La novellistica minore offre numerosi spunti di riflessione concernenti il panorama sonoro tra la metà del Trecento e la metà del Quattrocento. Le 155 Novelle di Giovanni Sercambi, che si inseriscono anch’esse nel filone delle opere nate seguendo l’esempio di Giovanni Boccaccio, rispetto all’opera di Franco Sacchetti, considerata nel precedente articolo, sono più ricche di riferimenti a situazioni musicali.
Giovanni Sercambi fu letterato, scrittore e politico nacque a Lucca nel 1348 dove morì di peste nel 1424; fu anche speziale ma la sua attività comprendeva anche la produzione ed il commercio di libri ed inoltre dedicò gran parte delle proprie energie alla vita politica.
Tra le Novelle ed il Decameron si possono evidenziare alcuni punti in comune quali l’epidemia di peste che offre il motivo del viaggio e la coincidenza con alcune storie del Boccaccio; nella cornice invece il fatto che l’autore sia il narratore delle novelle e che i racconti siano raccontati durante le soste di un pellegrinaggio, rivelano un’impostazione diversa.
Il novelliere ha per protagonisti alcuni giovani che si allontanano da Lucca nel 1374 a causa della peste, per un pellegrinaggio attraverso l’Italia, che toccherà anche L’Aquila. L’opera si apre con un’ introduzione nella quale vengono impartite alla brigata le regole da tenere durante il viaggio e, tra le molte indicazioni, ci sono anche quelle relative al contegno e alle norme alle quali attenersi durante le esecuzioni musicali.
Nell’introduzione, infatti, l’autore indica che gli strumenti siano «dilettevoli» e raccomanda che il canto sia realizzato «con voci piane e basse». Inoltre si preoccupa di dare suggerimenti riguardanti anche il testo dei brani suggerendo che siano eseguite «canzonette d’amore e d’onestà». In tutta l’opera è soprattutto nell’ambito della cornice che ci si dedica al canto e alla danza, la musica riveste quindi quella funzione realistica che aveva sottolineato Nino Pirrotta parlando della novellistica italiana. Sercambi, infatti, lega fortemente il suo racconto al suo tempo citando testi di ballate, madrigali e cacce, nonché brani poetici di scrittori a lui contemporanei o di poco precedenti.
Fra i brani musicali che i giovani pellegrini cantano per intrattenere ed intrattenersi durante le numerose tappe del viaggio, sono state identificati i madrigali: Come da lupo pecorella presa, Un bel giffalco scese alle miei grida, e Io fui già rusignolo in tempo verde, tutti composti da Donato da Cascia (sec. XIV) su testo di Niccolò Soldanieri (Firenze, .– Firenze, 1385). Tra gli altri sono stati riconosciuti i brani Virtù luogo non ha perché gentile, di Niccolò da Perugia (seconda metà XIV – dopo il 1402), che fu tra i collaboratori più stretti di Franco Sacchetti, L’aguila bella nera pellegrina, ed Io vo’ ben a chi vuol bene a me, di Gherardello da Firenze (1320 ca. – 1363 ca.), Vita non è più misera e più ria di Francesco Landini (1330 ca. – 1397), Da, da a chi avanza pur per sé, di Lorenzo Masini da Firenze (? - morto 1373), Ama chi t’ama, sempre a buona fé, e La fiera bestia di Bartolino da Padova (1365 – 1405). Inoltre sono presenti la ballata Ciascun faccia per sé di Antonio Pucci (1310 -1388) ed il sonetto Fior di vertù si è gentil coragio, di Cino Da Pistoia (1270 – 1336).
Il preposto invita a più riprese i componenti della brigata a cantare prima della cena, nell’attesa che sia servita, o per concludere la serata mostrando così i momenti che potevano essere ritenuti adatti alle esecuzioni musicali. Anche nelle altre opere, che siano di letteratura o cronache storiche, i convenuti sono intrattenuti o loro stessi si intrattengono con l’esecuzione di musiche, danze o brani vocali durante i momenti conviviali. Tutto ciò ci segnala l’uso di una prassi molto diffusa che si evolverà in momenti musicali sempre più ampi e ricchi di elementi drammaturgici e coreografici.
L’autore, nell’introdurre i momenti cantati, usa frasi simili fra loro ed inoltre mette in evidenza come alcune volte si esibiscano solo le voci maschili «li cantatori comincionno alcuna canzonetta in questo modo», in altri casi solamente quelle femminili «Le cantarelle, udendo la volontà del proposto, comincionno a cantare in questo modo», a volte invece cantano insieme: «il preposto comandò che a cantar le donzelle e’ cantarelli cominciassero», «E fatto silenzio, fe’ alcuna canzonetta a’ cantatori e cantarelle cantare in questo modo», «e’ cantatori e le cantarelle comincionno a cantar canzonette piacevoli e oneste».
In qualche caso sono dati dei cenni riguardanti modalità esecutive che fanno pensare a delle esecuzioni soprattutto a cappella: «i cantatori e cantarelle con dolci voci una canzona piacevole», «il proposto comandò a’ cantarelli che sotto voce soave si canti alcuna canzonetta», «i cantarelli e cantarelle con voci puerili cantarono in questo modo una canzona», «E presto uno cantatore con una damigella comincionno una canzona in questo modo».
Gli unici strumenti musicali indicati con il loro nome sono citati nell’introduzione: il salterio per i salmi e i liuti per intrattenere i giovani prima e dopo cena. Inoltre è segnalata la presenza generica di altri stormenti ma l’autore non si cura di identificarli ed infatti si limita a dire «il preposto comandò che li stormenti sonassero et i cantatori cantassero».
Questa generica indicazione è una modalità presente in molte opere, tuttavia, nelle altre fonti, quando i nomi degli strumenti sono specificati, si rileva la presenza regolare di liuti, arpe, vielle e strumenti a fiato. La presenza di stormenti che accompagnano le danze ed i canti si individua sia nella cornice che all’interno dei racconti; si rileva così la consuetudine per la quale quasi nella totalità delle volte in cui la brigata si riuniva per cenare si dava il via alle danze: “ Il preposto e lʹaltre brigate si puosero a sedere, li stormenti sonando preseno