Lunedì, 18 Aprile 2016 09:40

13mila tonnellate di rifiuti finiscono in Abruzzo, dal centro Eni in Basilicata

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Più di 13mila tonnellate di rifiuti liquidi trasportati dal centro oli Eni di Viggiano (Potenza) a un impianto di smaltimento dei rifiuti a Chieti Scalo.

Sarebbe questo uno dei punti cardine dell'inchiesta della Procura della Repubblica di Potenza, che in queste settimane ha travolto il colosso degli idrocarburi Eni e la sua attività in Basilicata, portando al sequestro del centro lucano e all'iscrizione del registro degli indagati, tra gli altri, del vice presidente di Confindustria Ivan Lo Bello.

Gli intrecci tra l'Abruzzo e la terra lucana nell'inchiesta non riguarderebbero dunque solo il ruolo del perito Giovanni Damiani [leggi l'articolo], ex consigliere e assessore regionale con i Verdi e direttore tecnico dell'Arta Abruzzo, ma anche l'ingente mole di rifiuti - per l'esattezza 13.482,42 tonnellate - provenienti dall'attività nel centro di Viggiano e finiti nell'impianto della società Depuracque Srl (che risulta estranea all'indagine), in località San Martino.

A denunciarlo è il Forum abruzzese dei movimenti per l'acqua: "Il cuore dell'inchiesta - sottolinea il Forum in una nota - riguarda proprio la classificazione dei rifiuti provenienti dall'impianto lucano, che l'Eni dichiarava non pericolosi mentre la Procura di Potenza li ritiene pericolosi".

Agli atti ci sono intercettazioni nelle quali si parla di problemi di cattivi odori provenienti dai rifiuti che avrebbero interessato diversi impianti in cui venivano smaltiti i rifiuti prodotti dalle estrazioni, tra cui quello chietino. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la questione dei cattivi odori era diventato un problema per gli indagati, tanto che uno di loro avrebbe usato un tono di minaccia per l'impianto chietino in cui si sarebbero verificate problematiche odorigene causate dal rifiuto.

In un'intercettazione, infatti, si parla chiaramente della Depuracque e dell'intento di togliergli il subappalto qualora le lamentele fossero continuate, e nel caso non avessero accettato l'arrivo di dieci carichi al giorno.

"Al di là delle questioni penali e dell'inchiesta che farà il suo corso, basta vedere i quantitativi di rifiuti in gioco per capire la totale insostenibilità ambientale della deriva petrolifera", sottolineano gli attivisti del Forum abruzzese.

Nello scorso dicembre la Depuracque - assieme al Consorzio Bonifica Centro - è finito al centro di un'inchiesta su un presunto traffico di rifiuti, che riguarderebbe l'impianto Salvaiezzi di Chieti Scalo, ipotizzato dalla Procura distrettuale antimafia dell'Aquila. (m. fo.)

Ultima modifica il Lunedì, 18 Aprile 2016 10:38

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