Lunedì, 21 Marzo 2016 20:54

La calda primavera delle università, Inverardi: "Basta tagli, ora investire"

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E' iniziato con il ricordo delle 13 studentesse morte in Spagna l'incontro pubblico svoltosi nell'aula magna del Dipartimento di Scienze Umane, a L'Aquila, in occasione della Primavera delle Università, la giornata di mobilitazione nazionale voluta dalla Crui (la conferenza dei rettori) per chiamare a raccolta gli atenei di tutta Italia e lanciare l'allarme sulla mancanza di risorse, sul rischio di perdita di competitività a livello internazionale e sulla necessità di investire nel sistema pubblico d'istruzione.

Una tragedia, quella avvenuta in Catalogna, nella quale solo per caso non è rimasto coinvolto nessuno dei tre studenti Erasmus dell'ateneo aquilano che in questo momento si trovano in Spagna. Una di loro, una ragazza, aveva partecipato alla stessa gita da cui tornavano le vittime ma viaggiava su un altro autobus.    

All'incontro, insieme alla rettrice dell'ateneo aquilano, Paola Inverardi, hanno partecipato alcuni rappresentanti istituzionali (Stefania Pezzopane, Massimo Cialente, Giuseppe Di Pangrazio, Betty Leone e Emanuela Di Giovambattista) e del sindacato, più un nutrito gruppo di docenti e professori, tra cui il direttore del Gssi Eugenio Coccia, Luigi Gaffuri (professore di Geografia di Univaq), la professoressa Francesca Mandanici, che ha presentato il bilancio sociale dell'ateneo.

“Questa vuole essere anzitutto una giornata di rivendicazione” ha dichiarato a NewsTown Paola Inverardi “Lo  avevamo detto anche all'inaugurazione dell'anno accademico davanti al presidente Mattarella: un Paese che vuole avere prospettive di crescita deve investire in capitale umano e formazione, come sta avvenendo in Europa e nel resto del mondo. Negli anni passati abbiamo sperimentato una serie di tagli drammatici, il peggiore dei quali è quello sulle risorse umane. Le università si reggono sul capitale umano, se si taglia su quello si taglia sull'istituzione tout court”.

In effetti, a leggere i dati e le cifre, ne viene fuori una specie di bollettino di guerra.

L'Italia ha compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università.

Una scelta politica, nonostante la crisi, opposta a quella dei maggiori paesi avanzati e in via di sviluppo.  

Secondo il rapporto della Fondazione Res, l'Istituto di ricerca su economia e società presieduto da Carlo Trigilia, gli studenti immatricolati sono crollati del 20% (65mila in meno in un decennio) mentre i docenti sono passati da poco meno di 63 mila a meno di 52 mila unità, il personale tecnico amministrativo da 72mila a 59mila, i corsi di studio da 5 mila 634 a 4 mila 628. E il Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) è diminuito, in termini reali, del 22,5%.

A dire il vero su quest'ultimo punto ci sarà, nel 2016, una lieve inversione di tendenza.

La legge di Stabilità ha aumentato infatti il FFO dello 0,7%. Un incremento minimo ma se non altro, ha detto la senatrice Pezzopane, “per la prima volta dopo tanti anni non ci saranno tagli. Anche i fondi per il diritto allo studio sono stati rimpinguati di 50 milioni”. Cifra lontana dal fabbisogno di 200 milioni stimato dalle organizzazioni studentesche ma che va letta soprattutto come segnale di un cambio di rotta politico.

Uno dei motivi alla base del crollo delle immatricolazioni di questi anni, del resto, è stato proprio il taglio dei fondi statali per borse di studio e alloggi:“Disinvestire sul diritto allo studio in un momento pluriennale di crisi economica” afferma la rettrice Inverardi “ha estromesso dalla formazione universitaria larghe fasce del Paese”.

Un altro dato che sta a testimoniare un seppur piccolo mutamento di scenario è il piano di assunzioni di oltre 800 ricercatori contenuto sempre nella legge di Stabilità, un'infornata che tuttavia non riuscirà a compensare la perdita di posti tra docenti e personale amministrativo dovuto al blocco del turnover.

Da dove si riparte per risollevarsi da una crisi tanto profonda? “Cercando di rendere più virtuoso il sistema” dice la Inverardi “meno concorrenziale e più coerente nelle sue varie diramazioni, instaurando collaborazioni tra atenei e accordi internazionali, favorendo la qualità e mettendo in campo, come territori, misure che consentano di abbattere il costo di uno studente fuori sede. Le tasse non sono che una percentuale di questo costo e incidono un quindicesimo sulla spesa che una famiglia italiana deve affrontare per mantenere un ragazzo o una ragazza in un'altra città. C'è molto da fare” continua la rettrice “noi, come città, potremmo fare molto, in termini di offerta abitativa, trasporti, attività culturali e ricreative. L'università sta già mettendo in campo delle iniziative, grazie al fatto che questo territorio ha un'offerta culturale ricchissima che non necessita altro che essere messa a sistema”.

Il ritorno a un regolare regime di pagamento delle tasse (dopo l'esenzione durata 5 anni per effetto dell'accordo di programma con il Miur stipulato all'indomani del terremoto) e l'introduzione di corsi a numero chiuso sono stati additati come i due principali fattori che hanno determinato, nell'ultimo anno, un sensibile calo degli iscritti e degli immatricolati nell'ateneo aquilano (si tratta, va detto, di una diminuzione in linea con il dato nazionale). Per attrarre studenti servono, però, anche servizi efficienti (trasporti in primis),  alloggi ad affitti calmierati, una qualità della vita che in questo momento all'Aquila mancano e che certo l'università da sola non può fornire, essendo, molte di queste cose, di competenza degli enti locali.

Dopo anni contrassegnati dall'assenza di decisioni concertate, frutto di analisi condivise, tra l'università e le altre istituzioni locali sembra essere tornata quantomeno un po' di collaborazione: “Da qualche mese abbiamo istituito un tavolo permanente con Comune, Regione e Adsu nel quale cerchiamo di fare ragionamenti per mettere in atto strategie complessive che poi devono essere declinate concretamente dalle istituzioni che hanno potere decisionale. Sul progetto Case  deve esserci un piano organico, alcuni insediamenti possono essere utilizzati ma non tutti. Deve esistere un piano di integrazione complessivo, un ragionamento sui centri di socialità attorno ai quali costruire un piano omogeneo basato sui servizi e i trasporti. I ragionamenti si stanno facendo, ogni tanto si dà troppo spazio a proposte spot ma credo che stiamo andando nella direzione giusta”.

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