Un bel guaio per Ama.
La società partecipata del trasporto pubblico locale dovrà ripristinare la corresponsione di 309 euro mensili in busta paga a 42 dipendenti, tagliati a valle della ricapitalizzazione da 1.3 milioni dell'azienda che aveva portato, tra l'altro, alla disdetta della contrattazione di secondo livello oltre alla cancellazione della indennità di presenza per 180 euro al mese circa.
Lo prevede la sentenza del giudice del lavoro Anna Maria Tracanna che ha accolto il ricorso dei lavoratori, assistiti dall'avvocato Isabella Di Benedetto.
Ora, la partecipata dovrà corrispondere anche gli importi arretrati, a partire dallo scorso febbraio.
Ma come si è arrivati a questo punto?
Ricorderete che con la ricapitalizzazione, necessaria a salvare un'azienda sull'orlo del fallimento, era stata azzerata la contrattazione di secondo livello: si era aperta una dura vertenza, con i 130 lavoratori di Ama che avevano occupato pacificamente la rotonda innanzi alla sede di Campo di Pile; a valle di una lunga mediazione, si è arrivati ad un accordo sottoscritto con i sindacati che non è stato riconosciuto, però, dai lavoratori assunti prima del 1999, quelli che, per intenderci, avevano aderito ad un precedente accordo aziendale, risalente al maggio 1999, che a fronte di alcuni servizi offerti, e della rinuncia agli straordinari, prevedeva, appunto, la corresponsione dei 309 euro in busta paga, in aggiunta allo stipendio base.
Di qui, il ricorso al giudice del lavoro che ha aperto una diatriba interna tra lavoratori, con i dipendenti storici accusati di voler lucrare su un privilegio non ricosciuto agli assunti dopo il 1999; sta di fatto che il giudice del lavoro ha dato ragione ai ricorrenti.
Il giudice ha ritenuto che la disdetta della contrattazione aziendale non potesse comportare la soppressione di una somma individualmente attribuita come 'contropartita' a rinunce svolte a suo tempo dai dipendenti e che l’azienda fosse peraltro consapevole di non poter sopprimere tale diritto, tanto da aver recentemente chiesto ai lavoratori di sottoscrivere una conciliazione individuale per rinunciare all’assegno di loro spettanza.