Laureato con 110 e lode in Filosofia della Scienza a La Sapienza, Simone Gozzano si è insediato dal primo dicembre come direttore di Scienze Umane, con il difficile compito di gestire uno dei dipartimenti meno “forti” dell’ateneo, in un periodo di per sé già complicato. E’ bene dunque guardare al nuovo anno, cercando di capire quale strada seguire per rilanciare l'offerta formativa di Scienze Umane.
Studentown ha incontrato il neo direttore, tra problemi presenti e futuri, e un possibile punto di svolta: un nuovo corso triennale e magistrale, il “Politecnico di Scienze Umane”.
Qual è il bilancio di questi primi mesi da direttore?
In realtà, ufficialmente mi sono insediato il primo dicembre quindi non è neanche un mese ma mi è sembrato nel complesso molto positivo, nel senso che in questi venti giorni, grazie all’aiuto dei colleghi e del precedente direttore, Alfio Signorelli, abbiamo ricostruito la giunta, un organo che mi aiuterà nella gestione del dipartimento. Inoltre ho un ottimo vice-direttore, Livio Sbardella, ed ho iniziato a tessere rapporti con i presidenti dei corsi di studio ai quali ho ribadito che sarà necessario inizino a confrontarsi più orizzontalmente di quanto non accadesse prima: invece che far riferimento solo al direttore, è importante che ci sia una sorta di collegio dei presidenti dei corsi di studi capace di affrontare i problemi della didattica. In giunta, ho avuto il piacere di vedere eletti dei colleghi giovani e mi sembra importante iniziare un’opera di ricambio. In questo senso, siamo in sintonia con la Rettrice. L’idea di candidarmi, d'altra parte, è legata anche alla sua elezione.
Come procede la collaborazione con gli altri docenti?
I consigli sono diventati più partecipati? Per ora ce n'è stato soltanto uno ed era facile che fosse partecipato perché era un po’ il battesimo, vedremo se durerà da gennaio in poi. Sicuramente, cercherò di abbreviare i consigli e, così, la partecipazione dovrebbe essere premiata dal fatto che verranno prese delle decisioni in poco tempo.
Che situazione ha trovato al momento dell'insediamento?
Niente che non mi aspettassi. Alfio Signorelli aveva già avviato diverse cose. Adesso, ci troviamo di fronte al “muro della Gelmini” e alla imposizione che per il 2016/2017 ci sia un certo rapporto fra numero di docenti e corsi di studio. La nostra offerta formativa è decisamente in debito. E’ necessario, perciò, riorganizzare la proposta ed è un inizio piuttosto impegnativo perché con il nuovo anno accademico si entra in periodo di possibile moratoria della legge. Se si fanno dei cambiamenti si devono subito soddisfare i requisiti al più alto livello, i cosiddetti “requisiti a regime”, quelli che impongono cioè dodici docenti per un corso di laurea triennale ed otto per un corso di laurea magistrale. Ora o mai più, dunque, nel senso che tra tre anni ci saranno delle penalità. Abbiamo deciso comunque di cambiare quando saremo realmente pronti. Come dire: aspettiamo ad entrare nella festa fino a quando non ci saremo preparati.
E per essere preparati quali saranno le misure che intendete prendere?
Penso che siamo dinanzi ad un bivio: una strada è rimodulare l’attuale offerta formativa, con le minime modifiche necessarie e sufficienti a soddisfare i requisiti della Legge Gelmini, l'altra è un cambiamento piuttosto profondo. Questo cambiamento, come raccontavo in consiglio di dipartimento, si centra, a mio parere, su un progetto che sto cercando di portare avanti. L’idea è di proporre un nuovo corso di laurea all’interno della classe di Lettere che si dovrebbe chiamare “Politecnico delle Scienze Umane”: è un’idea nuova perché in Italia non esiste un corso di laurea di questo tipo. Vuole sottolineare come nelle scienze umane ci siano delle tecniche molto antiche che sono quelle della memoria, della scrittura, dell'argomentazione, dell’analisi dei testi, dell’analisi delle immagini. Noi tendiamo a darle un po’ per scontate e a considerarle di serie b, forse per una questione che affonda le radici in un certo modo di disprezzare la tecnica, dovuto a filosofi come Croce e Gentile che non l’amavano molto. Io invece credo ci sia un gran bisogno di queste tecniche per formare professionisti competenti, capaci di gestire le tecnologie, di occuparsi dell’e-learning, di costruire progetti culturali interpretati in senso moderno. Per questi motivi, sto esplorando l’ipotesi di dar vita ad un corso che, di fatto, renda il Dipartimento di Scienze umane un laboratorio di idee.
Questo corso racchiuderà altri corsi già esistenti?
Dovrebbe nascere al loro posto: da filosofia a lingue, e dovrebbero poterci confluire alcuni dei docenti di Lettere. Il dipartimento manterrebbe comunque un corso di Lettere classiche, insieme a questo corso polivalente e al percorso di laurea in Scienze della Formazione Primaria. Naturalmente è un’ipotesi che non imporrò ai colleghi ma sulla quale spero riflettano per decidere se perseguirla o meno.
Racchiudere tanti corsi di laurea in un unico percorso di studi potrebbe sembrare un po' limitante: il corso sarà modulabile grazie ad un piano di studi che lo studente sceglierà in base alle proprie inclinazioni?
Ovviamente è da mettere a punto: la mia ipotesi, però, nasce dalle aspettative per la sopravvivenza di questo dipartimento. Come tutte le altre università italiane, siano in competizione con importanti atenei come Roma o Chieti-Pescara: dobbiamo chiederci se e come sopravviveremo da qui a cinque anni con l’attuale offerta formativa. Io penso che ci sia ragione per dubitarne e allora cosa fare per evitarlo? Possiamo riformare l’attuale offerta formativa ed attestarci in termini per così dire “difensivi” per poi, piano piano, venire erosi da università più grandi di noi. A quel punto, si inizierebbe a chiudere un corso dopo l'altro. Non varrebbe allora la pena, invece di stare ognuno sulle proprie posizioni, di unirci e fare qualcosa di completamente nuovo e diverso?
In campagna elettorale, avanzava come possibile soluzione un potenziamento delle lauree magistrali. Come mai ha abbandonato l'idea?
Intanto, non molti colleghi intendevano seguirmi su quella strada e non si possono imporre delle idee. In secondo luogo, non era chiarissimo da quali triennali saremmo andati a “pescare” gli studenti magistrali, ovvero quali lauree triennali sarebbero andate a convergere in quelle magistrali. Inoltre, ho notato che le università delle due coste tendono a mantenere tutta la filiera. Quindi forse sarebbe stato più difficile di quanto immaginassi all’epoca riuscire ad avere delle magistrali capaci di attrarre i ragazzi anche da altri atenei.
Lei è un docente di filosofia e, come direttore, si troverà ad affrontare intricati problemi burocratici. In che modo pensa di conciliare la sua propensione per la filosofia con aspetto molto più tecnici?
Conosce la storia di Talete? Talete era uno dei primi filosofi e tutti lo accusavano di essere astratto. Decise, però, di affittare tutti i frantoi e - al momento del raccolto delle olive - nessuno poté lavorare: “Vedete - disse - si può anche essere pratici e con spirito imprenditoriale pur essendo filosofi”. Di filosofi ce ne sono molti che cascano nel tombino, da questo punto di vista tendo ad essere un po’ più empirista. Fuori dalla metafora, l’affronterò come tutte le persone che hanno le capacità per gestire praticamente la propria vita, naturalmente conterò sul fatto che ci sono degli ottimi colleghi del personale tecnico amministrativo che mi stanno aiutando molto. Se la questione è se riuscirò ad avere del tempo per fare filosofia, spero di sì ma inizio a dubitarne.
In una intervista del 2010, aveva dichiarato che i due problemi principali del dipartimento erano l’assenza di una mensa e di una biblioteca. Problemi che gli studenti vivono ancora oggi. In che modo il direttivo si sta adoperando per porvi rimedio?
Il problema della mensa non è strettamente legato al singolo dipartimento, è un problema di sistema. E' chiaro, però, che ci si sta lavorando. Si sono già esplorate diverse possibilità: dalla tensostruttura qui vicino, al reperimento di locali, di pasti pronti. Per quanto riguarda la biblioteca, la vicenda si sta evolvendo: abbiamo una bella aula di lettura e abbiamo recuperato una buona parte dei libri. Altri sono a Bazzano e c'è un servizio di navetta. Stiamo insistendo per l’informatizzazione: per esempio, con Antonella Di Nisio stiamo iniziando a mettere un’icona sulla guida dello studente per far presente la disponibilità di libri in formato elettronico. C’è poi una seconda ipotesi: dotarsi di un certo numero di e-reader da offrire direttamente agli utenti. E poi richiamo con forza il Provveditore alle Opere Pubbliche ai suoi compiti: attendiamo il collaudo ufficiale e formale per poter apportare delle modifiche e poter trasportare ulteriori libri da Bazzano al dipartimento.
Negli ultimi mesi, l’aula magna è stata un punto di incontro per tutta la cittadinanza. Come proseguirà questa “collaborazione”?
L’idea che il Dipartimento debba essere un polo culturale aperto alla città è naturalmente molto presente, in fin dei conti è il primo edificio pubblico riaperto nel centro storico. La Rettrice ci tiene molto alla capacità dell'Università di innescarsi nella vita della città: ha di fatto azzerato tutti i prorettori, ma ha voluto comunque mantenere un prorettore delegato alle attività culturali, il mio predecessore e collega Signorelli. Quindi l’Università vuole essere un punto di raccordo con la cultura e per la cultura della città e noi del Dipartimento di Scienze Umane siamo capo-fila per questioni logistiche e di tradizione.
Nel 2015 torneremo a pagare le tasse universitarie e anche per il nostro dipartimento sarà uno scoglio da affrontare. Su cosa si punterà per mantenere l’attrattività?
Il problema della residenzialità è un problema che trascende il singolo dipartimento però, dal nostro punto di vista, indubbiamente il fatto di poter godere di una bella struttura situata in maniera ottimale, anche dal punto di vista logistico, spero possa aiutare. Un’altra caratteristica che mi auguro aiuti a far rimanere con noi il maggior numero di studenti è quella di riuscire ad avere un’immissione di nuovi docenti, c’è un piano per gli associati, ci sono pochi fondi ma l’idea sarà quella di riuscire ad avere un bilanciamento tra le progressioni di carriera interne e i nuovi docenti.
Puntare su una formazione di qualità, dunque.
Esattamente e consideri che, a proposito di qualità, il ministero ha fatto una Valutazione Qualità della Ricerca (VQR) in cui come Dipartimento ci siamo posizionati abbastanza bene, sia per l’area dieci che undici, cioè quella antichistica e quella più modernista. Da questo punto di vista ci presentiamo bene. Naturalmente, non è evidente per uno studente di liceo se non si comincia a parlarne.
Che tipo di futuro immagina per la nostra università?
Io spero nel progetto che condivido con la rettrice. L’Aquila è una città ferita che ancora deve ripartire: può farlo soltanto con un progetto interessante e nuovo. Non si può rimettere in piedi lo status quo perché vorrebbe dire ripartire con cinque o sette anni di ritardo. Secondo me si riparte se si è capaci di interpretare la tragedia in modo innovativo, rendendo L’Aquila una città interessante, con tecnologie integrate e soluzioni urbanistiche. L’ateneo è senza dubbio un elemento fondamentale per la città: prima del terremoto, avevamo 65mila abitanti e 25mila studenti e il Pil dell'Aquila era costituito per il 30% dall’università. E' chiaro debba essere il perno ed il fulcro sul quale ricostruire la città.