Giovedì, 26 Giugno 2014 14:59

Educare alla tecnologia: cosa non ha funzionato

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Finisce un anno scolastico e si guarda avanti, a quello nuovo e ai nuovi progetti. E' bene, però, dare anche uno sguardo indietro per vedere, effettivamente, cosa ha funzionato e cosa evidentemente no.

La tecnologia oramai è parte integrante della nostra vita ma troppo spesso viene trascurata l'educazione tecnologica. Per quanto l'utilizzo di internet si sia espanso ad usi che non avremmo mai immaginato, permane il rischio che per le giovani generazioni sia uno strumento di svago piuttosto che di lavoro. Un corretto uso dovrebbe iniziare in famiglia: gli ultimi dati Istat, però, svelano che in Italia solo il 60,7% delle famiglie accede alla rete da casa. Nonostante la soglia sia variabile nel territorio e, ovviamente, a seconda dell'età di chi ne usufruisce, - nelle famiglie con almeno un minorenne la quota sale all'85,7% - l'Italia resta molto indietro rispetto al contesto Europeo e vi sono casi preoccupanti di analfabeti digitali totali.

Se dunque l'educazione alla digitalizzazione non può avvenire tra le mura domestiche, è bene che la scuola se ne prenda carico attraverso le competenze ed i mezzi adeguati. Su questa ragionevole scia, si è mosso negli ultimi anni il Ministero dell'Istruzione che ha provato a digitalizzare la scuola attraverso diversi progetti compresi nel Piano Nazionale di Scuole Digitale ma con risultati che, a quanto pare, restano deludenti.

Andiamo con ordine.

E' scontato che, se si vuole beneficiare di vari strumenti tecnologici, la scuola necessiti di una connessione veloce. Quest'anno sono stati previsti ben 15 milioni per il potenziamento della rete internet preesistente, attraverso l'installazione di dispositivi wireless. Un nota positiva che guarda però solo alle scuole superiori, lasciando elementari e medie ancora a bocca asciutta. Eppure è proprio in quell'età che servirebbe un maggior stimolo ad un corretto utilizzo della tecnologia mentre alla superiori, dovrebbe trattarsi ormai di un sapere consolidato. Ma restiamo con i piedi per terra. Secondo i dati forniti dall'Osservatorio Tecnologico del Miur solo il 10,5% delle scuole di primo grado avrebbe una connessione veloce, percentuale che arriva al 23,1% nel caso delle superiori, mentre in totale più del 53% delle aule sono completamente disconesse.

I piani di azione, previsti dal bando indetto dal Miur per l'anno 2013/2014, prevedevano un impegno di 40 milioni circa in cofinanziamento con le Regioni, da distribuire su tre obiettivi: Piano Lim, Cl@ssi 2.0 e Scuola 2.0. Si tratta, in pratica, di potenziare dal punto di vista tecnologico l'utilizzo delle tecnologie nelle attività didattiche quotidiane, a livello di classe o, in senso più ampio, di istituto.

LaRepubblica.it ha aperto un'inchiesta a proposito, dimostrando l'effettivo fallimento dei progetti previsti per quest'anno. Sembra, infatti, che le Cl@ssi 2.0 fin qui attivate sono 416 in tutto su 323.605 e 14 le Scuole 2.0 su 22.600 sedi. L'unico obiettivo parzialmente raggiunto è quello delle Lim, le lavagne multimediali presenti nelle scuole nel 32,2% dei casi, per un totale di 71.800.

Tuttavia, una lavagna digitale senza qualcuno che ne sappia usufruire nel modo giusto, resta uno strumento fine a se stesso. Ogni docente dovrebbe adattarsi ai cambiamenti che il mondo della formazione richiede ma, qualora ciò non avvenga spontaneamente, come è giusto che si comporti la scuola? La situazione cambia da istituto ad istituto ma normalmente i corsi di computer, così come quelli per utilizzare la lavagna multimediale, non sono obbligatori. Inoltre, chi fa questi corsi non è necessariamente un esperto del settore ma, a volte, semplicemente un'insegnante dell'istituto che per un compenso extra insegna ai propri colleghi.

Non è ammissibile che, nel 2014, spetti alla buona coscienza dei professori decidere se è il caso o meno di frequentare un corso di computer. Benché per quelle generazioni la tecnologia come mezzo di informazione potrebbe sembrare alquanto ostica, non è opponendosi ai tempi che si può trovare una soluzione. Ci sono poi molti docenti che vogliono rinnovarsi e che credono nella tecnologia come mezzo di istruzione ma non ne hanno la possibilità. Certo è che il computer, così come il tablet, dovrebbe aprire altri orizzonti della didattica e non essere uno sterile ausilio a quella tradizionale. Aprirsi, sperimentare e provare nuovi modi per insegnare ed apprendere non dovrebbe spaventare. 

La tecnologia, relegata spesso nell'insegnamento dell'informatica, non prenderà mai il posto dei saperi tradizionali ma, con la complicità di tutti, potrà completarli. Prima però è necessario che tutti ritrovino fiducia nell’istruzione, partendo proprio dagli insegnanti e dall’importante lavoro che svolgono nella nostra società.

 

 

Ultima modifica il Giovedì, 26 Giugno 2014 15:33

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