L'appuntamento domenicale con il viaggio semiserio di Ford Prefect è giunto alla tredicesima puntata. E dopo averci girato intorno, dopo averli solo sfiorati, oggi ci porta al centro commerciale.
E' sera, sto tornando a casa dal lavoro. Si è fatto un po' tardi e ancora non ho pensato alla cena, devo fermarmi a fare un po' di spesa. E devo ricordarmi di comprare una scheda SD, dato che per l'ennesima volta ne ho persa una. Ah, e se non vado a comprare qualche paio di calze nuove lunedì a lavoro ci vado coi sandali, che con la neve non è indicatissimo. Certo, sono le sette e con tutti questi giri da fare non credo di fare in tempo.
A meno che...
Oddio, no! Ma se non faccio così non ce la faccio a fare tutto. E vabbè, non c'è alternativa. Mi rassegno, metto la freccia e cambio strada.
Oggi nessuno mi salva dal Centro Commerciale.
Ci abbiamo girato intorno. Li abbiamo visti, per dodici puntate, all'orizzonte delle nostre scorribande urbane e suburbane. Ne abbiamo lambito i margini, li abbiamo citati a sproposito, abbiamo susseguiosamente marcato una nobiliare distanza tra le nostre abitudini di cittadini post-sismici consapevoli e quelle della massa che ne affolla le gallerie.
Ma c'è poco da atteggiarsi a superiori nel cratere. Se ti serve la spesa, una SD e un paio di calze e non vuoi fare settanta chilometri, non ti salvi da un centro commerciale all'Aquila nel 2013. Quindi passo svelto, sguardo distratto, atteggiamento distaccato da animale consumista concentrato sulle sue necessità e via oltre i confini vetrati e scorrevoli di questo mondo a parte, questa bolla di climatizzazione e filodiffusione pronta a esaudire tutti i nostri occidentalissimi bisogni. Non voglio nè sponsorizzare nè accanirmi contro qualcuno in particolare. Non voglio nemici più di quanti già non ne abbia, nè passare per un pubblicitario occulto visto che nessuno si è ancora preso la briga di tentare di corrompermi (fatevi sotto, ragazzi!), e soprattutto ho a cuore le sorti della redazione di NewsTown, la cui copertura legale è talmente debole che una querela per diffamazione a mezzo stampa potrebbe sfociare tranquillamente in un ergastolo.
Perciò non parlerò di uno specifico centro commerciale aquilano, e ci dovremo accontentare di visitarne la quintessenza, un'Idea platonica iperuranea, il Centro Commerciale con le C maiuscole.
Il Centro Commerciale deve avere innanzitutto una o più rotatorie nelle vicinanze. Tutto ciò che facilita, che lascia scorrere, che semplifica la vita del cittadino terremotato ha un suo spazio nel Centro Commerciale. E la rotatoria, si sa, fa scorrere il traffico. O almeno lo farebbe se, dopo quattro anni di giri in tondo, avessimo tutti imparato che in rotatoria la freccia serve solo per uscire, e non per comunicare al prossimo l'intenzione di arrivare alla terza uscita che sta a sinistra; che la rotatoria non è la variante Ascari di Monza, quindi è inutile oltre che pericoloso tagliarla andando con due ruote sulle aiule centrali; e poi che in rotatoria chi entra deve dare la precedenza, quindi lanciarcisi dentro a settanta all'ora ad occhi chiusi gridando banzai è eroismo fuori luogo indubbiamente degno di miglior causa. Si riscontrano tristi casi di centri commerciali (con le c minuscole) non provvisti di rotatorie, in nome dei quali noi tutti eleviamo una prece all'assessore competente affinchè colmi questa odiosa lacuna nel nome delle pari opportunità del libero mercato.
Il Centro Commerciale è poi dotato di comodo parcheggio. La spianata d'asfalto, ipoteticamente in grado di ospitare tot centinaia di automobili ordinatamente disposte, ha una capienza effettiva ridotta di un fattore proporzionale al menefreghismo, alla maleducazione e, semplificando il concetto, all'ottusa idiozia di molti concittadini il cui tempo è troppo prezioso per prevedere il concetto di "manovra di parcheggio". Il mio sogno proibito è di aggirarmi per questi posti forando gomme impropriamente posate sulle linee gialle o rigando portiere di SUV parcheggiati di traverso su tre posti contigui.
Il diaframma che separa il Centro Commerciale dalle asperità del mondo esterno è la Porta Scorrevole. La doppia lama di impalpabile nulla si spalanca al nostro approssimarci e ci butta in faccia l'aria dell'ambiente interno, un trionfo di termoregolazione che stride, soprattutto in queste giornate sottozero, con le disagevoli condizioni esterne. E che invoglia all'ingresso e all'abbandono di sè.
Tutto è in pianura, nel Centro Commerciale. E se c'è un fattore di discontinuità con L'Aquila del centro, dove un pomeriggio di compere poteva contemplare duemila metri di dislivello complessivo, è proprio questo. E questo aggirarsi in piano semplifica, invoglia, ci fa indugiare in un non-luogo che è identico ovunque, all'Aquila come a Roma o Milano o Miami, e che sembra dirci che tutto è normale anche qui. Però il Centro Commerciale non è a Miami, ma nel mezzo di un cratere sismico, e si vede eccome. Perchè ogni due o tre negozi di telefonia, bigiotteria e abbigliamento trovi quello che ti propone il noleggio gru, trovi l'espositore di prefabbricati o di casette di legno e anche le pubblicità delle banche ti parlano di ristrutturazioni e ricostruzione.
Le crepe sono arrivate pure qui. Noi orgogliosi frequentatori del Centro e degli spazi "altri", noi fieri della nostra non omologazione e delle nostre scelte consapevoli, noi che facciamo la spesa al mercato e andiamo al cinema quando ci sono le serate d'essai proviamo un certo pruriginoso fastidio ad ammettere che ci andiamo eccome, al Centro Commerciale. Però lo facciamo di nascosto, alle nove di sabato mattina o a sera tardi prima della chiusura. E massimo è il disagio, come quando due occhi si spiano attraverso la stessa serratura, quando ci incontriamo tra di noi ("Ciao anche tu qui?" "Sì, avevo capito che c'era un reading di poesia al negozio di scarpe, ma devo essermi sbagliato" "A chi lo dici, io sapevo di una conferenza sulle staminali alla parafarmacia ma pare non fosse vero. Vabbe ciao, ci vediamo al cineforum su Ken Loach"). Ma dalle nostre buste spuntano i sottocosto del negozio di elettrodomestici e il tre per due del pecorino romano DOP. Imbarazzantissimo.
E poi a ben guardare, dietro queste vetrine scintillanti, tra i banconi di questi negozi quasi tutti rigorosamente in franchising, dove il rapporto cliente-proprietario non ha bisogno di essere costruito perchè qualche esperto di marketing e di comunicazione lo ha già progettato in una sala riunioni a millemila chilometri da qui, trovi le facce di sempre miste alle nuove, trovi la gente che prima animava i negozi del centro insieme ai giovani che ci stanno provando adesso, in questi anni di crisi al cubo in cui tutti, anche loro e anche qui, si meritano una chance. Mentre guardo il sorriso del ragazzetto alla cassa penso che questo è un posto per comprare come un altro, basta che la pigrizia dei miei concittadini non lo trasformi in un surrogato plasticoso dei luoghi d'incontro della nostra città. Pago un po' più contento la mia SD, carico la spesa in macchina, dribblo nel parcheggio due stormi di giovani allievi finanzieri e la loro eleganza fotocopiata e mi incolonno nel serpentone di auto che fluisce a dieci all'ora verso la città.
Ho dimenticato le calze.
Lunedì sandali.
P.s.: auguro la miglior fortuna a ogni attività commerciale aquilana, dentro o fuori i centri commerciali. Quindi il fatto che questa puntata sia la numero tredici e che io l'abbia scritta insolitamente di venerdì è circostanza assolutamente casuale.