di Laura Mastracci - Il divario economico da sempre esistente tra Nord e Sud Italia si riflette sull'emigrazione degli studenti universitari dal Mezzogiorno alle Alpi.
Le università al Sud sono, infatti, in calo di iscritti: il 36,4% dei neo-studenti si sposta verso i poli industriali del Settentrione, abbandonando storici centri di cultura per atenei di più recente formazione. A dimostrarlo, come abbiamo sottolineato in un articolo del luglio scorso, anche le posizioni all'interno della classifica delle università nel 2015, pubblicata come sempre da Il Sole 24 Ore. In graduatoria, troviamo infatti ai primi posti gli atenei di Verona, Trento, Milano, Bologna e Padova. In fondo alla classifica c'è invece il Sud, con Calabria-Rende, Palermo, Catania, Napoli, Cagliari e Bari.
A causare questa "diaspora" di studenti meridionali che vanno a studiare al Nord sono le mancate possibilità lavorative post-laurea. Il tasso di occupazione è, infatti, del 52% per i laureati del Nord, e di appena il 35% al Sud e non è un caso se, a cinque anni dalla laurea, il 39% dei meridionali "fugge" al Nord. Inoltre, la percentuale degli studenti che si laureano al Sud, il 18,9%, è di più di due punti inferiore alla media nazionale (21%).
In questo quadro, si colloca anche l'Abruzzo, che nell'anno accademico 2015-2016 ha perso 6.119 studenti, il 35% dei nuovi universitari, i quali hanno preferito un ateneo del Nord Italia ad uno dei tre offerti dalla regione.
Nello specifico, secondo l'Anagrafe nazionale degli studenti, sono le Marche la regione scelta dal maggior numero di neo-immatricolati abruzzesi (709 iscritti). Al secondo e terzo posto l'Emilia Romagna e il Lazio, che contano rispettivamente 486 e 431 iscrizioni. A seguire, Lombardia, Piemonte, Toscana e Veneto.
E' evidente come gli atenei abruzzesi godano di scarsa attrattiva per gli studenti, in linea con la già citata classifica sulle università statali stilata da Il Sole 24 Ore, che inserisce Teramo, Chieti-Pescara e L'Aquila al 31esimo, 33esimo e 53esimo posto, su un totale di 61 università.
Molti studenti, inoltre, abbandonano gli studi dopo il primo anno perché non riescono a pagare le tasse, altri ancora non li iniziano affatto, accontentandosi di un diploma di scuola superiore.
Ma la ricerca di un lavoro sia per i diplomati che per i laureati è, come noto, ardua: cresce sempre di più, dunque, il numero di Neet (Not in education, employment, or training), ovvero i giovani che non studiano né lavorano, con un aumento del 25% dal 2008 al 2014, che ora si aggira intorno ai 3 milioni 512mila giovani. Di questi, secondo le statistiche, due milioni sono donne e altrettanti sono meridionali.
La crescente convinzione che studiare non serva più si aggiunge, perciò, alle già precarie condizioni delle università del Sud. Lo scarso ricambio generazionale del corpo docenti (su 12mila professori solo 8mila hanno meno di 40 anni) la mancanza di fondi - è stato tagliato un quinto delle risorse negli ultimi cinque anni - restano problemi irrisolti degli atenei del meridione.