Martedì, 07 Novembre 2017 13:33

Incendio Morrone, Appennino Ecosistema accusa gli "allevatori fuorilegge"

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"La faggeta ha resistito, le praterie stanno faticosamente recuperando, ma i ginepreti nani sono perduti per sempre, a causa del passaggio del fuoco. E così i pascoli di altitudine del Morrone sono finalmente liberi da quegli ingombranti e fastidiosi arbusti spinosetti di ginepro che sottraevano spazio agli appetiti di vacche e cavalli, da qualche decennio padroni incontrastati dei preziosi habitat di alta quota tutelati da un Sic e da una Zps istituiti in base alla Direttiva Habitat dell’Unione Europea e da una zona a massima tutela del Parco Nazionale della Majella, una Zona “A” di Riserva integrale".

E' una precisa attribuzione di responsabilità nei confronti degli "allevatori fuorilegge" del Morrone quella che l'associazione ambientalista Appennino Ecosistema fa in una nota dal titolo piuttosto esplicito: "Incendio Morrone, ecco chi ci guadagna".

"Sabato 4 novembre" si legge "gli allevatori fuorilegge del Morrone hanno festeggiato la repubblica, a modo loro, traendo subito profitto dai pascoli finalmente “puliti” (cioè privi degli arbusti di ginepro nano) insistendo in comportamenti dannosi ed illegali, con il pascolo brado di vacche e cavalli (vietato da normative nazionali e regionali) in piena zona di Riserva integrale, oltre che nelle aree percorse dal fuoco (vietato per dieci anni in forza della L. n.353/2000) e fuori tempo limite per la demonticazione (fissato al 15 e al 30 ottobre dalle norme generali e dalla L.R. n. 3/2014), in habitat delicati e fragili dove è ormai già presente la neve".

"Di tali fatti" afferma l'associazione "sono stati informati il Reparto Carabinieri del Parco Nazionale della Majella e l’Ente Parco stesso, sperando che ora qualcosa si muova, anche dopo gli allarmi lanciati dalle Associazioni Salviamo l’Orso, LIPU e ALTURA, che con note circostanziate il 27 giugno e il 13 luglio scorso avevano chiesto decisi interventi agli stessi soggetti senza ricevere alcuna risposta. E così i nuovi fuorilegge delle nostre montagne hanno continuato ad esercitare impunemente le loro attività illegali, lucrando truffaldinamente i cospicui contributi dell’Unione Europea loro concessi “per il miglioramento del pascolo”, in base al Piano di Sviluppo Rurale Regionale".

"Il pascolo brado di vacche e cavalli" prosegue la nota "costituisce oggi una delle principali minacce all’integrità degli ecosistemi e delle specie montane. La presenza di enormi quantità di questi animali (ogni anno si contano decine di mandrie di 50-100 bovini e centinaia di equininel solo territorio del Parco Nazionale della Majella), liberi di muoversi senza controllo, sta infatti provocando gravi danni alle praterie naturali, agli ambienti umidi ed ai boschi di montagna in tutti gli Appennini Centrali, che fino a pochi decenni orsono conoscevano la presenza soltanto degli ovini, sempre ben custoditi e di gran lunga meno dannosi per l’ambiente. Ogni anno, con l’avvio alla monticazione del bestiame domestico nel territorio del Parco Nazionale della Majella, si notano gravissimi danni a carico degli habitat tutelati dall’Unione Europea (in particolare, quelli prioritari 6210*, 6230* e 9210*) dovuti al pascolo brado di bovini ed equini, spesso lasciati al loro destino in montagna persino anche nel periodo invernale e senza alcuna custodia".

"Oltre che dannoso" si legge ancora "il pascolo brado e/o nel bosco è vietato da norme di carattere generale e dalla Legge Regionale n. 3/2014. Nei territori protetti da Siti di Interesse Comunitario o Zone di Protezione Speciale dell’Unione Europea, inoltre, il pascolo oltre i limiti fissati per la monticazione e la demonticazione è vietato dalla D.G.R. n. 877 del 27/12/2016 (Misure generali di conservazione per la tutela dei siti della Rete Natura 2000 della Regione Abruzzo, con le sanzioni previste dalla L. n. 47/1985, art. 20) e i proprietari sono punibili per i danni arrecati dai loro animali agli habitat anche in base all’art. 733-bis del codice penale (distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto), che prevede l’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda non inferiore a 3.000 euro".

"Tali condotte illegali" conclude Appennino Ecosistema "sono tanto più gravi in quanto si realizzano anche nelle Zone A di Riserva integrale individuate dal vigente Piano del Parco, che pone espresso divieto alle attività di pascolamento in tale Zona (salvo nulla osta dell’Ente Parco, rilasciabile solo se il pascolamento è finalizzato a “mantenere l’equilibrio ecologico e le peculiarità naturalistiche delle aree”), comunque vietate in modo assoluto se esercitate in forma brada e/o nel bosco, sia nelle Zone A sia in quelle B. I proprietari sono punibili, in questi casi, anche in base all’art. 13 e art. 30, c.1 della L. n. 394/1991 (interventi in assenza del nulla osta dell’Ente Parco ed in difformità dal Piano del Parco)".

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