Giovedì, 06 Febbraio 2020 11:18

'Mafia dei pascoli': Calandra audita in Commissione 'Garanzia e controllo'

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“Oltre 900 interviste, in 99 comuni ricadenti nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, nel Parco della Majella e del Sirente Velino: abbiamo ascoltato i sindaci, i funzionari degli uffici competenti, dirigenti regionali, professionisti e rappresentanti delle associazioni di categoria, allevatori e gestori di attività turistiche, per avere un ventaglio che fosse il più ampio possibile. Abbiamo raccolto più di 100 segnalazioni di eventi criminosi sul territorio, specifiche, circostanziate: non aspetto la magistratura, la fenomenologia ravvisata è disastrosa”.

E’ il racconto, coraggioso, della professoressa Lina Calandra, ricercatrice del Laboratorio Carto-lab del Dipartimento di Scienze Umane che ha condotto una lunga ricerca sul campo, in dieci anni e nel quadro di vari progetti, svelando come le nostre montagne incontaminate siano infiltrate da organizzazioni criminose.

Calandra è stata audita ieri pomeriggio dalla Commissione Garanzia e controllo del Comune dell’Aquila, convocata dal presidente Giustino Masciocco su impulso del consigliere Daniele D’angelo: ai lavori hanno partecipato l’assessore all’ambiente Fabrizio Taranta, Domenico Roselli di Coldiretti, Filippo Rubei di Confagricoltura e Luca Tarquini del Consorzio per la valorizzazione dei prodotti tipici dell’aquilano.

La lunga ricerca ha messo in luce “un sistema organizzato ad altissimi livelli” - ha chiarito Calandra – che si è fatto strada tra “minacce più o meno velate, furti di bestiame e di mezzi agricoli, proposte d’affitto dei pascoli a peso d’oro, con la complicità - in alcuni casi - di allevatori locali e di semplici cittadini” che si prestano a fare da ‘schermo’ ad aziende che arrivano da fuori regione, da nord a sud, alla ricerca di terreni e di animali da acquistare, non per allevarli, sia chiaro, per produrre carne, latti e formaggi ma per intascare i fondi comunitari dell’Agea.

Il motivo è presto detto: “con la riforma della politica agricola comunitaria, nel 2003 – ha ricostruito Lina Calandra – si è passati dal riconoscere contributi in base alle produzioni ai così detti ‘titoli’, calcolati sulla media dei contributi ricevuti negli anni precedenti divisi per gli ettari di terreno a disposizione; così, chi fino ad allora aveva coltivato in modo intensivo ha avuto titoli molto alti: per sfruttarli, però, i titoli andavano “poggiati” su ettari di terreno e, così, si è scatenata una vera e propria corsa alla terra per fare incetta di fondi comunitari che ha portato le grandi aziende del nord e del sud anche sulle montagne incontaminate dell’Abruzzo, laddove gli agricoltori locali, avendo praticato una agricoltura non intensiva su ampi terreni, avevano titoli molto bassi”. E sui terreni montani, magari, queste aziende hanno portato mandrie di animali pur non avendo neanche una stalla, in numero non adeguato agli ettari effettivamente disponibili pur di accaparrarsi fondi, abbandonandoli al freddo, senza cibo, liberi di muoversi senza alcun controllo mettendo a rischio anche l’incolumità degli abitanti delle terre alte del nostro territorio, in particolare le frazioni, da Aragno a Collebrincioni fino ad Arischia; per non dire degli animali malati, scaricati in piena notte.

E’ notizia di qualche settimana il rinvenimento di 138 carcasse di pecore, lasciate morire di freddo e di fame sulle montagne del comune di Lucoli.

Daniele D’Angelo lo ha denunciato chiaramente: “siamo alle prese con un fenomeno che produce disagio e che è riconducibile a quegli allevatori che non seguono le regole; non rispettano le date di demonticazione e monticazioni, ossia dello spostamento di greggi e mandrie nei pascoli in altura o in quelli più bassi a seconda delle stagioni. Secondo le norme vigenti, dal 30 ottobre gli animali dovrebbero essere in stalla o recinti idonei e al pascolo solo nelle ore diurne, accompagnati da pastori a seconda del numero dei capi. E invece, non accade”.

Non solo. E’ iniziata una vera e propria “compravendita di titoli”, con la nascita di aziende farlocche che hanno sfruttato, in particolare, gli incentivi per le donne e per i giovani pur non avendo mai allevato un solo animale; si pensi che i ‘titoli’ vanno perduti se non vengono ‘poggiati’ su un terreno per tre anni: è chiaro che chi ha disponibilità economiche importanti ha avuto gioco facile ad accumularne.

“Un sistema organizzato ad altissimi livelli”, ha tenuto a ribadire Lina Calandra.

La così detta ‘mafia dei pascoli’, aggiungiamo noi, che non riguarda soltanto l’Abruzzo, anzi, e che è finita al centro di una inchiesta della procura di Messina che ha portato all’arresto di 94 persone, col sequestro di 151 aziende riconducibili al clan mafioso dei Batanesi, che ha base sui monti Nebrodi in Sicilia. L’ipotesi investigativa è che il clan, attraverso società di comodo, ha fatto incetta di pascoli, anche in Abruzzo, nell’aquilano, a Barisciano, Ofena, Castel del Monte, Pettorano sul Gizio, Crognaleto, Cortino, Valle Castellana, Rocca Santa Maria, Isola del Gran Sasso e Caramanico.

Un fenomeno preoccupante: è emerso chiaramente in Commissione come il Comune e la Regione siano, di fatto, impreparati ad affrontarlo, non avendo regolamentato il settore negli anni passati, per quanto di loro competenza; ma ci sono altri problemi che rendono difficile affrontare l’assalto ai terreni montani con procedure adeguate: “nel 2013, l’Unione Europea avendo compreso che cosa stava accadendo, in particolare in Italia, ha lasciato agli stati membri la possibilità di normare il settore: ebbene, l’Italia ha deciso di non fare assolutamente nulla” ha sottolineato Calandra, “lasciando il sistema dei titoli così com’era, con il paese che, di fatto, è stato considerato come un’unica regione e le aziende che hanno avuto le mani libere per ‘spalmare’ i loro titoli ovunque, da nord a sud”.

D’altra parte, è stato semplice aggirare i correttivi che pure erano stati introdotti. E poi mancano i controlli, pure previsti, che dovrebbero essere svolti dalla Asl locale, in particolare, che ha pochi mezzi e non dialoga con le altre istituzioni coinvolte per la banale assenza di una banca dati univoca che renda leggibile il fenomeno.

Per lo più, i terreni affidati agli allevatori sono di uso civico e, dunque, le Asbuc debbono essere coinvolte nel processo di regolamentazione che attiene anche al Comune per i pascoli, pochi ettari a dire il vero, che non afferiscono alle amministrazioni separate, in un ragionamento più ampio che dovrà vedere, però, un intervento energico di Regione Abruzzo, chiamata a normare il settore. Ma la battaglia, evidentemente, va condotta in Europa per cambiare le regole del gioco e, in questo senso, è il Governo che dovrebbe muoversi con decisione.

Ultima modifica il Giovedì, 06 Febbraio 2020 14:06

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