Giovanni Gherardi (1360/67 - 1446 ca.) giurista, notaio e letterato, discepolo di Cino Rinuccini, è autore dell’opera Il Paradiso degli Alberti, nella quale la musica è parte integrante delle dotte disquisizioni e dei raffinati passatempi di una colta compagnia.
Gherardi, sul solco della tradizione boccaccesca, realizza un lavoro che raccoglie novelle, miti, viaggi immaginari e conversazioni, narrate da un gruppo di nobili fiorentini in tre differenti luoghi di cui l’ultimo è appunto la Villa di Antonio di Niccolò degli Alberti.
Il racconto si snoda attraverso le novelle che si alternano in maniera disorganica, alla narrazione di dispute storiche e filosofiche; l'opera è divisa in cinque libri l’ultimo dei quali è incompiuto. Rispetto al modello del Decameron risulta qui capovolto il ruolo della cornice; questa ha una maggiore e più rilevante posizione rispetto alle novelle alle quali è riservato soprattutto il compito di chiarire le questioni che animano le conversazioni dell’erudita compagnia. Il pubblico destinatario dell’opera di Gherardi è un pubblico elitario, alto borghese, e questo viene dimostrato anche dalle dimore in cui è ambientato il Paradiso. La brigata si intrattiene, infatti, dapprima nel castello feudale di Poppi dei conti Guidi, a seguire si sposta nel palazzo di via dei Benci ed infine conversa nella villa di Antonio degli Alberti, mercante e poeta, mecenate, protettore di artisti, di intellettuali e di scienziati. L’Alberti sogna appunto di realizzare, sotto la sua guida, un’accademia in cui siano presenti gli esponenti più rilevanti della cultura del suo tempo affiancandoli a donne, giovani ed anziani intellettuali.
Anche nel Paradiso, così come nelle giornate del Decameron, i convivi si concludevano con dei momenti musicali ma, mentre in Boccaccio gli attori sono i personaggi immaginari della brigata, Giovanni Gherardi ritrae quella che poteva essere una situazione musicale del suo tempo con il coinvolgimento di uno dei maggiori polifonisti attivi nella trecentesca Firenze: Francesco Landini.
Gherardi con le sue parole evoca una scena in cui il compositore esegue una sua ballata accompagnandosi con l’organo portativo al quale viene associato tanto da essere chiamato “Francesco degli organi”. E così, dopo il pasto, tutti si pongono all’ascolto attento di Francesco: […] E prestamente con piacere di tutti e singularmente di Francesco musico due fanciullette cominciarono una ballata a cantare, tenendo loro bordone Biagio di ser Nello, con tanta piacevolezza e con voci sì angeliche, che non che gli astanti uomini e donne, ma chiaramente si vide e udì, li ucelletti che su per li cipressi erano farsi più pressimani e i loro canti con più dolcezza e copia cantare.
Con questo passo Gherardi ci testimonia una delle possibili modalità di esecuzioni delle ballate; egli narra infatti come la ballata a tre voci Orsù gentili spirti ad amar pronti fosse realizzata a cappella da due voci femminili con il tenor maschile, un’interpretazione questa che ci attesta la prassi dell’uso delle voci femminili nella polifonia, seppur in occasioni private. Inoltre essendo realizzata con due voci femminili al superius e all’altus, doveva sicuramente essere adeguata alla tessitura femminile.
Gherardi continua sempre nel Libro III a tessere le lodi di Landini, tanto che il fatto che gli uccelli smettessero di cantare per ascoltarlo diventa occasione di una interessante disputa: […] fu comandato a Francesco che toccasse un poco l’organetto per vedere se il cantare dell’ucelletti menomasse o crescesse per lo suo sonare. E così prestissimamente facea; di che grandissima meraviglia seguìo: ché, cominciato il suono, si vidono molti uccelli tacere e, quasi come attoniti faccendosi più dapresso, per grande spazio udendo passaro; dapoi ripresso il loro canto, radoppiandolo, mostravano inistimabile vaghezza, e singularmente alcuno rusignuolo, intanto che apresso a uno braccio sopra il capo di Francesco e dell’organetto veniva.
Nel Paradiso troviamo comunque altre testimonianze relative, più che alla prassi, all’uso di strumenti musicali, come il riferimento alla chitarra di Alessandro di ser Lamberto che rende possibile il seguitare della festa: […] E dopo molte splendide vivande, levato le tavole e cantato e sonato più canti e suoni, due pulcellette con due garzonetti Mattio pigliò e con una isnella e leggiadrissima danza, dicendo Alessandro di ser Lamberto quella al tutto volere sonare elli, e co˙lla sua chitarra sì dolcemente sonò e che non ch’altri, ma Francesco musico tutto ringioire facea. E così per buono spazio di tempo l’ozio passaro con giocondissima festa.
I riferimenti agli strumenti e a situazioni musicali continuano ancora con il racconto delle gesta di Dolcibene, celebre giullare, citato anche da Sacchetti di cui era contemporaneo. Per Gherardi egli era «il re fatto di tutti i buffoni», ma anche «convenevole musico e ottimo sonatore d’organetti, di leuto e d’altri stormenti» a testimoniare il fatto che nel Medioevo fosse frequente l’abilità nel saper suonare più strumenti musicali. E’ testimoniato inoltre l’uso dell’arpa per accompagnare le danze: […] Per che il re perdonando loro, presto comandò che due de ’valletti prendessono le leggiadrissime donne e cominci assono lietamente con uno leggiadrissimo suono d’arpa a danzare. Infine si rileva ancora una scena di canto e danza che allieta i convitati alla fine della cena; in questa occasione però il canto delle fanciulle si alterna a quella dei giovinetti che accompagnano cantando il proprio ballo, anche qui si tratta di un ballo tondo, come quello che ci veniva raffigurato nel Tacuinum sanitatis: […] E così detto, prestissimamente due fanciullette cominciaro a cantare dolcissimamente, invitandoli alla cena; e tutti levati su, ne giro in vèr l’altra parte del boscetto, dove aparechiate eran le tavole richissimamente. E data l’aqua alle mani ne girono a ttavola cenando con grandissimo piacere, avendo varie e splendentissime vivande con diversi suoni e canti; e così finirono con somma consolazione la giocondissima cena. E levate le tavole, le pulcellette e’ giovinetti cominciarono a ffare uno ballo tondo, cantando ora l’uno ora l’altro legiadrissime canzonette.