Nel secondo weekend del Sei Nazioni 2015 l'Italia ha rimediato un'altra sonora sconfitta a Twickenham, in Inghilterra. Uno sport di nicchia per decenni in Italia, ha visto la sua esplosione negli ultimi anni, con azzeccate mosse di marketing e, soprattutto, con le imprese degli azzurri nel Sei Nazioni 2012 e 2013, che hanno portato la palla ovale sugli schermi mainstream. Un periodo in netta ascesa, che forse ha già visto il suo picco, considerando le attuali difficoltà che vive il momento rugbistico italiano e il relativo calo di attenzione nei confronti di quest'ultimo.
Disattenzioni che, tuttavia, non si verificano all'Aquila: nel capoluogo abruzzese la palla ovale fa parte del dna della gente. Non c'è una persona del comprensorio che non abbia in famiglia, o tra amici e conoscenti, un rugbista (o una rugbista). Sabato scorso, come in occasione di ogni partita della nazionale, i pub (foto a destra) della città si sono riempiti, come nel resto del Paese succede solo per le più importanti manifestazioni calcistiche. E' una dinamica sociale stupefacente che non può essere ignorata, perché rappresenta, semplicemente, un caso unico in Italia. Escludendo piccole comunità - in termini demografici - e pochi altri casi (su tutti Rovigo), si può affermare che quando c'è il rugby sui campi da gioco, o in televisione, non esiste luogo in Italia che aggreghi come L'Aquila.
Lo sport, lo sentiamo spesso ripetere come un continuo mantra post-sismico, è un collante sociale importante. Lo è all'Aquila, come nelle piccole comunità dell'Abruzzo interno. E il rugby, in particolare, non è solo uno strumento di aggregazione, ma anche parte dell'identità (o quel che ne rimane) della popolazione che vive il territorio interno della regione.
In realtà, non ci sono particolari e clamorosi motivi storici per i quali il rugby e L'Aquila hanno iniziato ad amarsi: in fondo, la squadra di rugby nacque quasi un decennio dopo quella del calcio. Quasi banalmente però, rispetto a quest'ultimo, si è creato nel corso dei decenni un movimento, costruito da grandi maestri e altrettanto grandi allievi, che ha portato il rugby del capoluogo abruzzese ad altissimi livelli dal punto di vista tecnico, con la vittoria di scudetti e la presenza - quasi costante - di aquilani in nazionale. Ancora oggi, infatti, una delle bandiere dell'Italrugby è Andrea Masi, mentre il capitano (Sergio Parisse) è figlio di un rugbista aquilano. Giusto per procedere ad esempi, in questa stagione c'è la presenza di una o più compagini aquilane in tutte le serie dei campionati nazionali (dall'Eccellenza alla C1) e, naturalmente, in quella regionale.
Il "merito" della tradizione rugbistica dell'Aquila non va certo poi dato alle caratteristiche intrinseche dello sport con la palla ovale, al di fuori di ogni retorica - divenuta ormai stucchevole e poco aderente alla realtà - secondo la quale il rugby è il nobile sport dei corretti. L'Aquila e gli aquilani, infatti, non sono mai stati tutti nobili, né è mai esistita nella storia una popolazione che abbia della "correttezza" un tratto distintivo.
Dall'Eccellenza alla C2, passando per le giovanili, ogni weekend gli spettatori sono nell'ordine di almeno un paio di migliaia. Numeri altissimi, considerando che L'Aquila è una città con una densità abitativa bassissima - sono difficili gli spostamenti - e che, ad ogni modo, è tutt'altro che una megalopoli.
Ma quanta ricchezza genera - in entrata e uscita, s'intenda - il rugby alla comunità e al comprensorio aquilano? Pochissima. La palla ovale potrebbe diventare persino fattore di crescita economica di un territorio che vive una crisi di reddito senza precedenti? Potrebbe, se facesse parte di una visione complessiva del rilancio della città. Non è né irreale, né romanticamente utopico.
Ma come? Sfruttando la forte e radicata appartenenza culturale della popolazione aquilana a questo sport, e smettendola con le divisioni. Sia chiaro, chi scrive non è un assertore della retorica secondo la quale 'uniti si vince'. Anzi, spesso dietro il grimaldello ipocrità dell'unione di intenti si cela la sopraffazione del più forte sul più debole.
Però, è altrettanto vero che, di questi tempi, non c'è sempre sostenibilità - in primis economica - per le sei società che schierano altrettante seniores (L'Aquila Rugby Club, Gran Sasso, Belve Neroverdi, Paganica, Cus L'Aquila, Polisportiva L'Aquila) in una città di meno di 70mila abitanti, considerando anche che le compagini giovanili, invece, rappresentano in proporzione un numero nettamente inferiore.
In fondo, se imprese edili concorrenti nel settore della ricostruzione, costruiscono le ati per essere più forti in una gara di appalto, perché non farlo - come in parte già succede - anche nel rugby, sfruttando professionalità, e impostando un lavoro di squadra, anche con opportunismo, ma soprattutto su basi dettate dalla pianificazione e dalla visione d'insieme?
Un ragionamento che non può essere evitato a proposito della gestione delle strutture a disposizione, troppo poche per rispondere a una domanda paradossalmente in crescita, soprattutto per quanto riguarda i giovanissimi. Una sinergia sulle strutture, per esempio, potrebbe dare un campo stabile ad alcune neonate esperienze in crescita del rugby giovanile aquilano, come Rugby Experience, o l'Amiternina Rugby dell'instancabile Elio Tazzi, ritrovatosi recentemente con il terreno di gioco di Lucoli sotto mezzo metro di neve.
Il brand da vendere c'è, anche in termini di marketing spicciolo. Per fare un esempio, gli scambi internazionali (in tutte le stagioni), approfittando anche della spettacolare natura di cui è circondata la conca aquilana, potrebbero essere numerosi, articolati, antropologicamente interessanti, virtuosi e redditizi. Immaginate raduni continui - come successo in passato - di giovani inglesi o francesi. Potrebbe essere, insomma, una "scommessa sul turismo", al pari di quella che qualcuno adduce alla zona della Ienca, o che si vorrebbe intraprendere attraverso la cultura (leggasi la fallimentare candidatura a capitale della Cultura o I Cantieri dell'Immaginario). Insomma, il rugby può essere come lo zafferano per Navelli o la Perdonanza Celestiniana per L'Aquila. D'altronde, persino i centri commerciali, in questi anni, sono diventati "possibili" fattori protagonisti per il rilancio dell'economia.
Potrebbe essere un circuito tutto da costruire, che poserebbe su basamenta culturali radicate. Un percorso lungo, ma alla lunga virtuoso e redditizio. Uno degli elementi - nessuno pretende che sia l'unico - per la sostenibilità economica di una città e di un comprensorio agonizzante. Una scommessa.
Perché no. In fondo, nel suo spirito primordiale, il rugby è più etico dell'economia del mattone, e più salutare delle cave.