Il referendum consultivo per uscire dall'euro si può fare. Per poterlo indire è necessario approvare una legge costituzionale 'ad hoc' come già avvenuto nel 1989 quando si richiese agli italiani se volevano dare o meno facoltà costituente all'Unione Europea.
A spiegarlo è Sara Marcozzi, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Consiglio regionale, presentando stamane in conferenza stampa, con i colleghi consiglieri Gianluca Ranieri, Leandro Bracco, Riccardo Mercante e con la consigliera comunale del Comune di Pescara Enrica Sabatini, che sarà la coordinatrice regionale, il #FirmaDay del 13 dicembre prossimo in tutte le piazze italiane e in almeno 50 comuni abruzzesi.
Sarà l'inizio della raccolta firme per poter depositare in Parlamento una legge di iniziativa popolare: "La legge costituzionale per indire il referendum sarà presentata agli italiani sotto forma di legge di iniziativa popolare", ha spiegato Marcozzi. "Per poterla depositare in Parlamento è necessario raccogliere almeno 50mila firme in sei mesi ma siamo sicuri che raccoglieremo molte più firme e, così, invieremo un segnale chiaro al Parlamento: non è soltanto una forza politica a volere il referendum per l'uscita dall'euro, ma i cittadini italiani che hanno votato tutte le forze politiche. Non potranno quindi ignorare la richiesta come una dell'opposizione perché se già oggi i sondaggi dicono che gli italiani che vorrebbero uscire dall'euro sono la maggioranza, se si aggiungono anche coloro che non sono convinti, ma ritengono giusto che siano i cittadini a scegliere tramite un referendum, sono numeri non ignorabili da qualunque forza politica".
Neanche troppo nascosto, l'obiettivo: raccogliere almeno un milione di firme. Una volta depositata la legge di iniziativa popolare, presumibilmente a maggio 2015, "i portavoce del M5S alla Camera e al Senato si faranno carico di presentarla in Parlamento per la discussione in Aula. Approvata la legge costituzionale ad hoc che indice il referendum, considerando i tempi di passaggio tra le due Camere, a dicembre 2015 gli italiani potranno andare alle urne ed esprimere la loro volontà sull'uscita dall'euro con il referendum consultivo".
La raccolta firme, ha spiegato Enrica Sabatini, servirà anche ad informare e sensibilizzare le persone che ancora non conoscono a fondo il problema. "Nel 1989, non si fece una buona informazione: si disse, lavoreremo la metà e guadagneremo il doppio", ha incalzato Marcozzi. Stavolta, l'intenzione è di "informare i cittadini ad una scelta consapevole". Sabatini ha sottolineato che verranno organizzati banchetti, convegni, incontri, appuntamenti alla presenza di costituzionalisti ed economisti "perché l'argomento è ostico e, fino ad ora, si è fatta una cattiva informazione sulle possibili conseguenze dell'uscita dall'Euro".
Sin da ora, è attivo il sito internet fuoridalleuro.com, per avere informazioni utili, trovare i banchetti più vicini e scoprire come firmare. Le aziende italiane - si legge sul sito a 5 stelle - hanno pagato un prezzo troppo alto. Dal 1997, quando l'Italia rivalutò la lira per agganciarla all'ECU (condizione postaci per poter entrare nell'euro) la produzione industriale italiana è scesa del 25%. Nello stesso arco di tempo, la produzione industriale della Germania è aumentata del 26%. Come se tutto le industrie del Centro Italia fossero scomparse per ricomparire in Germania. Dall'entrata in vigore dell’Euro - sottolineano gli attivisti pentastellati - il saldo positivo della bilancia dei pagamenti della Germania è uguale a quello negativo dei paesi periferici come Spagna, Italia, Grecia, Portogallo, Irlanda, Cipro. In altre parole, è avvenuto un trasferimento netto di ricchezza da periferia a centro con un gioco a somma zero per l'Eurozona nel suo complesso.
Alla perdita di ricchezza si aggiunge la perdita di know-how delle imprese, la perdita di competitività, di prestigio, di competenza. Nel concreto un PIL in caduta libera, un tessuto industriale devastato, una disoccupazione alle stelle, lavoratori non specializzati e salari da fame.
Dunque, la proposta: fuori dall'euro con una sovranità monetaria associata al valore della nostra economia, le aziende italiane sarebbero avvantaggiate nelle esportazioni e produrre in Italia diventerebbe più conveniente che produrre all'estero. Rinascerebbero nuove attività, si svilupperebbe il conseguente indotto e si creerebbero posti di lavoro.
C'è poi la questione del debito pubblico, meglio degli interessi sul debito che stanno ammazzando il Paese e smantellando lo Stato Sociale. Dai 78 miliardi pagati dallo Stato per finanziare il proprio debito nel 2011 si passa agli 89 nel 2012 per salire ai 95 nel 2013 e per arrivare a quota 99,808 nel 2015. Negli ultimi 30 anni l'Italia ha pagato 3.100 miliardi di interessi sul debito, una mostruosità.
I miliardi che lo Stato destina al pagamento degli interessi sul debito sono sottratti ai servizi primari dei cittadini: pensioni, sanità, ammortizzatori sociali, istruzione, risorse per le PMI.
Il debito pubblico, insomma, andrebbe ridenominato in una nuova moneta associata al valore della nostra economia. Si pagherebbero, dunque, meno interessi sul debito. Lo Stato ricomincerebbe ad utilizzare il suo avanzo primario di cui già dispone (al netto degli interessi sul debito) per finanziare attività e welfare. Con l'Italia fuori dall'euro, le PMI italiane potrebbero tornare nuovamente competitive e l'occupazione in crescita e gli investitori stranieri finanzierebbero comunque il nostro debito che sarà sostenibile e onorabile.
"Fuori dall'euro c'è salvezza, ma il tempo è scaduto", hanno ribadito i consiglieri pentastellati. "Riprendiamoci la sovranità monetaria e usciamo dall'incubo del fallimento per default. Per non finire come la Grecia. Fuori dall'euro o default. Non ci sono alternative".