Il distanziamento sociale dovuto all’emergenza sanitaria da covid-19 ha visto un rinnovato interesse dei turisti verso il nostro territorio provinciale che sta riscontrando un’affluenza ed un gradimento inaspettati. Questo, però, ci pone nuovamente dinanzi ad elementi di fragilità del territorio stesso e alla conseguente sfida irrisolta, quella dell’emersione del valore inconfutabile dei beni comuni.
Intendiamo per beni comuni quelli che il professor Stefano Rodotà ebbe a definire come alternativi alla concezione duale della proprietà: “sono beni che non coincidono né con la proprietà privata, né con la proprietà dello Stato, ma esprimono dei diritti inalienabili dei cittadini”. Rappresentano l’insieme delle ricchezze naturali, culturali ed architettoniche di un territorio ed appartengono ai fruitori di quel territorio. Quindi, sono beni di interesse generale che appartengono alla comunità. Sono gestiti il più delle volte dalle amministrazioni pubbliche, oramai private delle necessarie risorse a seguito di scellerate scelte di politica di riduzione dei costi e rassegnate a normali processi amministrativi che, spesso, non sono sufficienti. Altre volte sono privi completamente di gestione e di cura per la conservazione, e ciò ne depotenzia il valore che essi rappresentano per la collettività.
I beni comuni appartengono alla nostra cultura, nascono con la nostra storia o con le vocazioni dei territori; dovrebbero essere a disposizione di tutti e tutte ma, troppo spesso, vivono di limitazione, incuria ed abbandono. I beni comuni sono la testimonianza di storia e memoria di un luogo, ne narrano le radici e identificano le comunità di appartenenza delle quali accompagnano e definiscono i cambiamenti.
Eppure, in questa strana estate fanno tanto discutere, non per la bellezza, ma per le difficoltà di accesso e di visita che i cittadini e le cittadine, locali o meno, incontrano o per la mancanza di una rete integrata di servizi o, peggio ancora, per la devastazione degli incendi, spesso di origine dolosa e, comunque, non arginata da attività conservative preventive. Difficoltà diversamente imputabili che impediscono oltre all’accesso materiale, la conoscenza con la bellezza, la storia e le potenzialità di un territorio.
Crediamo che la cura e la gestione intelligente dei beni comuni debba rappresentare per il nostro territorio la modalità, diremmo quasi naturale, per immaginare e progettare un diverso sviluppo economico e culturale; sicuramente favorendo il turismo culturale ed ambientale ma, soprattutto, favorendo e non ostacolando le attività delle comunità locali con l’intento di creare le condizioni per un’inversione di tendenza rispetto all’abbandono e allo spopolamento delle nostre aree interne.
Le disfunzioni dei servizi collegati ai beni culturali così come l’incendio di Monte Pettino, che segue di soli tre anni quello ancor più devastante della montagna del Morrone, ci portano a discutere di conservazione, gestione, tutela e cura; ma, ancora una volta, poiché se ne discute in fase emergenziale, i presupposti sono parziali e le soluzioni diventano un tampone immediato, mentre resta miraggio dei sognatori la possibilità di soluzioni di maggior respiro.
Il depauperamento, l’incuria o la distruzione dei beni comuni rappresentano un impoverimento per una intera comunità e per chi la incontra. Rappresentano, infatti, anche la sottrazione del diritto alla conoscenza dei luoghi, nel senso più ampio e ricco possibile, ossia della possibilità di un territorio come il nostro, ricco di arte, storia e natura, di rappresentare un’alternativa di senso alla povertà culturale e di significato verso cui sembriamo inevitabilmente avviati/e.
L’elenco dello stato di abbandono dell’immenso patrimonio ambientale, paesaggistico e artistico della provincia aquilana potrebbe rappresentare già di per sé il contenuto di una presa di posizione pubblica, ma preferiamo essere propositivi e, se possibile, contribuire alla costruzione di una nuova cultura di partecipazione e di interesse verso i beni comuni e verso le azioni che amministrazioni pubbliche, cittadini e cittadine devono compiere per vivere finalmente in sintonia con il paesaggio naturale ed antropico e con quei valori che storicamente lo hanno definito.
Innanzitutto, riteniamo sia necessario ricostruire una relazione, anche fiduciaria, tra amministrazione e cittadine e cittadini di una comunità; far sentire questi ultimi protagonisti e destinatari delle scelte amministrative poste a fondamento della valorizzazione dei beni comuni.
La partecipazione deve rappresentare la finalità dell’azione di un buon amministratore. Una partecipazione consapevole, favorita anche attraverso la formazione ed il coinvolgimento, al fine di ampliare e rendere disponibili competenze destinate a migliorare l’ambiente ed i luoghi in cui viviamo. In questa strana estate abbiamo assistiamo al ripopolarsi dei nostri borghi dove abbiamo presenze numericamente importanti grazie non solo alla bellezza, ma anche alla salubrità dei nostri luoghi e al senso di sicurezza che frequentarli infonde. Non è un fenomeno da sottovalutare, né da considerare passeggero e contingente. E’ un dato che deve portarci alla riflessione e alla conseguente riprogrammazione del territorio. L’offerta in termini di sicurezza e di bellezza delle nostre montagne, dei nostri boschi e dei nostri beni artistici ed architettonici attrae un turismo esperienziale che sta riscoprendo il nostro territorio, la nostra cultura, anche quella più rurale, la nostra storia ed il nostro cibo.
E’ nostro dovere lavorare sul territorio perché questo tipo di turismo diventi l’occasione per la valorizzazione e la rigenerazione delle nostre aree interne, ed anche delle nostre città. Diventi l’indicatore per scelte amministrative importanti e non limitate all’evento o all’emergenza. Perché di questo sembriamo vivere.
Riteniamo che sia necessario che le amministrazioni locali a vari livelli imparino ad intercettare anche la volontà di coinvolgimento dei cittadini e delle cittadine, che volontariamente si organizzano. E’ necessario che gli amministratori imparino non a delegare ruoli che, per ragioni di impoverimento economico, non possono più svolgere, ma ad esercitare funzioni di coordinamento e di formazione di tutta la cittadinanza attiva che può diventare l’elemento principale per la promozione del territorio che conosce meglio di chiunque altro, perché lo abita e perché gli appartiene. Anche qui, come più volte affermiamo, è necessaria una nuova capacità progettuale che, senza inventare nulla, se non nuove modalità di approccio e gestione, sappia costruire reti tra tutte le realtà virtuose che agiscono sul territorio.
Ci rendiamo conto delle difficoltà degli Enti Locali e le comprendiamo. Comprendiamo meno la rassegnazione all’abbandono.
Riteniamo che gli Enti Locali debbano riappropriarsi di ruoli di tutela, valorizzazione, implementazione dei beni comuni e, come appena detto, riteniamo che questo possa avvenire solo attraverso la costruzione di una rete e l’assunzione da parte degli stessi Enti Locali di un ruolo interlocutorio trasversale tra tutte le realtà interessate di una comunità. Inoltre, abbiamo bisogno di comunità che parlano con altre comunità e trovano insieme soluzioni comuni per raggiungere l’obiettivo di vivere l’ambiente e la sua ricchezza come luogo di ricerca e di espressione di identità culturale e civile.
Vogliamo concludere questa nostra riflessione che vuole invitare al cambiamento della politica dei luoghi e della gestione dei beni comuni con queste parole di Franco Arminio: ‘Riabitare i paesi non è questione di soldi. I soldi servono a farli più brutti, a disanimarli. Per riabitare i paesi servono piccoli miracoli, miracoli talmente piccoli che li possono fare uomini qualunque…’. Uomini e donne dunque animate da volontà e da desiderio di invertire la tendenza all’abbandono perché capaci di parlare di beni comuni in termini di risorsa economica, culturale, sociale e demografica e non in termini di fonte di problemi di gestione e cura.
*Francesco Marrelli, Segretario CGIL Provincia dell’Aquila
Miriam Del Biondo, Segretaria FLC CGIL Provincia dell’Aquila