Riceviamo e pubblichiamo la nota di alcuni residenti del condominio di via Roma 207 - A 6 anni dal terremoto e dopo oltre un anno e mezzo dall’avvio dei legittimi lavori di ricostruzione, siamo ancora al punto di partenza. Le nostre case non sono state ricostruite, bloccate dall’infernale macchina amministrativa – burocratica messa in moto da chi, in spregio alle persone, non vuole farci rientrare nelle nostre abitazioni pagate con vite di sacrifici, nel nome di una porta che non esiste.
Porta Barete non esiste più, ma chi ci perseguita ben si guarda dal dirlo chiaramente. Che sia chiaro una volta per tutte: il terremoto del 1703 ha definitivamente distrutto Porta Barete. E’ falso chiamare porta quella che porta non è. E sanno bene i persecutori che la porta doveva trovarsi, fino al 1703, più a monte, tra l’edificio di via Roma 188 (la ex pizzeria) e la chiesa di Santa Croce. Quella che oggi alcuni chiamano Porta Barete per confondere le idee, è un varco chiuso, come ce ne sono vari su tutta la cinta muraria (però nessuno strepita perché vengano riaperti, anzi), era già noto prima dell’abbattimento del nostro palazzo ed è localizzato in un tratto di mura di recente riedificazione. Riesumare un varco, a carissimo prezzo, per ribattezzarlo Porta Barete e trasformarlo in un set di Cinecittà, in un’area urbanizzata, sotto un ponte in cemento armato, di fronte ad un centro commerciale ed immerso nel traffico è un’operazione al di fuori di ogni logica.
Quale sentimento identitario può ispirare agli aquilani una ricostruzione finta con le bandierine circondata dal traffico? A meno che non ci siano dietro altri interessi. Considerato che già il sindaco parla di aumentare le tasse comunali, non vorremmo che le decine di milioni di euro che si vorrebbero sperperare per questa “operazione” andassero a gravare come nuove tasse a carico dei cittadini onesti (vedi metropolitana di superficie, ed altro).
Oggi vogliamo raccontare com’è andata a chi crede in buona fede alla balla di Porta Barete. La nostra casa era bella. E ridiventerà così. Tanto bella che qualcuno anni fa “ci aveva fatto un pensierino” come è noto al nostro sindaco. Avevamo un giardino, bellissimo, con molti fiori e tanto verde intorno. Il nostro giardino è stato distrutto dalla brutale invasione operata dalla Soprintendenza. Una cosa deve essere chiara: le indagini archeologiche che ci hanno perseguitato sono state pianificate in assenza di alcun ritrovamento, nell’estate del 2013, improvvisamente ed inspiegabilmente, visto che il condominio aveva appena ricevuto il contributo per la ricostruzione dopo anni di attesa, e solo il nostro condominio di quell’area, e non sotto altri. Per cercare cosa? I resti della parte interna del varco di porta romana. Ma si possono definire resti archeologici dei ruderi che figurano persino sulle mappe catastali? La cosiddetta antiporta, ovvero la struttura in muratura che faceva parte dell’officina del fabbro che era lì prima delle nostre case, era accatastata. Vuol dire che, grazie alla Soprintendenza, abbiamo il primo caso al mondo di beni archeologici già accatastati prima della loro “scoperta”!
La Soprintendenza ha violentato il nostro giardino fiorito: alla ricerca di cosa? Forse di un pretesto, di un qualcosa in grado di bloccare definitivamente la ricostruzione solo del nostro palazzo. Altrimenti non si spiega perché altrettanto non si sia fatto per l’edificio fronteggiante ed adiacente, la ex pizzeria in via Roma 188 che taglia le mura, ugualmente demolita ma già ricostruita, riedificata sull’antico “Spedale di S. Spirito”. Perché questa disparità di trattamento? Una disparità di trattamento (e non è l’unica) su cui siamo decisi ad andare fino in fondo. Così, mentre in tutta la città i ritrovamenti di archi, decori e statue stanno andando ad impreziosire le abitazioni ristrutturate dei soliti noti, solo per noi si vorrebbe, invece, far diventare punitivo ciò che è stato disseppellito a seguito di un piano ben preciso (questo, si, ben pianificato) che ha “approfittato” (e qui utilizziamo il termine usato persino dalla Soprintendente Vittorini, che dimostra scarsa sensibilità verso i terremotati e vittime della vicenda) anti-eticamente della demolizione del fabbricato.
Su quel tratto di mura, come su tutti gli altri, la Soprintendenza stessa ha sempre consentito e sta consentendo di costruire: un ponte, due centri commerciali praticamente attaccati alle mura, una strada trafficata, una rotatoria. Persino la sopraelevazione di un edificio, per cui è in corso un processo penale senza che né Comune né Soprintendenza, né associazioni si siano costituiti quantomeno parte civile. E’ il caso che su queste stranezze e sulle “pressioni” esercitate da alcune associazioni per bloccare solo il nostro edificio e non altri, pressioni che esercitano nei fatti violenza su di noi, si faccia luce.
Sulla sospensione dell’autorizzazione della gru, ad esempio: una quindicina di pareri positivi ed un apposito tavolo tecnico l’avevano autorizzata, è bastata la levata di scudi di alcuni attivisti ed immediatamente solerti funzionari, con singolare dietro front, ci hanno bloccato l’autorizzazione alla installazione da loro stessi approvata. Fatto che non ha precedenti, di inaudita illegittimità. Comportamento a dir poco anti-etico, ma anche danno, di cui ci dovranno rendere conto.
Si continua a parlare di fantomatiche proposte da noi rifiutate. Allora, eccone un esempio, ben documentato: a luglio 2013, in assenza di alcun ritrovamento, monsignor Antonini, pastore di anime (quello delle riunioni segrete in ospedale con sindaco, assessori e funzionari delle belle arti, che voleva eliminare il nostro palazzo salvo poi affannarsi nel dire che no, non voleva mandarci via, travisavamo il suo pensiero) chiedeva all’assessore Di Stefano di delocalizzarci tra via Roma e via dei Marsi (non è dato sapere con quali competenze né con quale incarico ufficiale si permettesse di fare queste proposte), aggiungendo che, non appena avessimo scavato, si sarebbero trovate le fondazioni della chiesa di S. Giuliano di Barete. Delocalizzarci, quindi, per bloccare di nuovo subito tutto e spazzarci via definitivamente! Assessore Di Stefano, sono queste le allettanti proposte di sistemazioni alternative che avremmo rifiutato? Nell’estate 2013, monsignori, attivisti, assessori, funzionari delle belle arti si riunivano per mandarci via dalle nostre case e per noi iniziava un incubo. Così, noi demolivamo le nostra case e loro avevano un piano pronto per “approfittarne”. Senza che noi ne sapessimo nulla, non immaginando nulla il giorno dell’inizio dei lavori di demolizione delle nostre case (e quante lacrime ci è costata quella demolizione!).
E’, a dir poco, immorale consentire e finanziare la demolizione del condominio per poi avviare, in accordo con altri enti ed in assenza di ritrovamenti, delle indagini archeologiche in area privata, sotto un solo fabbricato in tutta la città: indica una volontà di inganno nei nostri confronti. La mancata pianificazione di questa idea tardiva, da parte del Comune dell’Aquila, ci ha privato della possibilità di scegliere se demolire o riparare il nostro edificio, e qualcuno sarà chiamato ad assumerne la responsabilità. In questi mesi, alle nostre spalle (riservandoci un trattamento differente da altri edifici della stessa via a noi adiacenti, che hanno potuto demolire e ricostruire senza “disturbi”), è stato svolto un procedimento amministrativo finalizzato ad impedire la ricostruzione delle nostre case.
Con il ricorso proposto dall’Avv. Sergio Gabrielli, di Grottammare, abbiamo denunciato le plurime e gravi illegittimità dell’azione posta in essere ai nostri danni, con la quale i nostri diritti sono stati mortificati e calpestati: il TAR ha ritenuto fondato il nostro ricorso ed ha sospeso il provvedimento mortale col quale si voleva paralizzare la legittima ricostruzione delle nostre case. Nonostante si stia tentando con ogni mezzo di privarci delle nostre case, attraverso convergenze di intenti e di azioni ai nostri danni degne di approfondimenti giudiziari, siamo intenzionati ad andare avanti e non tollereremo nessun ulteriore tentativo illegittimo di ostacolarci: siamo determinati ad interessare tutte le autorità giudiziarie, nessuna esclusa, affinché valutino gli atti e le condotte che sono stati posti in essere illegittimamente ai nostri danni, perché i pregiudizi che ci sono stati inferti, sono incalcolabili. Ma attenzione, perché qualcuno potrebbe pensare ancora di “approfittare“ della grande occasione offerta dal sisma e, soprattutto, dal post-sisma. E le armate di medievopoli si potrebbero opportunamente reindirizzare verso nuovi nemici.
Se mai capiterà, non fate come noi. Non demolite il vostro palazzo, la vostra casa. Anche se malridotto, anche se brutto, soprattutto se “incongruo”, anche se insicuro, non demolitelo. Riparatelo. Infatti, se c’è una volontà accanita di fermare i lavori di un fabbricato, alle Soprintendenze basta scavare per dire alt, in un centro storico come L’Aquila: scavando sotto qualunque edificio si troverà sempre una pietra, un ciottolo, un sasso che possono essere presi a pretesto, come pure è vero il contrario, basta non fare indagini per non creare problemi: niente indagini = niente ritrovamenti. Siamo convinti che “la Legge è uguale per tutti”, pertanto nuove falsità, rinvii, ostacoli e minacce nei nostri confronti non potranno privarci del nostro sacrosanto diritto alla ricostruzione della nostra casa. Per noi, intanto, è il momento di iniziare con le richieste di risarcimento. Sperando che a pagare stavolta siano i responsabili, e non l’intera collettività aquilana.
Residenti di via Roma 207