Domenica, 13 Ottobre 2013 14:40

Praticamente innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma / 7: Piazza Regina Margherita

di 

"Praticamente Innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma" è giunto al settimo appuntamento. In questa tappa del nostro viaggio, visiteremo Piazza Regina Margherita. Da non perdere.

Qui è possibile leggere di tutti i luoghi raccontati da "Praticamente Innocua"

Nei primi mesi dopo il terremoto, andare in centro all'Aquila costituiva un atto marcatamente politico ed era, inutile negarlo, attività da iniziati.

Solo pochissimi si avventuravano ai margini della zona rossa, e ancor di meno erano quelli che episodicamente ne violavano i confini avventurandosi verso Piazza Duomo, mentre l'altro capo del corso languiva dimenticato dietro la cortina triste delle sue transenne.
Poi un giorno in seguito ad un evento che non troverebbe certo posto nella Storia, quella dei libri, qualcosa cambiò. Per la prima volta una folla di aquilani col cuore ancora ferito ma con un bel bicchiere in mano che aiuta sempre si ritrovò in una piazzetta del suo Centro, a guardarsi negli occhi, a sorridere, a bere, a sentire di nuovo di essere comunità.

Era l'8 Dicembre del 2009, e quel giorno riapriva Ju Boss.

Laura Garello, moglie di Enzo Ferrari, disse una volta che a suo marito arrivavano dall'estero cartoline indirizzate a “Ferrari, Italia”.
Probabilmente la stessa cosa, nel piccolo del nostro cratere, potrebbe capitare a “Ju Boss, L'Aquila”. Non esiste aquilano senziente nel cui immaginario la cantina per antonomasia non abbia il suo altarino. Nemmeno se è astemio.

Prima del terremoto, quando i venti della storia soffiavano ancora lontani dai nostri vicoli, la cantina de Ju Boss svolgeva il suo ruolo di “frullatore sociale” prima ancora che di mescita. Varcata quella soglia si appendeva ad un immaginario appendiabiti ogni sovrastruttura, e davanti a un bicchiere di rosso il professore e lo studente, il giovane e l'anziano, il comunista e il fascista scherzavano, discutevano, si confrontavano, litigavano urlando e non di rado cappottavano all'unisono sotto il giogo dolce dell'etanolo.

Particolarissima situazione di mercato, quella de Ju Boss: si apre a 'na certa, si chiude a 'na cert'altra, sabato e domenica non ci rompete che c'abbiamo famiglia. D'estate ciao a tutti per un mese. Nell'era del “domenica aperto” e degli orari dettati dall'ansia prestazionale della grande distribuzione e dei centri commerciali un vero miracolo, attestato quotidianamente dalla folla che si ammassa dentro e fuori il locale. Sintomo, forse, che non è vero che l'omologazione è l'unica via, e che ci sono elementi che stentano a trovare spazio nei grafici degli esperti di marketing ma che sono reali e tangibili, come la sensazione di entrare in un esercizio commerciale e non sentirti cliente ma parte integrante di un contesto.
Non c'è quindi da stupirsi di come, nell'Aquila militarizzata e dispersa di fine 2009, la riapertura di questo posto abbia costituito un momento di discrimine tra il prima e il dopo, perchè dopo quel giorno è stato un po' più difficile tenere la gente davanti alla tv nei salotti delle c.a.s.e.

Come un grande attrattore, Ju Boss ha raccolto attorno a sé tutta una moltitudine di bar, birrerie ed enoteche che si integrano in un contesto più di sinergìa che di competizione. Piazza Regina Margherita è una specie di affresco dei modi dello stare insieme, con una quantità di locali che si sono scavati la propria nicchietta antropologica. Il vestitino sovrastrutturale che avevamo lasciato sull'immaginario appendiabiti del Boss ce lo possiamo rimettere uscendo, e possiamo passare il resto della serata nel contesto che preferiamo. Dal locale “hawaiano” (o almeno così mi sembra) Tiki bar, così stranamente ma allegramente inserito nel contesto di un freddo centro storico appenninico, alla Caffetteria, allo Spritz, ai divanetti dell'Ohibò, alla new entry dell'ibrido kebabbaro-Heineken, un po' la cartina di tornasole di una città che cambia anche nei gusti, ce n'è per tutte le inclinazioni. Anche la birra artigianale, che è un altro mio pallino, dell'Anbra. Di recente poi ho fatto la scoperta che Le Petit Clos, dietro quella sua facies placida da intima enoteca di nicchia, cela il segreto insospettabile di un ottimo Martini, per cui per un po' mi trovate là.

Lo so che gli affari sono affari, e che questa gente sta solo cercando di guadagnarsi al meglio che può il pane: ma a me piace pensare a qualcosa di più, mi piace vederli come un piccolo esercito di gnomi magici che cercano di riportare la gente e la felicità tra i vicoli altrimenti vuoti di una città difficile da vivere. Per questo non mi riesco a scandalizzare del rumore della folla, della gente che non riesce a fare argine alle proprie vesciche e si abbandona a liberatorie minzioni notturne nei vicoli, del beat insistito che pulsa a volume illegale dalle casse di volenterosi dj dai nomi improbabili.

Non mi allettano il silenzio e la pulizia di una città morta, le telecamere che vigilano sul divertimento serale e le ronde che controllano che nessuno vomiti sulle erbacce che crescono da anni sulle macerie. Preferisco mille volte la vita esageratamente rutilante e fastidiosamente rumorosa che traborda dalle soglie di queste tane di gnomo che si affacciano sull'aiuoletta della piazza, sotto lo sguardo vigile, momentaneamente coperto dalle assi dei cantieri, del Tritone della fontana.

Se qualcuno, legittimamente, la pensa in maniera diversa la maniera migliore per dirimere la questione è bere qualcosa insieme.

Lo aspetto alla piazzetta.

Ultima modifica il Domenica, 13 Ottobre 2013 15:00

Articoli correlati (da tag)

Chiudi