Con tre sentenze appena emesse (la 240, 241 e 242 del 2019), il Tar dell’Aquila ha gettato una pietra tombale sulla realizzazione della Casa della Cultura di Ocre, un centro di aggregazione, finanziato con i soldi dei contribuenti del Trentino Alto Adige, iniziato nel 2011 ma mai portato a termine perché, di fatto, abusivo.
Della vicenda ci eravamo già occupati qualche anno fa, nel 2015, quando il Consiglio di Stato bocciò il ricorso con cui l'amministrazione comunale aveva impugnato un’altra sentenza del tribunale amministrativo, risalente al 2011, con cui era stata dichiarata illegittima la costruzione della struttura, un edificio in cemento armato accanto al quale sarebbero dovuti sorgere anche un bocciodromo, un campo da calcetto e un ambulatorio. Per procedere più velocemente, il Comune aveva scelto di localizzare l'opera sui terreni di un privato che la Protezione civile aveva requisito nell’immediato post terremoto come superfici da destinare alla costruzione dei map.
I terreni, alla fine, non erano più stati utilizzati ma anziché restituirli alla proprietaria, Marisa Ferrauti, come aveva stabilito un'ordinanza della stessa Protezione civile, il Comune di Ocre li aveva arbitrariamente tenuti per farci la Casa della Cultura, per la quale c'era stata una donazione di 320mila euro sottoscritta dai cittadini del Trentino Alto Adige e dall’allora presidente della provincia di Bolzano Luis Durnwalder. La proprietaria delle particelle ricorse al Tar e vinse, vedendosi dare ragione, successivamente, anche dal Consiglio di Stato. Entrambi gli organi hanno stabilito, in pratica, che gli espropri fatti durante l’emergenza servivano a fare opere provvisorie mentre la Casa della Cultura era un manufatto definitivo.
Dopo la sentenza di Palazzo Spada, il Comune di Ocre ha dovuto interrompere i lavori, lasciando l'opera incompiuta. Per provare a sanare l’abuso, ha poi fatto ricorso a un procedimento che in gergo giuridico si chiama “acquisizione coattiva sanante”, un’espropriazione per pubblica utilità.
Il Tar, però, sempre a fronte di altri ricorsi inoltrati dalla proprietaria dei terreni, assistita dall’avvocato Cesidio Gualtieri, ha bocciato anche questa procedura, dichiarandola illegittima in quanto mancante del requisito dell’interesse pubblico rafforzato.
Semplificando, si può dire che per ricorrere all’esproprio sanante, il Comune di Ocre avrebbe dovuto dimostrare in maniera inconfutabile e oltre ogni ragionevole dubbio che la Casa della Cultura era un’opera di pubblica utilità, fruita dalla collettività. Una caratteristica che la struttura, però, non poteva avere, appunto perché rimasta incompiuta.
Cosa succederà adesso? Il Comune di Ocre ricorrerà di nuovo in Consiglio di Stato? Ancora non si sa.
Certo è che quello in cui si è ficcato l’ente ha tutta l’aria di essere un cul de sac.
In caso di ricorso, infatti, se la sentenza del Tar sarà confermata anche in secondo grado, i terreni espropriati dovranno essere restituiti alla proprietaria e l’edificio demolito. Il che significherebbe, per l'amministrazione, esporsi a una brutta figura davanti agli occhi della comunità alto atesina, e, con ogni probabilità, restituire indietro i soldi della donazione.
Nel caso (improbabile) di vittoria in Consiglio di Stato, il Comune sarà comunque costretto a sborsare un bel po’ di soldi per risarcire la proprietaria dei terreni, che a quel punto andranno indennizzati come terreni edificabili e non come terreni agricoli. Uno scenario che vedrebbe profilarsi all’orizzonte, per l’ente, un’altra grana, quella del danno erariale.