Lunedì, 09 Marzo 2020 09:42

Coronavirus, cresce l'epidemia: prossimi 8 giorni decisivi. Serve responsabilità

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Cresce l'epidemia di coronavirus in Italia.

Stando ai dati diffusi ieri sera, nel consueto punto stampa della Protezione civile, sono 6.387 i malati con un incremento di 1.326 persone rispetto a sabato (+26,2% in un giorno), e 366 i morti, 133 in più (+ 57% in un giorno). "Ci sono 33 guariti in più, che diventano 622 (+5,6%). Registriamo 133 decessi, in totale 366" ha spiegato il capo Dipartimento Angelo Borrelli, commissario straordinario all'emergenza.

Il numero totale dei casi è di 7.375. Che conta, oltre alle persone attualmente positive anche i guariti e i decessi.

Quanto ai malati ricoverati in terapia intensiva sono 650, ovvero 291 in più rispetto a sabato; di questi, ben 399 sono in Lombardia, che ha avuto un incremento in un giorno di 40 casi. Sono invece 3.557 i malati con sintomi ricoverati e 2.180 quelli in isolamento domiciliare. Il commissario ha poi detto che "tredici pazienti sono già stati trasferiti o sono in corso di trasferimento dalla Lombardia alle regioni limitrofe" per alleggerire le terapie intensive.

Fin qui, i 'freddi' numeri.

Va detto chiaramente: i contagi sono destinati ad aumentare in modo significativo nei prossimi giorni. "Quelli che abbiamo visto fino ad ora, sono soprattutto casi di persone contagiate prima del 21 febbraio, quando sono state fatte le prime diagnosi" ha spiegato il virologo dell'ospedale Sacco di Milano Massimo Galli; "per capire come si metteranno le cose ci vorrà del tempo". Ospite dell'Università degli studi dell'Aquila lo scorso 4 marzo, il direttore dell'Istituto di Genetica molecolare del Cnr di Pavia, Giovanni Maga, aveva chiarito che per misurare l'efficacia delle prime disposizioni del Governo avremmo dovuto aspettare tra i 10 e i 14 giorni. Vale lo stesso per i provvedimenti, ancor più restrittivi, assunti con il dpcm dell'8 marzo. 

D'altra parte, è intuitivo pensare che i contagiati siano molti di più di quelli certificati e che il virus circolasse già prima della individuazione dei primi casi.

Va ribadito, altresì, che per 9 pazienti su 10 il decorso è simile a quello di una influenza, se non addirittura asintomatico. Tuttavia - e qui sta il punto - per 1 contagiato su 10 le conseguenze del contagio possono essere gravi o molto gravi, con la necessità del ricovero ospedaliero e, in alcuni casi, della degenza in terapia intensiva.

Ora, considerato che il virus può espandersi senza trovare resistenze, perché manca un vaccino e perché, essendo nuovo, tutta la popolazione è sprovvista di anticorpi per fronteggiarlo, è evidente l'urgenza di contenerlo, di rallentarne la diffusione.

Alcuni esperti convengono sulla tesi che il virus contagierà il 60% della popolazione: è chiaro che bisogna fare in modo che non ci si ammali tutti insieme. 

Per questo, l'invito accorato è di stare a casa il più possibile.

Non bisogna cedere al panico, va chiarito - di nuovo - che per la stragrande maggioranza dei contagiati il virus avrà un decorso assolutamente tranquillo; anzi, alcuni tra noi potrebbero già aver avuto il coronavirus senza che se ne siano neanche accorti. Tuttavia, va ribadito - altresì - che questo non è il momento di ragionare su numeri che, ad oggi, potrebbero sembrare ancora 'relativi' - 7 mila contagiati su 60 milioni di persone - e su proiezioni statistiche, su sintomatologie e distinguo, tra territori e persino tra pazienti: è l'ora della responsabilità, piuttosto. 

Bisogna evitare di ammalarsi tutti insieme per non far collassare il sistema sanitario nazionale. 

In Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, non siamo lontani dal punto di rottura, e stiamo parlando dei sistemi sanitari migliori del Paese; se il virus dovesse diffondersi velocemente in altre regioni, in particolare del centro e sud Italia che non hanno le stesse strutture, gli stessi mezzi e lo stesso personale - è questo il vero timore - le conseguenze potrebbero essere drammatiche. 

Non bisogna agire in modo individuale, considerando il rischio relativo, ma ragionare in modo collettivo, pensando al rischio che potrebbero correre le persone più deboli e che potremmo correre noi tutti, dovessimo magari necessitare di cure ospedaliere per altre ragioni non prevedibili al momento. 

Di qui l'invito a stare a casa, evitando assembramenti e rispettando le disposizioni che arrivano dal Governo e, a valle, dagli Enti locali, anche se ci sembrano eccessive, anche se non le condividiamo. Arriverà il tempo delle polemiche politiche, dei distinguo, delle riflessioni sulla gestione dell'emergenza, su un sistema economico che, negli anni, ha portato a tagli non sostenibili alla sanità, in termini di strutture, posti letto e personale medico e paramedico. 

Ora è il tempo della responsabilità collettiva, che passa dai giusti atteggiamenti individuali. Lo ha detto chiaramente il primario del reparto di Malattie infettive dell'Ospedale dell'Aquila, Alessandro Grimaldi: "Questa epidemia la combattiamo noi, in prima persona, con comportamenti responsabili, con atteggiamenti positivi. Tutto ciò che interrompe la catena del contagio, che evita di favorirla, riduce la possibilità che l’infezione si estenda". Altrettanto chiaro è stato Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza: "Le misure approvate sono molto rigide e importanti, però hanno bisogno di un’alleanza con le persone".

Ed è ancor più importante rispettarle nelle regioni che, come l'Abruzzo, sono ancora fuori dalla così detta 'zona rossa', col rischio di entrarvi se il contagio non dovesse arrestarsi. 

Nessuno ha la sfera di cristallo, ma "se gli italiani si atterranno alle disposizioni di governo e scienziati tra 8 giorni si potrebbe toccare il picco epidemico, dopo di che la curva dei nuovi contagi potrebbe finalmente iniziare a scendere" ha tenuto a chiarire Ricciardi. Per questo il Governo ha rialzato i toni della comunicazione in questi ultimi giorni. Non a caso Speranza, dopo aver mostrato il pugno duro, ha fatto anche una carezza agli italiani, ricordando che "siamo un Paese di persone che possono avere un senso civico molto alto, che capiscono la necessità di restare uniti e fare fronte comune. Perché questa - ha aggiunto - è una questione seria, che mette a dura prova le strutture sanitarie che per questo stiamo rinforzando".

Ed è proprio per evitare il collasso degli ospedali che il governo, qualora entro una settimana la curva dei contagi non iniziasse a scendere, è pronto ad assumere ulteriori provvedimenti ancor più rigidi, allargando appunto alle regioni del centro sud la zona rossa.

Ecco perché ora, e non domani, serve responsabilità.

Ultima modifica il Lunedì, 09 Marzo 2020 14:18

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