Domenica, 27 Ottobre 2013 18:03

"Praticamente innocua", nona puntata. Il mercato di Piazza d'Armi

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"Praticamente Innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma" è giunto al nono appuntamento. In questa puntata, il nostro Ford Prefect ci porterà a fare la spesa nel nuovo mercato di Piazza d'Armi. Buona letttura.

Lo chiamano in tanti modi. L’Astronave, la Spianata, Ju Piazzo’. Il contorno tondeggiante e lo stacco cromatico del suo grigio, rispetto al verde incolto che lo circonda, fanno ormai parte dello skyline cittadino. In effetti skyline non è la parola esatta, perché il suo contorno non spicca affiancato alle sagome dei palazzi, ma per vederlo bisogna salire a San Giuliano o a Roio e allungare lo sguardo verso piazza d’Armi. Da lì vi apparirà un ovale stampato a terra, che sembra posticcio come il buco della galleria dei cartoni animati degli anni 60.

E’ comparso in città come altre novità post-sismiche dal nulla. Come altre opere parenti, è figlio dello strano concetto di provvisorietà a cui pian piano ci stiamo abituando. Non ero mai stato al mercato di Piazza d’Armi. Un’enorme spianata di cemento punteggiata di qualche palo della luce e popolata da un’unica costruzione, un gabbiotto in stile finto-removibile su cui una mano improvvida, nel tentativo inutile e nella fattispecie dannoso di elevare il registro lessicale, ha posto la scritta “blocco servizi”. Praticamente una gufata. Sarebbe bastato “Toilette” e magari, cedendo qualcosa in eleganza, si sarebbe evitato l’equivoco. Ma tant’è.

Per favorire la raggiungibilità della già non amenissima location, un appassionato di gimkane ha predisposto una pratica rampa di accesso che costringe, per uscire, a una manovra da esame per la patente E. Del resto, ci ricorderebbe qualcuno, non so se ve ne siete accorti ma c’è stato un terremoto, e non è che potevamo star dietro a tutti i dettagli. Vabbè.

Lunga e poco interessante la storia che ha portato alla realizzazione di questo obbrobrio edilizio. Diciamo che ce lo teniamo e non ci interessa. Quello che ci interessa sono le storie che ci si intrecciano, e come la nostra comunità in fluido riposizionamento se ne stia appropriando.

Nell’accecante sole mattutino di questo caldo sabato di ottobre ju Piazzo’ è gremito di automobili, e l’ingorgo all’ingresso, tra i nuovi arrivati che aspettano di entrare e la gente in partenza che disegna ardite traiettorie per portarsi su via Piccinini, sembra irresolubile. Mi stupisce piacevolmente pensare che la gente abbia accolto lo sforzo di questi commercianti, scacciati dalla loro sede naturale di Piazza Duomo e ondivaghi tra i non-luoghi del post sisma fino a doversi accontentare di questa situazione non proprio ottimale.

E’ bello vedere le persone accalcarsi nel parcheggio per girare tra le bancarelle. Stranamente, una volta addentratomi tra i banchetti, non trovo quella calca disordinata e aritmica che ricordavo in piazza. Non c’è il vecchietto che si inchioda davanti a te rischiando di essere travolto e che per contrattare venti centesimi di sconto ti tiene là cinque minuti; non ci sono le famiglie con carrozzine e nonne al seguito che incontrano famiglie speculari con le quali, apparentemente, non hanno avuto modo di vedersi da anni e che sentono la necessità di raccontarsi i dettagli degli ultimi quindici matrimoni proprio lì, tra due file di bancarelle, mentre tu bilanci i due cocomeri da dieci chili che porti uno per mano; non c’è il volo in pattuglia dei piccioni che azzardano planate ad altezza uomo per scagliarsi sul primo tozzo di pane caduto a terra.

Sembra vuoto ju Piazzo’, ma non lo è. C’è semplicemente più spazio. Lo sguardo può girare intorno e mai come da qui ho potuto notare quante gru ci sono in giro. E il suono si disperde intorno senza rimbombare tra i palazzi, per cui non si sentono le voci dei commercianti che annunciano i loro prezzi favolosi, forse hanno proprio rinunciato ad urlare in questa nuova casa. Sembra di stare in un’enorme palla di vetro, di quelle che giri e cade la neve. Tutto riprodotto come nella realtà, ma non reale. Di reale però resta la parte importante, le vite, le passioni e la forza d’animo di questa gente splendida che fa qualcosa di più di venderti un chilo di mele. Tiene vivo un modello di vita, una rete di legami che fanno comunità.

L’anziana signora ingioiellata che davanti a me soppesa un mandarino e si informa sul grado di asprezza e la densità dei semi fa il paio con i tre ragazzi stranieri che chiedono il prezzo dei fagioli nel loro volenteroso italiano di prima generazione. E a disegnare il mandala comunitario che racchiude queste due, e mille altre, realtà, la fruttivendola si spende con uguale attenzione a pari piacevolezza nelle due situazioni. Attraverso le parole che scambia con la vecchia e i nuovi aquilani questa donna sorridente riscrive in un attimo i confini dell’Aquila di domani, che avrà figli nuovi insieme agli antichi.

Affascinato dalla scena, la spoetizzo in un attimo acquistando una treccia di piccole cipolle. Il marito della fruttivendola si avvicina e, con aria complice, mi sussurra in un orecchio la sua ricetta speciale per quelle cipolle che, ovviamente, non vi dico perché so mantenere un segreto. Me ne vado con in mano il mio sacchetto col pollo arrosto, comprato da Gianni come tanti anni fa, e mi guardo intorno. Il piccolo mondo della piazza, anche sotto la sua palla di vetro, tira avanti e ce la mette tutta. Le facce sono le stesse, e qualcuna si aggiunge. Qualcuna mi somiglia, qualcuna ha gli occhi a mandorla. Tutti sono miei concittadini. Queste cose non le vedi in un centro commerciale. Sabato ci torno.

P.s.: onore al merito dell’osservatrice attentissima che mi ha scoperto per un dettaglio minimo. Chapeau!

Ultima modifica il Lunedì, 28 Ottobre 2013 09:48

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