"Il gioco del silenzio: c'è spazio nei media per le crisi dimenticate?" è il convegno che si è tenuto venerdi nella Sala dei Comuni del Municipio di Ferrara, per il Festival di Internazionale 2013. Ospiti dell'evento sono stati Mario Calabresi, direttore responsabile de La Stampa, Andrea Vianello, giornalista e conduttore di Rai3, Mary Harper, reporter per i paesi dell'Africa Centrale della BBC, e Nondas Paschos, direttore del settore comunicazioni dell'associazione umanitaria Medici Senza Frontiere.
Ogni giorno, da molti anni a questa parte, centinaia e centinaia di persone muoiono in tutto il mondo a causa di rivolte civili soppresse nel sangue, guerre, fame. Alcuni perdono la vita nella speranza di raggiungere un futuro migliore, come gli oltre 111 migranti che, solo due giorni fa, sono morti in mare, nell'incendio che ha divorato il barcone su cui viaggiavano in condizioni disumane. Eppure tv e quotidiani europei continuano a occuparsi prevalentemente di teatri politici interni, questioni bancarie e gossip. Le emergenze umanitarie di portata mondiale vengono spesso riassunte dai giornali in cinque righe stringate, relegate alle varie rubriche "dal Mondo", e trasmesse in seconda o terza serata dalla televisione - qualora programmi di approfondimento sulle vicende estere vengano inseriti nei diversi palinsesti delle reti televisive. Spesso a causa delle risorse economiche che scarseggiano sempre più anche per i grandi colossi dell'informazione, nel vecchio continente si è spinti a fare una dura selezione fra le tragedie che - solo apparentemente - non ci riguardano direttamente. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la responsabilità è di editori e giornalisti, che stanno perdendo interesse per tutte quelle "notizie che non fanno più notizia" - come le ha definite, amareggiata, Mary Harper. Lo stesso Andrea Vianello, nel corso della conferenza, ha ammesso con rammarico che il motivo principale per cui la tv italiana è invasa da talk show dedicati solo alla politica interna, è il basso costo di produzione che questo tipo di programmi comporta per l'emittente televisiva.
Le crisi, dunque, per quanto si macchino di sangue, cadono inesorabilmente nel dimenticatoio. Troppo costose da trattare in termini di produzioni e poco redditizie dal punto di vista dello share - che si tratti di giornali o reti televisive. Oggi, nel 2013, l'informazione che porta guadagno, a chi la produce, è quella "generalista". Il grande pubblico infatti, vessato spesso da politica interna e problemi economici e bombardato da una grande quantità di notizie non qualitativamente selezionate che arrivano dal web, non ha voglia di ascoltare. Dall'altro lato, tanti giornalisti non sono in grado - o non vogliono - raccontare. Così le emergenze umanitarie diventano notizie di interesse nazionale solo se riescono a colpire il mittente a livello emotivo. Di conseguenza la maggior parte dei media segue le crisi solo quando "commuovono", "indignano" o "sconvolgono" l'opinione pubblica.
"Senza pretendere che le cosiddette 'crisi dimenticate' godano dell'attenzione di tutti, noi media dovremmo iniziare a non seguirle solo quando raggiungono il picco emotivo - ammette Calabresi - bensì dovremmo iniziare a riservare costantemente degli spazi fisici e mentali alle vicende estere, parlando meno di politica interna". Trovare un nuovo modo di fare informazione sarebbe, quindi, alla base di un più ampio e costante coinvolgimento della popolazione in questioni delicate e spesso drammatiche. Dalla tratta dei migranti ai conflitti mediorientali, vicende che riguardano l'Europa tutta, più di quanto si dica. Finché i media non daranno una svolta contenutistica all'informazione, le stime dell'attenzione prestata dalle emittenti televisive italiane alle "crisi dimenticate", tenute da Medici Senza Frontiere, rimarranno allarmanti.
Secondo il rapporto di MSF del 2012, i telegiornali hanno dedicato il 2% dei servizi al terremoto di Haiti e il 3% dei servizi all'emergenza mondiale della malnutrizione, contro il 30% dei servizi sulle previsioni apocalittiche dei Maya.