Martedì, 20 Settembre 2016 17:00

L'incredibile rielezione di Gavazzi alla Fir: nessuno lo vuole, ma lui vince di nuovo

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Alfredo Gavazzi è stato rieletto per altri quattro anni sullo scranno più alto della Federazione italiana rugby (Fir). Come è noto già da sabato, infatti, ha convinto l'assemblea elettiva ed ottenuto il il 54,9% dei voti, battendo il suo avversario Marzio Innocenti, in campo con la lista dal nome, eloquente, Pronti al cambiamento.

Una vittoria di certo non netta, rispetto alle previsioni dello stesso Gavazzi, che puntava ad un semi-plebiscito e che invece si ritrova in Consiglio federale due consiglieri di opposizione.

Una vittoria che stupisce chi - anche tra i non addetti ai lavori - ha ascoltato, letto e verificato l'operato di Gavazzi come capo supremo di Federugby. Basti ricordare alcuni dei più importanti "risultati" ottenuti dall'industriale bresciano nella sua legislatura, sottolineati anche da Duccio Fumero su Rugby 1823: un bilancio in rosso (si parla di 2 milioni di buco), nonostante la Federugby - anche grazie, bisogna riconoscerlo, ad un'efficace politica di marketing soprattutto in occasione delle grandi manifestazioni - sia diventata nel corso degli anni la seconda federazione sportiva più ricca dopo la Federcalcio; una lunga sequela di sconfitte - in 4 anni sono state vinte solo il 20% delle partite - per le nazionali maggiore e under 20, con il mancato salto di qualità che qualche anno fa sembrava essere in procinto di arrivare; le conseguenti prestazioni deludenti delle due franchigie (Zebre e Benetton) nel Pro12, dove faticano a lasciare gli ultimi posti in classifica. Per non parlare del massimo campionato italiano, l'Eccellenza, sempre più svilita in termini di ricchezza, visibilità, interesse tecnico e crescita dei giovani.

E a proposito dei giovani, aggiungiamo noi, è bene sottolineare anche i dubbi che in molti nutrono da tempo sulla filiera delle accademie, che secondo i piani federali avrebbe dovuto garantire la crescita sostanziale di tutto il movimento: stra-finanziate e stra-valutate, ma che non sembrano affatto dare buoni frutti, considerando i risultati azzurri e il numero di talenti (veri) sfornati.

Ad ogni modo, come si diceva una volta, in democrazia vince la maggioranza. E la maggioranza Gavazzi l'ha ottenuta, attraverso un'affluenza che potremmo definire bulgara: ben il 94,7% degli elettori del Salone d'onore del Coni (95,04% quota società, 90,47% quota giocatori accreditati, 87,68% quota tecnici) hanno scelto di prendere parte alla tornata elettorale. Secondo un sistema di ultra-deleghe quantomeno dubbio: ogni società, infatti, può raccogliere cinque deleghe di altre società. La ratio va ritrovata nel fatto che molte piccole società non mandano propri rappresentanti a Roma.

Un'altra discrepanza democratica può essere ritrovata inoltre nei tempi e modalità di elezione: è davvero bizzarro come possa essere eletto il presidente della Federazione, e successivamente i consiglieri del Consiglio federale. Quasi superfluo sottolineare che l'elettore, a presidente già eletto, è psicologicamente influenzato nella scelta del consigliere, che già precedentemente si è schierato per un candidato presidente.

Insomma, un sistema che vive di varie falle e all'interno del quale gli attestati di stima nei confronti Gavazzi sono davvero centellinati, almeno pubblicamente. Ricordate quando, nel ventennio berlusconiano, nessuno asseriva di essere un elettore del Cavaliere, ma quest'ultimo continuava a vincere le elezioni? Ecco, una cosa del genere. Solo che in ballo non c'è il Paese intero, ma il futuro di uno sport bellissimo, che oggi fatica.

Ultima modifica il Mercoledì, 21 Settembre 2016 12:03

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