Si è svolta stamane, presso il tribunale di Bazzano (L'Aquila), la quarta udienza nel processo relativo al presidio fuori e dentro la Regione Abruzzo del 23 dicembre 2010.
In quel pomeriggio invernale gli aquilani entrarono dentro il Palazzo dell'Emiciclo per protestare contro il mancato rinvio della sospensione della restituzione dei tributi non versati dopo il sisma. L'accusa, per quattro imputati, è di danneggiamento (del cancello antistante l'Emiciclo) e occupazione. I processati chiaramente contestano il danneggiamento dei cancelli del palazzo e anche il reato stesso di occupazione, che fu "chiaramente a fini dimostrativi". Anche grazie a quella manifestazione il Governo Berlusconi si impegnò a prorogare di altri sei mesi l'inizio della restituzione dei tributi, reinserendo la norma nel “decreto milleproroghe”.
Oggi sono stati ascoltati due testimoni, chiamati dal Pubblico Ministero e dalla difesa. Per l'accusa ha testimoniato Salvatore Fabrizio, guardia giurata in servizio quella sera di dicembre. Una testimonianza preziosa e piuttosto interessante, in quanto Fabrizio ha riferito di aver ricevuto ordine, da parte delle forze di polizia, di chiudere il cancello di ingresso del Palazzo dell'Emiciclo poco prima dell'arrivo dei manifestanti provenienti da Piazza Duomo. L'ordine di chiusura dei cancelli in un orario in cui sarebbero dovuti essere aperti non provenne dunque dai dirigenti politici e amministrativi della Regione Abruzzo, ma direttamente dalla Questura dell'Aquila. Quest'ultima, in quell'episodio (come in altri in quel 2010, 'stagione delle manifestazioni' a L'Aquila), non dimostrò una grande capacità di gestione di situazioni delicate dal punto di vista dell'ordine pubblico. Infatti, già nel corso della seconda udienza, svoltasi il 7 ottobre scorso, l'assistente capo dell'ufficio Digos dell'Aquila Roberta Urbani aveva riferito di aver riconosciuto la partecipazione alla manifestazione degli imputati non attraverso l'identificazione in loco, ma tramite una conoscenza acquisita durante le assemblee, durante le quali gli agenti Digos prendevano nota delle generalità di chi interveniva. Particolare piuttosto inquietante, che dimostra ancora una volta la gestione perlomeno dubbia, in quel periodo, delle questioni relative al movimento aquilano da parte della questura del capoluogo.
Dopo le testimonianze di Stefania Pezzopane e Giovanni Lolli, la politica è stata nuovamente chiamata in causa dalla difesa. Oggi, infatti, ha riportato la propria testimonianza Giovanni D'Amico, consigliere regionale del Partito Democratico e vicepresidente del consiglio. D'Amico ha riferito di come non fossero avvenuti atti violenti né forzature del cancello di ingresso al Palazzo dell'Emiciclo: "Inoltre – ha ricordato il marsicano – a quanto mi risulta, il giorno successivo il cancello era attivo e funzionante".
Il processo – che secondo le intenzioni del giudice Angelo Caporale si sarebbe dovuto concludere oggi – è stato aggiornato al prossimo 16 dicembre, quando verrà ascoltato il dirigente amministrativo della Regione Paolo Costanzi, chiamato a testimoniare dal PM. Per quella data, stando a quanto è stato annunciato oggi dallo stesso Caporale, si emanerà anche la sentenza di uno dei tanti rocamboleschi e dispendiosi (per le tasche degli imputati e dello Stato) processi che vedono coinvolti gli attivisti aquilani del post-sisma.