Venerdì, 28 Settembre 2018 14:15

Collemaggio Connection

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Fa molto discutere la nuova veste del Parco del Sole.

Prima di entrare nel pieno di questo dibattito, però, proviamo a sollevare un po’ lo sguardo e chiediamoci cosa rappresenta e cosa potrebbe rappresentare quel parco. E’ evidente che il suo ruolo non può essere disgiunto da quello svolto dal complesso della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, ma anche dall’ex Ospedale psichiatrico i cui relitti occupano ampia parte della collina omonima.

Prima che dal punto di vista squisitamente architettonico, per giudicare un’opera di uso pubblico bisogna ascoltare la gente e osservare l’effetto che fa. Aggirandosi ai margini e tra le pieghe dell’Amphisculture di Beverly Pepper ci si può imbattere nell’insigne studioso locale che grida allo sfregio dalla cima dell’anfiteatro, nella madre che indica compiaciuta al proprio figlio la bellezza delle forme del proscenio naturalmente posto ai piedi della cavea come anche nelle studentesse che cercano divertite l’inquadratura giusta da postare su Instagram.

Per il resto: molta curiosità per la novità; riappropriazione degli spazi preesistenti e rinnovati; probabilmente troppo sole.

Convercity 1

Teatro parco alla Villa di Celle

L’intervento della Pepper è una variazione sul tema, allora felicemente riuscito, del “teatro parco” di Celle nell’omonima Villa nei pressi di Pistoia.

Nel sistemare un’area che può essere legittimo pensare fosse già a posto com’era, l’intento è stato quello di marcare una relazione con le forme e i colori della vicina basilica, non tanto e non solo con la straordinaria facciata ma con certe peculiarità del pavimento.

Diremo che il parco di Celle è riuscito perché se ne può apprezzare, oggi, la riappropriazione che ne ha fatto la natura: è un teatro funzionante, perfettamente inserito nel prato circostante, che funge anche da scultura e opera d’arte autonoma. Lo stesso può dirsi per l’opera aquilana della Pepper, forse, tranne che per l’inserimento. In attesa che i lavori appena conclusi vengano riconquistati in qualche misura dalla natura, così da eliminare i segni del cantiere e qualche approssimazione costruttiva di troppo, si deve infatti riscontrare un impatto maggiore che a Celle. La pietra della cavea e la stessa conformazione, imposta e solo parzialmente adattata alle forme del luogo, rendono l’opera piuttosto artificiale e anche per questo così discutibile da parte di chi apprezzava e amava la naturale adeguatezza della cavea preesistente.

L’Amphisculture si allontana dal parco e si avvicina al principio del teatro greco, tralasciando il semicerchio focalizzato sul palcoscenico per farsi cavea retta dal respiro più ampio. In questo modo la scena è tanto la conchiglia-proscenio posta ai piedi della cavea, con cui rifiuta particolari rapporti morfologici, quanto lo splendido paesaggio appenninico che spazia da Monteluco a Monte Ocre. E’ un teatro sempre funzionante, che vada in scena lo spettacolo dell’uomo o quello della natura.

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L’espediente formale dello spazio scenico del teatro è, come già a Celle, felice quanto suggestivo: una piccola collina conica è sezionata da un muro di contenimento a pianta semicircolare che funge da quinta e genera il piano scenico. Il semicerchio, nella sua zona mediana, si interrompe e piega in obliquo fin dentro il terrapieno, a produrre un corridoio divergente verso il retro. Una fessura di accesso per gli attori ma anche una via di fuga verso il territorio che però, una volta attraversata, né offre sufficiente spazio per un retropalco, né tantomeno si proietta verso il paesaggio, deludendo le aspettative del fruitore o, almeno, di chi scrive.

Il piano scenico è pavimentato a cerchi bianchi e rossi concentrici, la stessa figura che caratterizza grande e isolata la parte sommitale della cavea. E’ l’evidente riferimento a un motivo della pavimentazione della vicina basilica, in particolare a un quadrante posto sulla navata principale e in prossimità del transetto. Il tema è ripreso e semplificato, spogliandolo dei significati mistici e religiosi, per diventare vero e proprio landmark territoriale visibile fin dalle montagne prospicienti. Su questo aspetto emerge il contributo più intimo della land artist venuta da lontano, quel tocco proprio della cultura nordamericana che, inevitabilmente, ci contamina rendendoci più ricchi.

Le due “Colonne di Narni” poste in cime alla cavea mettono in relazione il teatro con il viale di accesso al parco che è stato brutalmente e colpevolmente privato del doppio filare di alberi preesistente.

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Se la Fontana delle Novantanove Cannelle è il logo ante-litteram dell’Aquila, la facciata di Santa Maria di Collemaggio ne è canone e simbolo di bellezza.

Di questa bellezza è parte integrante il grande sagrato verde, spazio laico in cui si riflette il tempio cristiano proprio attraverso lo specchio della facciata, importante tanto quanto l’interno per il suo ruolo in direzione longitudinale in relazione con la città e in direzione trasversale a riconnettere parco e ex ospedale psichiatrico, aprendo a significati non solo sociali ma anche logistici e di economia urbana.

L’area ospedaliera di Collemaggio, infatti, ha le potenzialità spaziali e posizionali per ospitare diverse funzioni insieme, il che le permetterebbe di rimanere viva in tutte le ore del giorno con il coinvolgimento di persone diverse per interessi, attività, età e provenienza. Le destinazioni sociali più volte auspicate dal basso, la destinazione amministrativa recentemente dichiarata dal Sindaco Biondi, una destinazione a incubatore tecnologico di spin-off dei numerosi centri sperimentali e di ricerca presenti in città, potrebbero e dovrebbero coesistere con l’innesto di vari servizi di prossimità. Ne scaturirebbe un polo della conoscenza di rilevanza extraterritoriale, attrattivo perché calato in un luogo di grande valore ambientale e monumentale, dall’alto grado di mixité funzionale e relazionale (condizione necessaria per il funzionamento dei luoghi della contemporaneità), della cui capacità rigenerativa l’intera città potrebbe giovarsi.

La croce trilobata formata dall’asse centrale viale – sagrato - basilica (a cui reintegrare possibilmente l’orto botanico) e dalla trasversale parco – sagrato - polo tecnologico potrebbe costituire una città nella città in cui affondare le radici nella storia, rigenerare il presente con la bellezza dei luoghi, protendersi verso il futuro tra cortocircuiti e contaminazioni.

La Collemaggio Connection può essere tutto questo sistema di relazioni tra differenti componenti interne, preesistenti e da integrare, come anche tra Collemaggio e l’esterno (cittadino, territoriale, globale); asso nella manica che varrà la pena giocare nella competizione con le altre città.

Marco Morante – architetto e dottore di ricerca in architettura e urbanistica

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Letto 11576 volte Ultima modifica il Sabato, 29 Settembre 2018 13:58
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