L'amministrazione comunale ha “ampia discrezionalità” nella determinazione dei canoni di compartecipazione e gli oneri comportati da questi ultimi non sono affatto esorbitanti, anzi incidono in maniera “esigua” sulle tasche dei cittadini.
E' sulla base di queste motivazioni che il Tar Abruzzo ha respinto un ricorso presentato da oltre 150 cittadini aquilani contro una delibera del consiglio comunale, - la n. 29 del 19 marzo 2015 - che aveva fissato, per tutti gli assegnatari di alloggi map e Case, canoni di compartecipazione di 0,60 euro al metro quadro, oneri fissati a titolo di manutenzione ordinaria.
I giudici (Bruno Mollica, presidente; Maria Abruzzese, estensore e Lucia Gizzi, referendario) hanno bocciato la richiesta dei ricorrenti (residenti, per lo più, nelle frazioni della zona est dell'Aquila e rappresentati dagli avvocati Fausto Corti e Sara Cecala) di sospendere in via preliminare il provvedimento impugnato, vale a dire la delibera di consiglio, non ravvisando il cosiddetto periculum in mora, ossia l'esistenza di un danno grave e irreparabile.
Ora, però, il tribunale amministrativo dovrà decidere anche nel merito ovvero sull'annullamento della delibera.
“Abbiamo già fatto una richiesta di accesso agli atti” spiega l'avvocato Corti “per avere tutta la documentazione contenente i criteri con cui è stato fissato il canone di 0,60 euro al metro quadro”.
Canone ritenuto iniquo, principalmente perché l'amministrazione ha chiesto ai cittadini di pagare per coprire i costi di servizi e interventi di manutenzione mai eseguiti.
Si legge infatti nel ricorso: “Fino ad oggi il Comune non ha eseguito sui complessi map interventi manutentivi di sorta, tant'è che gli assegnatari si sono sempre autogestiti, pagando di tasca loro i lavori che si rendevano via via necessari […] La richiesta avanzata dal Comune [agli abitanti dei map] era obiettivamente indebita poiché le voci di costo a cui era riferita riguardava una serie di elementi di cui gli alloggi erano privi (caldaie ed ascensori, parti comuni, illuminazione delle parti comuni, spazi verdi ecc.)”.
Insomma, le spese di manutenzione ordinaria non potevano essere fatte pagare forfettariamente e in modo aprioristico con un canone ma solo a fronte di interventi effettivamente eseguiti.
Ma c'è di più. La delibera 29 del marzo scorso, a parere dei ricorrenti, è da considerarsi illegittima anche perché Il Comune, nella determinazione dell'importo dei canoni, ha usato una nozione di manutenzione ordinaria che comprende anche interventi di manutenzione straordinaria. Ma per coprire i costi di questi ultimi avrebbe dovuto attingere a un apposito plafond inserito nei fondi per la ricostruzione stanziati dallo Stato.