Lo scorso 4 maggio, la data che ha segnato tra dubbi e polemiche l'inizio della Fase due, 4 milioni di italiani sono tornati al lavoro. Per dieci milioni di studenti italiani però (nove milioni tra scuola primaria, medie e superiori, un milione tra infanzia e nido) il ritorno alla "normalità" dovrà aspettare fino a dopo l'estate.
Se la sospensione delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado è stata tra le prime misure adottate dal Governo per il contrasto e il contenimento del diffondersi del virus, non ha avuto la stessa priorità la messa a punto di un piano per la ripresa in sicurezza delle lezioni in presenza, condizione fondamentale per garantire a tutti il diritto allo studio.
Dallo scorso 4 marzo gli studenti italiani sono alle prese con la didattica a distanza, la misura disposta in seguito alla chiusura delle scuole e prorogata con i successivi decreti del Presidente del Consiglio. La ripresa delle normali attività didattiche non è neanche materia di competenza della squadra di tecnici che affianca il Governo nella messa a punto del piano di ripartenza dei servizi essenziali e le decisioni sulla scuola sono ancora oggi in mano ad una task force relegata al solo Ministero dell'Istruzione. E così mentre il resto del Paese si prepara alla ripartenza, insegnanti, studenti e famiglie sono alle prese con mille difficoltà logistiche che si è tentato di fronteggiare con bonus baby sitter, congedi parentali e con l'annunciata riapertura dei centri estivi.
Oggi è in programma il primo incontro tra Ministero e sindacati per discutere un protocollo per il ritorno in classe in sicurezza, ma la Ministra Azzolina, durante il question time alla Camera, ha dato alcune anticipazioni sul prossimo anno scolastico, parlando di "didattica mista" come "una delle possibili idee allo studio, vagliata e decisa già in altri Paesi europei". Ha inoltre chiarito come si svolgeranno i prossimi esami di stato, su cui si è molto discusso in questi mesi. Ma la chiusura delle scuole colpirà soprattutto gli alunni più piccoli. Sono migliaia gli studenti rimasti indietro che rischiano di non tornare più a scuola. E non per via della difficoltà di molti ad accedere a tablet e connessioni internet.
Questioni come come la dispersione scolastica e le disuguaglianze nell'apprendimento saranno centrali nella poltica dei prossimi anni.
Per Monica Lai, dirigente scolastica dell'Istituto comprensivo Gianni Rodari dell'Aquila "si deve tornare al più presto a una scuola in presenza ma con tutte le dovute precauzioni: la sicurezza deve essere la priorità". In questi mesi di emergenza, spiega la dirigente a newstown, la scuola è andata avanti "perché c'è un mondo professionale che sta lavorando con dedizione e senza soste. Ma non possiamo contare solo sulla bontà e professionalità degli insegnanti - sottolinea - mi auguro che a settembre la scuola riapra perché c'è un'emergenza sociale. Non si può risolvere il problema con le baby sitter. Mi auguro che la soluzione sia quella di poter tornare tutti a scuola, abbiamo bisogno dei nostri alunni e di lavorare ad una progettualità in presenza, la didattica a distanza rappresenta un'alternativa necessaria ma limitata al momento dell'emergenza. Noi dirigenti scolastici collaboreremo quando interpellati e se interpellati sulle strategie. Ovviamente sto già pensando a come muovermi, domani, all'interno dei miei plessi ma devo sapere quali strumenti mi si daranno. La scuola deve riaprire e deve riaprire in sicurezza".
Nessuno nel mondo della sanità era pronto a fronteggiare una pandemia e, ovviamente, non lo erano gli insegnanti che in questi mesi, insieme al personale scolastico, si sono destreggiati tra innumerevoli criticità: dalla riorganizzazione della segreteria didattica alla calendarizzazione delle lezioni che ha dovuto tenere conto delle esigenze delle famiglie, della eventuale presenza di altri ragazzi in età scolare per evitare sovrapposizioni delle video-lezioni, del numero minimo e massimo di video lezioni da programmare, della carenza dei dispositivi e delle connessioni, e degli orari lavorativi dei genitori, perché per i più piccoli la didattica a distanza richiede la presenza di un adulto e standard di privacy molto più elevati rispetto a quelli garantiti dalle piattaforme più comuni.
"Per realizzare una scuola virtuale abbiamo superato, in pochi giorni, un gap tecnologico di dieci anni. Ci siamo dovuti reinventare. affiancare le famiglie nell'utilizzo del registro elettronico, uno strumento che molti non avevano ben compreso e che abbiamo dovuto implementare per consentire agli insegnanti di sostegno di dialogare in maniera digitale con le famiglie, per arrivare nel rispetto della privacy a quell'alunno in particolare. Ci siamo coordinati per garantire unitarietà all'interno dell'Istituto ma anche flessibilità, tenendo conto delle esigenze degli insegnanti, che avevano progetti e lavori da mandare avanti, e di quelle dei bambini, tenendoci un margine di cambiamento qualora il genitore evidenzi ciriticità oggettive. E' un lavoro enorme, un work in progress meditato e ragionato".
Dal primo giorno di sospensione delle lezioni, racconta Lai, la scuola si è attivata immediatamente, lavorando su due fronti: il recupero immediato delle relazioni, del contatto diretto con gli alunni e le famiglie da un lato, e il censimento dei bisogni dall'altro, la comprensione dello stato psicofisico dei bambini e dei genitori.
"La segreteria - spiega Lai - si è attivata per mantenere il contatto diretto con alunni e famiglie. E' stato anche attivato uno sportello di faq per dare risposta ai tanti i dubbi sollevati dai genitori. Contestualmente il corpo docente ha immediatamente proposto attività alternative al libro di testo con l'obiettivo di far comprendere ai nostri studenti come stava cambiando, per loro, il tempo ordinario, che quella che stavano vivendo non era la straordinarietà di una vacanza ma altro. In parallelo, abbiamo individuato le situazioni più critiche e le urgenze, rispondendo a criticità che però solo la presenza riesce a colmare. Pensate a bambini all'interno di uno spettro autistico importante che dobbiamo raggiungere attraverso un video: per riagganciare il rapporto con questi bambini e ragazzi c'è bisogno del supporto della famiglia, non solo del tablet o del pc".
Un lavoro progressivo, spiega la dirigente, differenziato per fasce d'età (l'Isituto comprende infatti scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado) per evitare "torri di babele e arrivare in modo sicuro e ragionato al momento delle video-lezioni". Anche questo passaggio ha richiesto tempo. "Ogni insegnante avrebbe potuto scegliere autonomamente strumenti sicuri per le video lezioni. Come scuola abbiamo voluto avviare un percorso più ragionato, esaminando prima le proposte del ministero, e lavorando poi con l'animatore digitale che ha individuato le piattaforme più sicure sotto l'aspetto della privacy, creando classi chiuse e più di 800 account individuali per i nostri alunni".
Le carenze della scuola italiana in fatto di digitalizzazione hanno reso ancor più gravoso il lavoro degli insegnanti che senza avere figure di supporto hanno fornito un supporto alle famiglie con poca dimistichezza con gli strumenti digitali "perché - aggiunge la dirigente - i più piccoli devono essere affiancati sia nelle video-lezioni che nell'utilizzo di pc e tablet".
E come hanno risposto i bambini? "I nostri studenti sono stati bravissimi - racconta Silvia Frezza, docente del Rodari - "hanno obbedito senza protestare, hanno compreso immediatamente. Abbiamo trovato una fascia di età che ha risposto in un modo bello, civile, con impegno e senso di responsabilità, mettendo in atto quello che noi chiamiamo compito di realtà: i bambini stanno realmente applicando nella loro vita di tutti i giorni quello che insegniamo loro".
Anche per Frezza, però, appare chiaro come, nonostante la buona volontà degli insegnanti e del personale, la didattica a distanza non possa soddisfare i principi basilari della pedagogia: dalla promozione dell'autonomia all'inclusione, al contrasto delle disuguaglianze nell'apprendimento. "La didattica a distanza - sottolinea - non è scuola, noi stiamo lavorando con dedizione grazie anche alla collaborazione dei genitori che hanno compreso e ci hanno sostenuto in questo percorso. Ma questa è una misura emergenziale e non può sostituire la didattica in presenza".
Non c'è solo la difficoltà a raggiungere gli studenti sprovvisti dei dispositivi a indebolire l'efficacia della Dad. Per sopperire a questa criticità, in ogni modo, l'Ufficio scolastico regionale ha inviato alle scuole abruzzesi 24 assistenti tecnici oltre ai tablet e alle connessioni per le famiglie che ne erano sprovviste. "Non dobbiamo limitarci al supporto tecnologico - sottolinea Lai - Sicuramente abbiamo bisogno di competenze individuali ma questi assistenti tecnici sono figure che dovranno adeguarsi alla scuola e al nostro modo di fare scuola, andranno formati. Inoltre il Rodari presenta realtà socio-culturale completamente diverse a seconda del plesso e della classe. Non è sufficiente fornire dispositivi elettronici per includere realmente tutti".
Nonostante i segnali di partecipazione e gli sforzi della scuola di raggiungerle, sacche di minoranze sono tagliate fuori da questa scuola a distanza. "Il problema principale - chiarisce Lai - è la dispersione scolastica che c'è anche nel nostro territorio e non riguarda solo ragazzi più grandi e l'abbandono scolastico. La dispersione ha a che fare con la disaffezione, con la poca voglia di fare le cose e la mancanza di motivazione. Far fronte a queste difficoltà è già molto problematico in un contesto reale, figuriamoci ora. Questa emergenza educativa chiaramente non nasce con il coronavirus, ma ora viene amplificata. A tali difficoltà si aggiungono inoltre quelle dell'inclusività degli alunni disabili. Pensare quindi che ciò che non funziona sia dovuto solamente ad una mancanza di connettività e di dispositivi è sbagliato".
Di fronte all'emergenza tutta la comunità educante si è attivata.
Sulle situazioni di fragilità e sulla motivazione dei bambini e degli studenti, da tempo lavora il Punto Luce di Sassa, uno dei presidi Save the Chidlren nati nell'ambito del progetto nazionale di contrasto alla povertà educativa. Gli educatori stanno affiancando anche in questa fase l'Istituto Rodari, con cui collaborano da tempo per seguire l'andamento scolastico dei ragazzi. "Il nostro lavoro - spiega Domenico Capanna, coordinatore del Punto Luce - è quello di dare occasione di sviluppo e crescita ai bambini, fornendo loro un accompagnamento allo studio che non si limita all'aiuto nello svolgimento dei compiti".
In questi due mesi di emergenza le richieste delle famiglie non hanno riguardato solo l'accesso a internet e a dispositivi adeguati. Gli educatori hanno provveduto anche alla consegna di beni alimentari di prima di necessità attraverso la rete solidale coordinata del Centro del Volontariato dell'Aquila. "Contestualmente - spiega Capanna - abbiamo messo in campo azioni rivolte ai bambini, per mantenerli attivi, mantenere il legame di comunità e di riconoscimento in un luogo. Oltre a proporre in modalità online laboratori artistici e musicali in collaborazione con altre associazioni e artisti locali, abbiamo chiesto ai bambini di inviare disegni, testimonianze, testi, diari. Su questi contributi abbiamo creato un tg informativo in onda tutti giorni sulle nostre pagine social, con ospiti non solo del territorio ma anche del panorama culturale italiano. C'è stata una buona risposta e siamo riusciti ad intercettare anche bambini e ragazzi che solitamente non frequentano il nostro Punto Luce".
Ma anche per Domenico Capanna il rischio è che senza la scuola qualcuno resti indietro. "Gli insegnanti hanno fatto un lavoro enorme. Prendo in prestito una definizione di un docente della Dad come dedizione a distanza, è vero. Ma dai feedback che ci arrivano c'è qualche bambino che sta manifestando una forma di lassismo, che intende questo periodo come vacanza o come una cosa inutile. La crisi dà anche delle opportunità, dobbiamo far tesoro di tutto questo, ad esempio cogliendo l'occasione per colmare il gap tecnologico della scuola. Ma è tutto il mondo che ruota intorno all'istruzione che deve trovare soluzioni per sviluppare queste opportunità - afferma il coordinatore del Punto Luce - Dobbiamo trovare al più presto una soluzione che garantisca un equilibrio tra il diritto alla salute e il diritto all'istruzione e al gioco dei bambini".