“Il problema delle infiltrazioni mafiose negli appalti per la ricostruzione in Abruzzo si è congelato. Le imprese colluse con la criminalità meridionale se ne sono andate dall’Aquila dopo aver imperversato per il primo anno dopo il terremoto del 2009 aggiudicandosi appalti vantaggiosi”.
E’ quanto emerge dalla relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia 2013. Nei mesi che seguirono il terremoto, a L'Aquila, c'è stato "quasi un assalto alla diligenza per arrivare ad accaparrarsi gli appalti più lucrosi da parte della camorra, della 'ndrangheta e di Cosa nostra (in particolare, di quella gelese). Evidentemente, la criminalità organizzata si porta dove girano i soldi, e gli appalti per la ricostruzione hanno costituito, almeno per i primi due anni dopo il sisma, un'occasione da non perdere. Ma non si è trattato di imprese già presenti sul territorio, ma piuttosto di società saldamente impiantate nell'Italia settentrionale, attirate dagli appalti e dunque presenti in Abruzzo solo fino a quando erano prospettabili lucrosi guadagni".
Nella relazione è spiegato che "la criminalità organizzata mafiosa presente in Abruzzo, anche temporaneamente come in occasione del sisma del 2009, agisce in modo defilato, spesso non viene ad operare direttamente nella regione con le sue imprese ma si avvale di prestanome. Non va dimenticato, infatti, che è stato documentato il dinamismo di esponenti delle cosche 'Borghetto-Caridi-Zindato', 'Serraiano' e 'Rosmini' di Reggio Calabria nell'accaparramento di appalti connessi alle opere di ricostruzione post terremoto, consentendo il sequestro preventivo di beni mobili e partecipazioni societarie per un valore complessivo di circa 50 milioni di euro"
Poi, la relazione denuncia l'abbandono della città da parte dello Stato. "La stretta vigilanza attuata, ma soprattutto la mancanza di fondi per pagare i lavori - si legge in un passo del documento - hanno fatto progressivamente allontanare le imprese dal mercato, una volta ricco e promettente di grossi guadagni ed ora abbandonato perché c'è stato l'abbandono dell'Aquila da parte dello Stato. Che non ha i fondi necessari, o ha deciso di investirli in altri campi a cui ha dato priorità. Ora le poche imprese che lavorano sono tutte abruzzesi, e tranne qualche caso sporadico e tempestivamente individuato non hanno alcun rapporto con la criminalità organizzata".
“L’Aquila non è più stata ricostruita, i cantieri hanno chiuso senza che ne aprissero altri – scrive il magistrato Olga Capasso, che scatta una fotografia della ricostruzione dai contorni foschissimi – e ad eccezione dei condomini privati, la città sembra dormire tra le sue macerie. Mancano i fondi e quindi l’affare non è più vantaggioso, e dove non c’è profitto, la mafia lascia campo libero. Certo, sulla fuga ha contribuito anche l’attività della Prefettura dell’Aquila, della locale Procura e della Direzione Nazionale Antimafia, con le misure di prevenzione patrimoniale e con attività di impulso per le stesse misure soprattutto presso le Procure della Lombardia e dell’Emilia Romagna ove hanno sede per lo più le imprese sospette”.
Poi, i numeri: tra il 1° luglio 2012 e il 30 giugno 2013, la Prefettura dell’Aquila ha emesso cinque informazioni antimafia interdittive, tre nei confronti di imprese impegnate nella ricostruzione pubblica e due impegnate in quella privata. Di queste solo una ha sede legale in Abruzzo. Complessivamente, dal 2009 a giugno 2013, sono 27 le imprese impegnate nella ricostruzione colpite da determinazioni antimafia interdittive.