Giovedì, 01 Agosto 2013 01:49

L'Abruzzo e le aree protette: producono un settimo del Pil, si tenta di smantellarle

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Per fortuna, la discussione è stata rinviata a dopo l’estate. Cosa si nasconde, però, dietro la proposta di riperimentrazione del parco Silente-Velino? E’ necessario fare qualche passo indietro.

La vicenda è nota, ne abbiamo già scritto: il consigliere del Popolo delle Libertà, Luca Ricciuti, ha presentato una proposta di legge per 'strappare' 4200 ettari di area protetta, nei territori dei comuni di Rocca di Cambio e Rocca di Mezzo, che doveva essere discussa, lo scorso martedì, nell’ultimo Consiglio regionale. Il presidente Nazario Pagano, forse consigliato dalle proteste delle associazioni ambientaliste, ha chiesto però di approfondire alcune questioni procedurali sollevate dal consigliere di Rifondazione comunista, Maurizio Acerbo.

Tutto rimandato, dunque, di qualche settimana. Resta la preoccupazione: la proposta, se accolta, soddisferebbe soltanto appetiti speculativi, in questa zona fortissimi, con ulteriore cementificazione e lottizzazione del territorio, costruzione di inutili infrastrutture e riapertura della caccia in territori nei quali i fucili andrebbero, invece, assolutamente banditi.

Non è un mistero che gli ettari di area protetta, tra Rocca di Cambio e Rocca di Mezzo, siano interessati da tempo da progetti di espansione turistica. Era il febbraio il febbraio 2011: a Palazzo Chigi, la Regione Abruzzo, la Provincia dell’Aquila, i Comuni di Lucoli, L’Aquila, Ovindoli, Rocca di Cambio e Rocca di Mezzo, l’ente parco del Gran Sasso e Monti della Laga e l’ente parco Sirente-Velino, firmavano il cosiddetto protocollo Letta. Prendeva il nome da Gianni, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio e zio dell’attuale premier. Un documento d’intesa lungo 8 pagine che puntava al “rilancio dello sviluppo e alla valorizzazione dell’area aquilana del cratere colpita dal terremoto del 6 aprile 2009, ai fini ambientali e turistici”.

Tra gli obiettivi, “individuare per l’intero ‘bacino’ in questione un percorso di crescita e di sviluppo economico e sociale basato sulle potenzialità e sulle vocazioni naturali dell’area”. Tradotto, l’idea era di “collegare le stazioni sciistiche di Ovindoli e di Campo Felice e incrementare gli impianti a Campo Imperatore fino a raggiungere 63 chilometri di piste: un progetto che negli anni stimolerà l’economia abruzzese creando un indotto da 200 milioni di euro e permetterà la creazione di 2.000 nuovi posti di lavoro”. O, almeno, questo è stato promesso. 

Il protocollo scatenò molte polemiche: il Presidente della Regione l’aveva firmato senza averne informato nemmeno il Consiglio. “Non è stato votato e discusso, nemmeno come documento d’indirizzo” raccontò in quei giorni Maurizio Acerbo. “Il terremoto rappresenta una scusa per rilanciare un determinato modello di sviluppo di cui il ‘protocollo Letta’ rappresenta solo un aspetto. È in discussione un Piano paesistico basato sull’idea che la disciplina vincolistica dei Parchi impedisce lo sviluppo economico. C’è poi il Piano regionale integrato dei trasporti. C’è, infine, la programmazione rispetto ai fondi per le aree sottosviluppate, i Fas. Queste tendenze escono rafforzate e implementare con il protocollo, che sistematizza una spinta che già c’è”, concludeva Acerbo. “Se la Regione non investe più nella tutela dei parchi, nella promozione di un altro modello economico o di turismo a basso impatto, rende tutte queste spinte più forti”.

In effetti, non più tardi di un anno dopo è stata approvata la variante al Piano regolatore del comune di Rocca di Cambio che non fa altro che riproporre scelte sbagliate degli anni ‘70 e prevede nuove seconde case, residence e alberghi, da costruire per altro in siti d’interesse comunitario protetti per la qualità della flora, della fauna e del paesaggio. In un’area dove l’80-90% degli appartamenti è vuoto per larga parte dell’anno e molte abitazioni sono sfitte o in vendita. Anche il tunnel Serralunga che collega l’altopiano delle Rocche a Lucoli, un’opera da 19milioni di euro fortemente voluta da Gianni Letta, è assolutamente funzionale a questa idea di sviluppo edilizio.

Ora, l’ultimo affondo: il tentativo di strappare più di 4000 ettari, importantissimi per la tutela della biodiversità del Parco, istituito nel 1998 con legge regionale numero 34 e, da quel momento, mai davvero protetto. La legge regionale n. 226/1998 tagliò circa 9.000 ettari dell’area protetta e altri rilevanti tagli sono stati apportati dalla legge n. 126/2000 e da ultimo dalla legge n. 42/2011.

"L’Abruzzo si dichiara Regione verde d’Europa, ma questa affermazione di principio rischia di restare un’etichetta vuota”, ha detto sconsolato Dante Caserta, presidente WWF Italia. “Il Parco Regionale Sirente-Velino è un’area protetta importantissima perché in essa sono racchiusi e fusi ambienti naturali e paesaggistici molto vari che formano un’unità ecologica fondamentale”.

"Si tratta dell’ennesimo segnale di un cambio di rotta in senso negativo nella politica di conservazione del territorio”, sottolinea Luciano Di Tizio, WWF Abruzzo. “L’ennesimo taglio viene proposto proprio quando emerge invece, in modo evidente, la necessità di estendere la protezione della Natura allargando i confini del Parco e attraverso la creazione delle cosiddette fasce contigue. Ricordiamo che il recente episodio di uccisione di un Orso sull’autostrada A24 è avvenuto nel Comune di Tornimparte, poco distante dalla zona che oggi qualcuno vorrebbe definitivamente 'rubare' al Parco. L’aspetto più assurdo della proposta Ricciuti è che essa vorrebbe escludere dall’area protetta proprio alcune tra le zone più note a livello nazionale e internazionale come gran parte dei Piani di Pezza, della Piana di Campo Felice e anche parte della Piana di Terranera che è parte integrante dell’Altipiano delle Rocche, cuore del parco, ponendo a rischio quegli spazi di continuità che sono fondamentali per la mobilità e la sopravvivenza delle specie presenti nel Parco, a partire dai grandi carnivori, e su tutti l’Orso marsicano".

Secondo Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente, e Stefano Raimondi, dell’Ufficio Aree Protette di Legambiente, "particolarmente gravi sono le intenzioni della proposta in un momento storico cruciale nel quale, la sinergia tra i parchi dell’Appennino centrale, fra cui il Sirente-Velino che è tra i partner del progetto Life Coornata, vede portare a casa importanti risultati nell’ambito della conservazione della natura come la fondazione, avvenuta pochi giorni fa, della quinta colonia di camoscio appenninico proprio nel Parco Regionale sta a dimostrare".

Che poi, a dirla tutta, la tutela dei Parchi potrebbe essere un motore di sviluppo fondamentale per la nostra Regione, a livello economico e occupazionale. Il turismo slow, infatti, pare non risentire affatto della crisi. Difendere la natura, inoltre, non vuol dire soltanto fare ragioneria. “Il saldo economico positivo è un rafforzativo ma non è vincolante”, sottolinea Antonio Nicoletti, responsabile aree protette per Legambiente. “Ci sono dei servizi svolti dai parchi che sfuggono a logiche meramente economiche. Penso alla CO2 assorbita dagli alberi, ad esempio. O alle persone che ogni anno transitano per le aree protette: 100 milioni!”.

Chi ha provato a quantificare le ricadute sociali di progetti di tutela rispetto al territorio interessato è stato il Parco della Majella, che si estende per 74mila e 900 ettari. “Dal 2005 abbiamo iniziato un percorso di valutazione economica finalizzato a dimostrare che la conservazione paga”, raccontava ad Altreconomia, a fine 2012, Nicola Cimini, per 16 anni direttore del Parco. "Il Centro regionale di studi e ricerche economico e sociali (Cresa) ha stimato in oltre 6 milioni le presenze turistiche annuali. A seconda della tipologia dell’utenza (stranieri, italiani, abruzzesi stessi), è stato calcolato un valore economico del turismo, solo nel Parco della Majella, per oltre 420milioni di euro. L’incremento della spesa turistica dovuta all’effetto-parco (ecoturismo) e l’occupazione diretta e indotta, hanno generato un aumento della spesa complessiva soggetta a tassazione di oltre 130 milioni di euro. Non solo: se consideriamo i servizi eco-sistemici, l’artigianato, la promozione del territorio, le attività di agricoltura biologica, è stato calcolato che i parchi d’Abruzzo contribuiscono alla produzione di un Pil ambientale che si attesta ad 1 miliardo e 100 milioni di euro. All’anno. Considerando poi i parchi e le aree protette regionali, si tocca quota 4 miliardi e mezzo di euro".

Il Pil dell’Abruzzo è, più o meno, di 28 miliardi di euro. Significa che un settimo della cosiddetta ricchezza regionale dipende dalla tutela dell’ambiente. Inoltre, il rapporto costi e benefici della tutela naturale è assolutamente sbilanciato. Lo è a favore della tenuta idrogeologica del territorio: “Quando metti un freno allo sfruttamento boschivo, all’agricoltura intensiva, all’erosione della terra”, spiega Cimini”, “inizi a prevenire allagamenti, per esempio".

In altre parole, viviamo un territorio potenzialmente ricchissimo. E invece, si sta facendo di tutto per distruggerlo, con politiche miopi che rispondono a logiche di sfruttamento edilizio che, negli anni, hanno mostrato tutti i loro limiti. Sarà bene ricordarselo, quando verrà discussa la proposta del consigliere Ricciuti. Sarà bene ricordarselo, se non vogliamo che un metanodotto di 167 km tagli a metà la nostra Regione.

 

Informazioni tratte da "Le conseguenze del cemento", di Luca Martinelli. Inchieste pubblicate su Altreconomia, mensile indipendente di economia solidale, diritti e nuovi stili di vita. Per sostenere il progetto, clicca qui. 

Ultima modifica il Giovedì, 01 Agosto 2013 22:35

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