Lo scorso 24 marzo, in un'intervista rilasciata a NewsTown, Simona Giannangeli, presidente del Centro antiviolenza Donatella Tellini dell'Aquila, denunciò la difficoltà a conciliare le misure restrittive imposte per contenere la diffusione del Covid-19 con la tutela delle donne.
Già allora le operatrici e le volontarie dei cav chiedevano un intervento del Governo, un maggior coordinamento a livello nazionale, certezza dei fondi e misure concrete a sostegno dei Centri antiviolenza e delle case rifugio. Veniva sollecitata inoltre, una maggiore attenzione da parte delle istituzioni locali.
A un mese dalla denuncia di Giannageli poco è cambiato e i Centri antiviolenza abruzzesi, tutti attivi e pienamente operanti anche in queste ultime settimane di emergenza, sono tornati a farsi sentire con un appello alla Regione Abruzzo in cui vengono ribadite le richieste e l'urgenza di disposizioni a sostegno dei Cav.
"I Centri antiviolenza abruzzesi - si legge in una nota congiunta - hanno avviato una serie di riflessioni suscitate dalle criticità che si sono presentate per assicurare il sostegno alle donne già seguite dai centri, agevolare le nuove richieste di aiuto e attivare forme di protezione alternative alle Case Rifugio, la cui accoglienza è temporaneamente sospesa causa COVID 19, per quelle donne per cui si rende necessaria l’allontanamento dall’ambiente domestico".
"Assicurare l’allontanamento in protezione di donne a rischio di vita nelle mura domestiche - scrivono le operatrici dei Cav - è una questione centrale. Come anche sottolineato dalla Circolare ministeriale del 21 Marzo i Centri antiviolenza necessitano di alloggi alternativi viste le limitazioni di ingresso imposte dall'emergenza COVID alle Case rifugio esistenti".
Le case rifugio abruzzesi e i Centri Antiviolenza "La Libellula” di Sulmona, “Donatella Tellini dell’Aquila, "Alpha" di Chieti; "Non sei sola" di Ortona; "La Fenice" di Teramo, "Ananke" di Pescara, "Donn.è" di Ortona, "DonnAttiva" di Vasto, "Dafne" dì Lanciano e “La casa delle Donne nella Marsica” hanno "sottoscritto un appello alla Regione Abruzzo indirizzandolo al Presidente, all'assessorato alla aanità, a quello delle politiche sociali, al Dipartimento Lavoro – Sociale della Regione Abruzzo, sempre vicino alle esigenze dei Centri, e alle quattro Prefetture abruzzesi".
I Centri chiedono, a partire dal Decreto del 4 aprile con cui il Ministro per le Pari Opportunità ha disposto l’iter straordinario per l’erogazione alle Regioni dei fondi relativi all’annualità 2019 stabilendo che quota parte di essi possano essere utilizzati per le esigenze emerse in questa fase emergenziale in particolare per il funzionamento delle citate “strutture d’accoglienza alternative e temporanee:
- una Cabina di regia regionale che coinvolga i rappresentati della Regione Abruzzo -Uffici del Dipartimento per la Salute e il Welfare e i rappresentati dei centri e delle case rifugio,
- l’attivazione di una procedura regionale semplificata che permetta l’individuazione di strutture ospitanti alternative (strutture alberghiere, B&B, residence, anche eventualmente in accordo con le Prefetture tramite il ricorso alle requisizioni in uso (ai sensi del comma 7 dell’art. 6 del D.L. 17marzo 2020, n. 18) che abbiano caratteristiche adeguate alle esigenze delle donne e dei loro eventuali figli minori, possibilmente in prossimità dei Centri e delle Case rifugio;
- la disponibilità delle Asl territorialmente competenti alla somministrazione del tampone alle donne accolte nelle strutture temporanee affinché possa essere agevolato il loro successivo ingresso nelle Case rifugio sia locali che fuori regione;
- la massima collaborazione di tutti Enti ed Organismi privati coinvolti nel garantire l’anonimato e la riservatezza alle donne e ai minori eventualmente ospitati nonché un sostegno concreto alle incombenze quotidiane di gestione delle strutture individuate.
"Inoltre - conclude la nota - i Centri, hanno scritto alle Procure e ai Tribunali sottolineando l'opportunità di fare ricorso, come via prioritaria sempre preferibile, all'allontanamento dalla casa familiare del maltrattante".