione da 300.000 a 700.000 abitanti, 10 componenti in quelle con popolazione fino a 300.000 abitanti). Il voto di sindaci e consiglieri sarà 'ponderato' in base alle dimensioni del Comune di riferimento.
Gli incarichi di presidente della provincia, di consigliere provinciale e di componente dell'assemblea dei sindaci saranno esercitati a titolo gratuito.
Nelle stesse date si voterà anche per eleggere i Consigli metropolitani di 8 Città metropolitane (Roma, Milano, Napoli, Torino, Genova, Bologna, Firenze e Bari), la verà novità della riforma Delrio. I consiglieri metropolitani sono eletti dai primi cittadini e dai consiglieri municipali. Il Consiglio (eletto per 5 anni) è composto da un numero variabile di persone (24 a Roma, Milano e Napoli; 18 a Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze e Bari; 14 a Reggio Calabria).
In molti casi, per risolvere i problemi di rappresentanza, ci si è messi d’accordo con "listoni unici" capaci di tenere insieme Pd, Forza Italia e, in alcuni casi, persino M5S: succede a Ferrara, per esempio. A Vibo Valentia, correranno insieme Forza Italia, pezzi di Pd, Fratelli d'Italia e Ncd.
Insomma, 'giochi politici' che non riguarderanno i cittadini, esclusi dal voto: eppure, le nuove Province manterranno funzioni fondamentali, come la pianificazione del territorio e l'edilizia scolastica. Si tratta di una sorta di prova generale delle elezioni di secondo grado che, passasse la riforma così come prefigurata dal ddl Boschi, riguarderebbero anche il Senato della Repubblica.
Un incomprensibile pasticcio anticostituzionale. Fra i critici ci sono numerosi giuristi, come Piero Ciarlo, che non ha esitato a definire la legge "un incomprensibile pasticcio anticostituzionale". Il nodo dell’elettività è lo specchio di un feroce decisionismo politico contro le Province, che spinge molti detrattori a parlare di restaurazione centralista e di un profilo autoritario, incurante della volontà dei territori coinvolti e dunque del principio di sussidiarietà.
In molti, avevano per questo proposto di riprendere il cammino della riforma elaborata dal governo Monti e franata con la fine anticipata della legislatura. All’epoca erano pronti una serie di accorpamenti delle Province piccole, salvo le due interamente alpine di Belluno e Sondrio. La prospettiva individuata, peraltro secondo criteri opinabili (almeno 350mila abitanti e 2.500 chilometri di estensione), avrebbe innescato un’inversione di tendenza toccando forse il casus belli di questa vicenda: la proliferazione che ha visto il numero delle province salire dalle 94 del 1970 alle 107 attuali. Con la riforma voluta da Delrio, invece, anziché ripensare gli enti intermedi cui si potrebbero trasferire maggiori funzioni in una logica di economie di scala (c’è anche chi suggerisce di accorparvi Camere di commercio e prefetture), si preparano 700 unioni comunali, "con una frammentazione gestionale - ha sottolineato l’Upi- traducibile in perdite di efficienza e maggiori spese di 645 milioni nell’edilizia scolastica e in quasi un miliardo e mezzo negli altri settori".
A suffragare questo j’accuse è arrivato uno studio del Censis (disponibile sul sito www.censis.it), che difende su tutta la linea la dimensione territoriale provinciale e suggerisce di rafforzarla per rispondere alle esigenze dei territori. L’indagine conferma i fallimenti anche economici cui nel Paese dei campanili sarebbe destinato un sistema iper parcellizzato: 1.484 Comuni dovrebbero gestire mediamente cinque scuole ciascuno in più, coordinandosi con quelli vicini per ripartire gli oneri. Anche dall’analisi dei distretti produttivi e degli ambiti occupazionali emerge una coerenza con gli attuali confini provinciali, nel 75% dei casi per esempio vi è connessione tra residenza e attività lavorativa. Insomma, vien da pensare che non sia un caso se questi enti nascono in gran parte già con l’unità d’Italia: "Le attuali circoscrizioni provinciali contengono all’interno dei propri perimetri tutti i principali processi socio-economici di area vasta. Gli enti che le governano sono dunque il livello istituzionale più adeguato per questo scopo", osserva il presidente del Censis, Giuseppe De Rita.
Serve davvero abolire le province? Il Governo sottolinea che la riforma servirà a razionalizzare le funzioni amministrative locali e a ridurre il personale politico: in effetti, come detto, gli eletti si riducono da 2500 a 986 e senza indennità (anche se aumenteranno nei Comuni).
Il risparmio si attesterebbe sui tre miliardi di euro: in realtà, da tempo è guerra di cifre. Infatti, c’è chi sostiene che in realtà la riforma moltiplicherà i costi, per il venir meno delle economie di scala nei servizi e perché il personale passerà a enti che applicano contratti più onerosi rispetto alle Province. Inoltre, uno su cinque dei 57 mila dipendenti probabilmente finirà ricollocato anche in termini di mansioni e luogo di lavoro, con la necessità di cambiare città.
Nel mese di ottobre 2013, la Cgia di Mestre ha diffuso una stima secondo la quale la soppressione delle 107 Province a statuto ordinario farà risparmiare solo il 3,9% (510 milioni di euro) del loro costo annuo complessivo di 13 miliardi di euro. Gran parte della spesa, infatti, va in servizi da preservare, quali la gestione di 125mila chilometri di strade (circa l’80% della rete nazionale), 5mila edifici scolastici (medie inferiori e superiori), 2.700 palestre, 600 centri per l’impiego, cui si aggiungono trasporto locale, difesa del suolo, ciclo dei rifiuti, pianificazione territoriale di area vasta, tutela ambientale. Quanto ai costi meramente politici, l’agguerrita Unione delle Province italiane (Upi) contesta i 110 milioni ipotizzati dal governo: era così prima della cura dimagrante del 2011, che ha ridotto anche il numero degli eletti. Oggi la cifra corretta si ferma a 32 milioni.
I veri nodi su cui intervenire - sostiene l'Upi - sarebbero lo Stato e le Regioni: "Negli ultimi dodici anni - ha osservato Antonio Saitta (Pd) che dell'Unione delle Province Italiane è stato presidente fino al giugno scorso - le uscite dell’amministrazione centrale sono cresciute di cento miliardi, quelle regionali di quaranta. Mentre Province e Comuni subivano tagli anche sui servizi essenziali, le Regioni (responsabili del 20% della spesa pubblica nazionale) creavano una miriade di enti e agenzie strumentali: oggi sono circa 7.800 e costano 15 miliardi di euro di personale e due miliardi e mezzo per i cda. Altro che la propaganda sulle Province, che rappresentano appena l’1,3% del totale delle uscite".
Il voto in Abruzzo. Le liste definitive sono state consegnate a mezzodì, agli uffici delle Province.
A Pescara, si sfideranno il presidente della Provincia uscente Guerino Testa per il centrodestra e il sindaco di Abbateggio Antonio Di Marco per il centrosinistra. Ecco i nomi dei candidati al Consiglio per il centrodestra: Anthony Hernest Aliano, Gianfranco De Massis, Ernesto De Vincentiis, Vincenzo D'Incecco, Mario Giuseppe Lattanzio, Maria Felicia Maiorano Picone, Sandro Marinelli, Augusto Recchia, Graziano Zazzetta, Guerino Testa, Barbara Di Giovanni, Ettore Pirro. Di seguito, i nomi dei candidati al Consiglio per il centrosinistra: Luciano Di Lorito, Vincenzo Catani, Feliciano D'Ignazio, Franco Galli, Leila Kechoud, Davide Morant, Ennio Napoletano, Annalisa Palozzo, Silvina Sarra, Gianni Teodoro, Francesco Zampacorta. Le elezioni si svolgeranno nella giornata di domenica 12 ottobre dalle 8 alle 20.
A Chieti, il centrodestra ha scelto Nicola Scaricaciottoli, primo cittadino di Paglieta, che sfiderà il sindaco di Lanciano, Mario Pupillo. Il presidente della Provincia uscente, Enrico Di Giuseppantonio, ha deciso di non candidarsi per dedicarsi al 'rilancio' di Fossacesia, di cui è tornato sindaco.
Infine, Teramo: a sfidarsi saranno l’ex sindaco di Bellante e capogruppo uscente del Pd in Consiglio provinciale, Renzo Di Sabatino, e il primo cittadino di Atri, Gabriele Astolfi. Tre le liste presentate per i candidati consiglieri (ne dovranno essere eletti 12): Casa dei Comuni, Forza del territorio con Astolfi, Costituente Popolare per Teramo. Questi i candidati alla carica di consiglieri, Casa dei Comuni: Giuseppe Cantoro, Maurizio Verna, Nicolino Colonnelli, Mauro Scarpantonio, Vincenzo Di Marco, Piergiorgio Possenti, Flaviano De Vincentiis, Barbara Ferretti, Gabriele Marcellini, Nicoletta Cerquitelli, Marcello De Antoniis e Federica Vasanella. Forza del territorio con Astolfi: Antonio Brunone, Giuseppe Grande, Severino Serrani, Tobia Tonino Bordoletti, Raimondo Micheli, Franco Fracassa, Vincenzo Leone, Simona Tuttolani, Tonia Piccioni. Costituente popolare per Teramo: Luciana Di Marco, Nadia Baldini, Graziano Ciapanna, Vincenzo Di Bonifacio, Massimo Di Giancamillo, Antonio Di Gianvittorio, Nicola Di Marco, Simone Guerrieri, Benito Melchiorre, Valerio Odoardi, Massimo Vagnoni, Germano Cervella.