Martedì, 19 Marzo 2013 00:59

Non si uccide anche così una biblioteca?

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Spersa fra capannoni industriali a Bazzano, a corto di personale, dimenticata da tutti. La storica Tommasiana fatica ad andare avanti. Nell'indifferenza generale della città e di una classe politica locale poco sensibile alla qualità della cultura e della vita urbana.

Polveri sottili La bandiera della repubblica italiana e quella dell'Unione Europea, issate un anno e mezzo fa il giorno della riapertura, sventolano un po' tristi, ridotte già a due cenci sbrindellati e scoloriti. Ad averle sciupate non è stata solo la normale usura del tempo. La colpa è anche dell'effetto corrosivo delle polveri, delle esalazioni e dei miasmi che si respirano da queste parti.

Che la qualità dell'aria di un nucleo industriale non sia delle migliori lo sa anche un bambino. Viene da chiedersi, allora, perché, dopo il terremoto, la zona industriale di Bazzano sia stata scelta come luogo in cui ricollocare tre prestigiose istituzioni culturali come l'Archivio di Stato, l'università (andata via solo di recente) e la biblioteca provinciale. Si obietterà: non siamo mica nei distretti industriali della Brianza o al petrolchimico di Marghera. Giusto. Il fatto è, però, che non è solo una questione di polmoni. La polvere e le micro particelle inquinanti disperse nell'atmosfera si infiltrano e si depositano anche all'interno delle sale in cui, nella nuova sede della Tommasiana, sono sistemati i libri; non solo quelli  più moderni o di stampa più recente ma anche quelli più antichi, come gli incunaboli, le cinqucentine, i manoscritti. Volumi che necessiterebbero di essere custoditi in locali e ambienti atti a una corretta conservazione.

Le ultime parole famose  «La Tommasiana ha riaperto ma ora non bisogna abbandonarla a se stessa». Così scriveva un quotidiano web locale all'indomani della riapertura della biblioteca. Era il 26 Settembre 2011. Due anni e mezzo dopo il terremoto, che aveva gravemente danneggiato la storica sede di piazza Palazzo, la Tommasi trovava finalmente una nuova casa: un ex mobilificio opportunamente ristrutturato e situato, come detto, nel nucleo industriale di Bazzano, a poche dozzine di metri dall'Archivio di Stato e dalla facoltà di Lettere (poi spostata di nuovo, come sappiamo, in centro storico, nel dipartimento di scienze umane situato nell'ex ospedale S. Salvatore).

La scelta di decentrare queste tre istituzioni in una zona periferica a vocazione industriale era nata dall'idea di creare - sulla falsariga di quanto era stato fatto con il tribunale e la “cittadella della giustizia” - una sorta di enclave della cultura in mezzo a una grigia distesa di officine, cementifici, depositi, capannoni e prefabbricati.

Una delle tante idee di riorganizzazione urbana completamente sballate partorite nel dopo terremoto.

Nonostante una sede nuova di zecca, tutto sommato accogliente e confortevole, per la quale sono stati spesi due milioni di euro (ai quali vanno sommati anche i soldi dell'affitto che la Provincia paga tutti i mesi ai proprietari dello stabile), oggi la Tommasiana fatica ad andare avanti. Per via anzitutto di una localizzazione sbagliata

Da piazza Palazzo a Bazzano Chi, oggi, vuole raggiungere la biblioteca, è costretto a prendere l'automobile. I trasporti pubblici che coprono questa fetta di territorio comunale sono praticamente inesistenti. La fermata di bus più vicina si trova quasi all'incrocio con la statale che porta a Paganica. E di sera, fra illuminazione scarsa e marciapiedi assenti, camminare ai bordi della strada diventa anche pericoloso.

Le biblioteche pubbliche vivono se si mettono in rete con il resto della città, se mantengono una vicinanza fisica con le scuole dell'obbligo, le università, i musei; se, insomma, diventano i luoghi centrali di una sorta di “polifonia culturale”. Ora, è vero che all'Aquila il terremoto ha stravolto e azzerato ogni forma di città ma, quando si è trattato di scegliere dove-ricollocare-cosa, si sono fatti spesso dei guazzabugli paesaggistici e urbanistici. E scegliere di far ripartire una biblioteca nel mezzo di un insediamento industriale, nel vago proposito di trasformare quest'ultimo in un polo umanistico, è uno di quei guazzabugli.

E dire che la riapertura della Tommasi era stata celebrata in pompa magna alla presenza del sancta sanctorum del potere economico, politico e religioso italiano.

Quel giorno, a fare gli onori di casa, oltre agli amministratori locali, c'erano l'immancabile Gianni Letta, allora ancora sottosegretario alla presidenza del consiglio; Bruno Vespa, che all'epoca, dall'alto di incrollabili certezze sui fondi per la ricostruzione, si atteggiava a fustigatore dei poteri locali, a suo dire inadeguati ("Sono furibondo, i soldi per la ricostruzione ci sono, spendeteli", disse con sicumera il conduttore e giornalista televisivo, tanto che perfino Gianni Chiodi si sentì in dovere di rispondere: "Gli stimoli di Vespa a volte prescindono dalla complessità delle questioni"); l'arcivescovo dell'Aquila Giuseppe Molinari; Joaquim Navarro Valls, ex portavoce di Giovanni Paolo II e presidente della Fondazione Telecom; e, ultimo ma non ultimo, lui, il presidente Telecom Franco Bernabè. L'azienda, infatti, tramite la Fondazione, aveva staccato a favore della biblioteca un assegno consistente: 1 milione di euro. Soldi che, in teoria, avrebbero dovuto essere spesi, oltre che per i lavori di ripristino dell'immobile, anche per un progetto di ammodernamento tecnologico e di informatizzazione e digitalizzazione dell'imponente patrimonio librario della Tommasiana. Progetto mai decollato

Digital divideLo scanner che sarebbe dovuto servire a dotare la biblioteca di un archivio digitale contenente i libri antichi e i manoscritti più preziosi è parcheggiato in un corridoio vicino ai bagni. Questo costosissimo macchinario non è mai stato usato. Non è stato scannerizzato nemmeno un libro. Il motivo? Legato, sembra, a una questione di licenze, autorizzazioni e password mai fornite dalla ditta ai dipendenti della biblioteca.

Del resto, per portare a termine un lavoro così lungo e delicato, servirebbe del personale qualificato, assegnato solo a quel tipo di mansione. I lavoratori attualmente in servizio presso la Tommasi non sarebbero assolutamente in grado di svolgerlo, già gravati come sono di una mole di lavoro che si fa ogni giorno più pesante.

Carenze di personale   Fino a qualche anno fa in biblioteca lavoravano 23 persone: impiegati, amministrativi, funzionari e dirigenti. Oggi sono rimasti in 7. E gli amministrativi non ci sono più. Così tutti, anche i funzionari inquadrati con un livello alto, anche i dirigenti, devono adeguarsi a fare un po' di tutto. Dalla schedatura dei libri nuovi - quelli appena acquistati - all'assistenza agli utenti; dal servizio di sala al prestito.

Se oggi la biblioteca, nonostante tutto, va avanti, se riesce a rimanere aperta tutti i giorni, il merito è soprattutto dello spirito di servizio e di sacrificio del personale.

Pochi utenti e internet a singhiozzo La vera nota dolente è costituita proprio dal numero medio giornaliero di presenze, davvero molto basso. Colpa non solo, come abbiamo visto, della lontananza della nuova sede dalla città e dell'assenza di collegamenti, ma anche di tanti altri piccoli disservizi. Come, ad esempio, il cattivo funzionamento di internet. Dal giorno della riapertura, il problema  si è presentato più di una volta. Nel momento in cui scriviamo, la Tommasi è senza connessione da settimane. Non funzionano né le decine di computer acquistate con i soldi della Telecom né il wi-fi. Non solo è impossibile connettersi a internet; non possono essere consultati nemmeno l'archivio e il catalogo interni per le ricerche bibliografiche. Il guasto è stato segnalato da tempo ma nessuno interviene. E se internet non c'è, scappano via anche gli utenti e la biblioteca si riduce a essere una sala studio come tante.

Una biblioteca da salvare Alla vigilia della presentazione ufficiale della propria candidatura a capitale europea della cultura per il 2019, L'Aquila non può fare a meno della sua biblioteca. Bisogna salvare la Tommasi e farne sempre più, in vista di questo importante appuntamento, non solo uno strumento di diffusione della cultura, ma anche di aggregazione, di discussione, di costruzione di identità di un territorio. Un posto da rendere vivo ogni giorno, dove organizzare eventi, dotato delle nuove apparecchiature multimediali e tecnologiche, possibilmente aperto anche durante i fine settimana.

Bisogna puntare sulla Tommasiana, sul suo enorme patrimonio, con scelte politiche di lungo periodo, e magari tenendo bene a mente le parole di Marguerite Yourcenar tratte dalle "Memorie di Adriano": "Fondare biblioteche è un po' come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l'inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire".

Ultima modifica il Mercoledì, 20 Marzo 2013 18:57

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