Si è rinnovato ieri l’appuntamento con “L’Aquila città mutata”, il secondo convegno regionale dell’Ans (Associazione Nazionale Sociologi), organizzato da l’Atletica L’Aquila e tenutosi nell’aula magna del Dipartimento di Scienze Umane. “Per noi - ha detto la coordinatrice e giornalista Angela Ciano - è un orgoglio essere nel nuovo polo umanistico, da poco inaugurato nel centro storico. Quale luogo migliore per poter discutere dei mutamenti che questa città offre tutti i giorni?”.
Gli atti tratti dal primo convegno, tenutosi il 18 aprile dello scorso anno in un altro luogo simbolo, la Casa del Volontariato, sono stati raccolti da Paola Aromatario nei “Quaderni in mutazione”.
“Si tratta - ha spiegato - di un contenitore da cui partire per analizzare i mutamenti della nostra città. Non dobbiamo procedere alla cieca, perché significherebbe fare dei danni irreparabili”.
Di forte impatto l’orazione del professor Raffaele Colapietra che ha disegnato con grande leggerezza il quadro della società aquilana, a partire dall’ottocento e fino ai giorni nostri, che appare sconosciuta agli occhi di chi non ha mai studiato i fenomeni storici e sociologici che l’hanno interessata.
In particolare, il professore passando dalla ruralizzazione al brigantaggio, da illustri personaggi che hanno cambiato il volto della città sino ad arrivare all’industrializzazione, si è soffermato su “l’occupazione degli studenti di una città urbanisticamente sconclusionata” e ha rimproverato i giornalisti di non aver mai denunciato lo sfruttamento parassitario, da parte degli aquilani, dei ragazzi.
Il giornalista de “Il Messaggero”, Angelo De Nicola, ha accolto la critica alla categoria, sminuendo il processo Grandi Rischi, definito “un alibi” e ritenendo invece più opportuno un “processo alla comunicazione”.
“Nella fase della prevenzione - ha detto - le istituzioni avrebbero dovuto mandare dei segnali di allerta che, a differenza dell’allarme, hanno un costo pari a zero e avrebbero contribuito a salvare delle vite. In seguito, nel post-sisma, sono state costruite delle definizioni erronee come ‘terremoto d’Abruzzo’ e dei simboli sbagliati”.
A proposito di simboli, dice ancora il giornalista: “la polo a maniche corte di Guido Bertolaso è stato un segno positivo, di lavoro, al contrario della tenuta in giacca e cravatta che il sindaco Massimo Cialente indossava già la mattina del sei aprile mentre c’era chi, come me, era in pigiama”.
Polemica su cui si è pronunciata, ovviamente in difesa dell’amministrazione, l’assessore allo Sport e Tempo Libero, Emanuela Iorio.
Francesco Ciotti, governatore della Misericordia dell’Aquila, ha poi condotto l’attenzione su problemi più tangibili della mise del sindaco e ha riportato i presenti indietro di quattro anni, a quella tragica notte in cui il lavoro dei volontari fu davvero fondamentale, come lo è ancora oggi, soprattutto per tutte quelle persone, in particolare anziani, che sono stati dislocati in angoli remoti del territorio e hanno perso i contatti con il resto della comunità.
Di comunità ha parlato anche Antonella Marocchi, presidente dell’Associazione “Policentrica” che ha sottolineato come l’aspetto sociale dei problemi della nostra città sia in piena emergenza da quattro anni e a che alla base vi è un frammentazione da ricondurre al pre-sisma. Bisogno di un “Urban Center”, luogo di partecipazione cittadina in cui iniziare un tavolo di idee per arrivare a un vero e proprio sviluppo dei progetti.
Le conclusioni sono spettate a Lina Calandra, docente di Geografia, che sta lavorando a statistiche basate su questionari fatti su campioni di giovani e adulti che vivono a L’Aquila. Da questi studi è emerso che i giovani dimostrano molta più consapevolezza della situazione aquilana rispetto agli adulti; in sala, erano presenti, tra l’altro gli studenti del Liceo Cotugno che hanno ascoltato con attenzione e interesse tutti gli interventi. “Quello che stiamo perdendo a L’Aquila - ha aggiunto la professoressa - è la cultura, intesa come comportamenti che traducono i valori delle comunità. Bisogna perciò re-imparare a fare cultura, re-immaginarci e re-organizzarci come comunità ed è impensabile farlo senza le istituzioni”.
“Siamo in una condizione - ha concluso - continuamente mutante, la città è in continua mutazione o ci forniamo gli strumenti che ci diano un’idea di come sta avvenendo questa mutazione o non sappiamo dove stiamo andando”.