Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli.
C'è un comma, contenuto nell'articolo 11 del decreto Enti locali approvato a giugno e convertito in legge i primi di agosto, che potrebbe creare non pochi grattacapi a imprese, consorzi e proprietari di appartamenti.
Il comma in questione è il numero 6, quello che fissa un tetto del 30% ai subappalti (una misura pensata per arginare il rischio di infiltrazioni mafiose).
“Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1656 del codice civile” dice il comma “le imprese affidatarie possono ricorrere al subappalto per le lavorazioni della categoria prevalente nei limiti della quota parte del trenta per cento dei lavori”.
E qui arriva la parte "diabolica": “Sono nulle” continua il testo “tutte le clausole che dispongano il subappalto dei lavori in misura superiore o ulteriori subappalti”.
La norma, in pratica, non solo vieta subappalti superiori alla soglia del 30% ma sembrerebbe impedire anche tutti i subappalti di natura diversa da quelli rientranti nella categoria prevalente (“ulteriori subappalti”).
Cioè, tutti quelli che hanno a che fare con la realizzazione di opere specialistiche e super-specialistiche.
Per questo tipo di opere, infatti, le imprese che si aggiudicano una gara d’appalto e che possiedono solo la qualificazione per la sola categoria prevalente, devono subappaltare i lavori o costituire un'Ati servendosi di imprese con capacità tecnica adeguata.
Se si sta al testo del decreto, con quella limitazione le imprese non potrebbero più fare questo tipo di affidamenti, che esistono in tutti i cantieri ma che sono praticamente inevitabili per i cantieri dei grandi aggregati che hanno al loro interno parti vincolate che necessitano di interventi di restauro.
Se così fosse, se, cioè, la norma venisse interpretata in modo così restrittivo, ditte, proprietari di immobili, amministratori di condominio e presidenti di consorzio si ritroverebbero di fronte a un ostacolo enorme, difficilmente aggirabile, anche perché, proprio per effetto del decreto, amministratori e presidenti sono stati equiparati a pubblici ufficiali, il che vuol dire che una loro mancata osservazione della legge si configurerebbe immediatamente come reato.
Il problema è stato sollevato anche ai vertici dell'Usra, che, interpellati da un presidente di consorzio, si sono trovati spiazzati e hanno dovuto riconoscere l'esistenza dell'ambiguità.
E' molto probabile che, per sciogliere i dubbi, nei prossimi giorni verrà chiesto un parere dirimente a qualche ministero. Abbiamo provato a metterci in contatto sia con l'ingegner Provenzano dell'Usra che con il responsabile Raniero Fabrizi ma nessuno dei due ha voluto rilasciare dichiarazioni.
L'impressione è che, per ora, stiano tutti facendo finta di niente ma il problema, come del resto ha riconosciuto lo stesso Ufficio speciale, c'è eccome.
La senatrice Pezzopane, interpellata da NewsTown, sostiene che la norma non sia suscettibile a questa interpretazione, anche perché nei vari tavoli che si sono tenuti per approntare la legge non se ne era parlato; ma ammette che, essendo passato per mille riscritture, il testo del decreto Enti locali non è quello a cui si era pensato all'inizio.
Anche le associazioni di categoria ammettono che il decreto, così com'è stato approvato e poi convertito, contiene buchi e parti poco chiare, a causa delle quali potrebbe anche scatenarsi una pioggia di ricorsi.
“E' normale che ciò avvenga” dice il presidente di una di queste associazioni “se si fa una legge sulla ricostruzione privata 6 anni e mezzo dopo il terremoto, quando ormai alcune prassi si sono ampiamente consolidate”.