Tempi duri per i professionisti – avvocati, ingegneri, architetti – alle prese con i contraccolpi della crisi economica ma anche con i problemi dovuti alla debolezza e alla crisi dei rispettivi organismi di rappresentanza.
In questi ultimi anni, una progressiva quanto inesorabile metamorfosi ha portato un po' tutti gli Ordini professionali a distanze siderali dalla loro vocazione originaria. Nati per difendere le necessità e i diritti dei propri iscritti, tali organismi sono diventati apparati pachidermici, costosi e corporativi, espressione delle pastoie che frenano il sistema Italia.
In questi giorni, sono in corso le elezioni per rinnovare, per i prossimi 4 anni, i consigli e i presidenti degli ordini professionali di ingegneri e architetti della provincia dell'Aquila. L'evento – che, già di per sé, meriterebbe un po' più di spazio che non qualche trafiletto a margine sui giornali - assume senz'altro un'importanza e un peso particolari in una città e in un territorio come il nostro, alle prese con una ricostruzione post sisma.
Tra i professionisti chiamati al voto serpeggia un certo malcontento. Su entrambi i fronti sono in molti a pensare che le consultazioni siano state convocate con un preavviso troppo breve, cosa che non avrebbe permesso a quanti volevano candidarsi di farsi conoscere e di esporre, attraverso un confronto aperto con gli altri iscritti, i propri programmi.
Per tutti e due gli Ordini, le procedure per indire le consultazioni sono simili: il consiglio le fissa almeno 50 giorni prima della scadenza del mandato; il voto deve poi svolgersi entro 15 giorni dalla data di convocazione.
Per la prima convocazione, il quorum necessario è della metà degli aventi diritto al voto. Se nessuno vince al primo turno, si passa alla seconda convocazione, con un quorum ridotto a un quarto degli elettori. Se anche questa tornata va a vuoto, si procede a oltranza, senza più quorum (vince chi prende più voti).
Nel caso degli ingegneri, le elezioni sono state indette l'11 gennaio, e, come scadenza per la presentazione delle candidature, è stato fissato il 20 gennaio: appena nove giorni per decidere se presentarsi, far conoscere il proprio programma, costruire una squadra di governo.
Per gli architetti è andata più o meno allo stesso modo: non si è parlato di nuove elezioni fino al 17 gennaio, quando è arrivata la comunicazione che si sarebbe votato il 31 dello stesso mese, cioè ieri. Anche in questo caso, ci sono stati pochi giorni per approntare programmi e candidature.
Sia chiaro, tutto è avvenuto nel pieno rispetto delle norme, nessuno ha barato o commesso irregolarità. Il problema è che, limitandosi a dare il preavviso minimo previsto per legge, ad applicare cioè alla lettera, e in modo pedissequo, il regolamento, i presidenti non hanno reso un buon servizio alla democrazia perché, di fatto, hanno precluso la possibilità che intorno al rinnovo della cariche nascesse un dibattito aperto, partecipato e trasparente.
Ma le polemiche non finiscono certo qui. Paolo De Santis, presidente uscente dell'ordine degli ingegneri, al suo secondo mandato, dopo aver indetto le elezioni, ha ritirato, qualche giorno fa, la propria candidatura. Una rinuncia che sta facendo discutere: raggiunto telefonicamente da NewsTown, De Santis ha sottolineato di aver annunciato il proprio ritiro con una lettera inviata agli iscritti. La missiva, però, verrà resa pubblica solo la prossima settimana, a elezioni concluse. De Santis ha lasciato intendere che le motivazioni alla base del suo ripensamento sono tutt'altro che personali.
Situazione diversa per l'ordine degli architetti, dove per Gianlorenzo Conti, presidente uscente, si profila un altro giro di valzer. L'ennesimo: Conti, infatti, è in carica, ininterrottamente, da più di vent'anni.
Né il Cna (Consiglio nazionale architetti) né gli ordini provinciali, sempre pronti a unirsi al coro di quanti stigmatizzano il sistema pietrificato dei partiti e i professionisti della politica inamovibili dalle loro poltrone, hanno mai sollecitato una vera riforma che ponesse un limite al numero di mandati consecutivi.
L'immobilismo, il mancato ricambio all'interno di qualsiasi organo elettivo - dal parlamento ai consigli degli ordini professionali - non fanno bene alla democrazia: ingenerano un'inevitabile identificazione tra una carica istituzionale rappresentativa e chi la ricopre. Aprono la strada, insomma, a derive personalistiche, che finiscono per scollegare i vertici dalla base, gli eletti dagli elettori.
Tra gli architetti c'è una certa fibrillazione. C'è chi pensa che, nella gestione dei rapporti con gli enti e i vari attori della ricostruzione, Conti abbia interpretato il suo ruolo in modo troppo personalistico, che non abbia coinvolto a sufficienza la base, condividendo e rendicontando in modo trasparente quanto veniva di volta in volta discusso.
E c'è anche chi gli rimprovera di non essersi adoperato abbastanza per evitare gli accumuli di progetti. E' un dato di fatto che, dopo il terremoto, pochi studi professionali (che, in molti casi, si sono anche associati, facendo cartello) si siano accaparrati migliaia di pratiche. Carichi di lavoro che, molto spesso, non hanno reso possibile l'approvazione dei progetti in tempi certi.
Non che l'Ordine avesse particolari poteri per intervenire; ma avrebbe potuto quantomeno sollevare il problema, fare in modo che se ne parlasse. Invece, l'eccessiva accumulazione di pratiche da parte di alcuni professionisti non è mai veramente entrata a far parte dell'agenda delle priorità da affrontare. Nel 2011, l'ex capo della Struttura tecnica di missione, Gaetano Fontana, propose di fare un censimento delle schede e dei progetti su cui ciascun tecnico stava lavorando. Gli architetti, per bocca di Conti, insorsero, accusando Fontana di “fare propaganda” e di volersi intromettere in materie (regole, deontologia) che non lo riguardavano e non gli competevano.
“Riordinare il (dis)Ordine” è il nome scelto per lanciare la propria candidatura da alcuni architetti che vorrebbero voltare pagina. Alla base del loro programma, alcuni punti cardine: un maggiore coinvolgimento degli iscritti nelle attività dell'Ordine, la tutela dei giovani architetti, la gestione collegiale dei tavoli delle trattative. Le uniche via d'uscita, dicono, per tentare di ricostruire una significativa rappresentanza.