Domenica, 22 Febbraio 2015 22:30

Grandi Rischi, il processo non è finito: distrazioni e incongruenze

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di Valerio Congeduti* - Pare ormai assodato: il Processo Grandi Rischi non è finito. Assisteremo a un nuovo atto, questa volta in Cassazione. Ma in attesa che sia la Corte Suprema a pronunciarsi sul caso, è già possibile rilevare alcuni punti deboli nella sentenza d’appello. Il collegio giudicante, presieduto da Fabrizia Ida Francabandera, sembra tradire infatti non poche difficoltà nel recepire alcuni aspetti cruciali emersi dal primo grado di giudizio. Mentre altrove finisce addirittura per entrare in contraddizione con sé stesso. Ma procediamo con ordine, citando tra parentesi i riferimenti alle pagine della sentenza per permettere di verificare quanto scritto.

In primo luogo, la Corte dà l’impressione di non riuscire a comprendere la differenza tra prevedere l’evento terremoto e prevedere uno scenario di rischio potenziale legato all’eventualità di un terremoto (202-203). I giudici bollano questa distinzione come “artificiosa”, ma in realtà si tratta di un concetto basilare nella scienza del rischio. Ad esempio, quando saliamo su un aereo di linea, nessuno può dirci se ci sarà un’avaria. Come nel caso del terremoto, anche qui è impossibile prevedere l’evento. Tuttavia ci viene spiegato che cosa potrebbe verosimilmente accadere in caso di avaria: atterraggio in mare, depressurizzazione della cabina, ecc. È esattamente ciò che fa il personale di bordo prima di ogni decollo. Pur avendo a che fare con un evento imprevedibile ed estremamente improbabile, è sempre possibile prevedere lo scenario che si verrebbe a creare nell’ipotesi remota che questo evento si verificasse. Ed è precisamente ciò che in quella riunione è venuto a mancare. Ma non solo.

Un passaggio delle motivazioni recita che non era possibile “effettuare valutazioni dei fenomeni sismici in atto diverse da quelle formulate dagli imputati” (173). Insomma, non si poteva fare meglio di quanto è stato fatto. Un’affermazione che lascia perplessi, se solo si pensa che nessuno tra i sei assolti confutò la teoria dello scarico nel momento in cui Barberi ne chiese conto durante la riunione. La Corte è perfettamente a conoscenza di questa omissione da parte degli scienziati, perché in un altro passo la cita esplicitamente (187), così come è consapevole dell’infondatezza scientifica di quella teoria, tanto che se ne serve per confermare la condanna di De Bernardinis (250-251). Quando asserisce che i sei assolti non potevano dire di più di quanto hanno detto, la Corte sta di fatto premiando, o quantomeno avallando, in modo del tutto incomprensibile, questa grave mancanza da parte degli scienziati. Il collegio giudicante, senza rendersene evidentemente conto, entra così in contraddizione con le evidenze processuali di cui esso stesso si serve in altri passaggi. Più che preservare la coerenza delle proprie argomentazioni, sembra che la sua principale premura sia quella di rimettere a nuovo l’immagine dei sei esperti, per farli uscire da questa vicenda non semplicemente assolti, ma addirittura inappuntabili.

E non è questa la sola contraddizione nella quale incorrono i giudici. Una ancora più evidente riguarda il giudizio sul ruolo di Bertolaso. In un passaggio leggiamo che non può condividersi l’assunto del giudice di primo grado, “secondo il quale, nel convocare la riunione, Bertolaso si prefiggeva comunque di rassicurare la popolazione aquilana” (173). Qui la Corte dà pieno credito a Bertolaso e considera attendibile la ricostruzione da lui offerta circa le motivazioni che lo indussero a convocare la Commissione Grandi Rischi: non rassicurare gli aquilani, bensì smentire tanto gli allarmismi di Giuliani quanto le rassicurazioni indebite diffuse dalla Protezione Civile regionale. In un altro passaggio invece si afferma l’esatto contrario: “la finalità reale della riunione era, sostanzialmente, proprio quella di fornire alla popolazione un messaggio di rassicurazione” (261). Qui la Corte rigetta l’interpretazione dei fatti alla quale in precedenza aveva aderito: checché ne dica Bertolaso, sentenziano i giudici, il suo intento era di rassicurare la popolazione aquilana, e il tenore dell’intercettazione telefonica con Daniela Stati non lascia spazio a dubbi e “non si presta a interpretazioni equivoche” (262).

Alla luce di tali lampanti contraddizioni, verrebbe quasi da credere, se non fosse del tutto assurdo pensarlo, che la stesura della sentenza sia stata un collage di pezzi scritti da tante mani diverse. Ma è appunto un paradosso, a cui non è opportuno prestare credito. È invece piuttosto scontato rilevare che contraddizioni del genere rappresentano veri e propri assist (certamente involontari) alla difesa di De Bernardinis, cui non sfuggirà l’opportunità di impugnarli in Cassazione come vizi di forma, per tentare di invalidare la sentenza di condanna.

Dopo averne evidenziato alcune pecche, è però giusto ascrivere anche un merito agli autori della sentenza: da oggi in poi nessuno parlerà più di processo alla scienza. È evidente infatti che gli imputati non sono più i sette esperti che il 31 marzo 2009 si riunirono all’Aquila. L’imputato è diventato uno solo: il giudice di primo grado Marco Billi, impallinato a più riprese, e non senza un certo compiacimento, dai colleghi della Corte d’Appello. La sentenza è tutta un rigoglio di considerazioni più o meno caustiche e polemiche sul suo operato. Di seguito una breve e tutt’altro che esaustiva selezione: “sulla base di tali scarni dati istruttori, pur contraddetti da tutti gli altri, il primo giudice ha tuttavia sorprendentemente ritenuto...” (188); “evidente forzatura della cronologia dei fatti, del dato testuale e delle risultanze istruttorie” (189); “contestazione poco chiara nei contenuti e sfuggente nei suoi contorni” (200); “il tribunale si è contraddittoriamente impegnato nella…” (202); “è prioritario evidenziare la sicura inidoneità degli strumenti scelti dal Tribunale” (206); “del tutto priva di supporto scientifico l’affermazione del Tribunale” (213).

Ma forse tutto questo è normale, è proprio la prassi. E allora la Corte certo non si offenderà se qualche appunto sarà mosso anche al suo operato.

*Valerio Congeduti, aquilano, ha conseguito il Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste con una tesi sulla comunicazione del rischio sismico. E' autore di un capitolo sul Processo Grandi Rischi pubblicato nel libro "Parola di scienziato: la conoscenza ridotta a opinione" (Universitalia). Ha pubblicato articoli di scienza su l’Unità, Scienza in Rete, Almanacco della Scienza CNR, OggiScienza. E' cultore della materia e titolare del Laboratorio di scrittura scientifica presso l'Università di Roma Tor Vergata.

Ultima modifica il Lunedì, 23 Febbraio 2015 23:37

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