Come molti di quelli che seguono il sito dell’INGV avranno notato, "la maggior parte delle scosse più o meno forti che interessano la catena appenninica, comprese quelle legate alle crisi sismiche dal 2009 ad oggi, sono localizzate a profondità non superiori ad una decina di km. In effetti, la maggior parte delle faglie appenniniche, dal sistema del Gran Sasso a quello della valle dell'Aterno ed al monte Vettore, si esauriscono su di una struttura di scollamento più o meno a quella di profondità".
A spiegarlo a newstown è il geologo Antonio Moretti, esperto di eventi sismici, all'indomani della scossa di magnitudo 3.9 ad una profondità di 20 km che, la notte tra venerdì e sabato, ha scosso L'Aquila.
Professor Moretti, qual è la ragione geologica per cui la maggior parte delle scosse è localizzata a non più di 10 km? "Lungo l’asse della catena appenninica la parte superiore della crosta è formata prevalentemente da rocce sedimentarie, prevalentemente calcaree (in azzuro nella sezione), ora accavallate le une sulle altre, le quali in origine formavano delle grandi piattaforme carbonatiche che prosperavano nell’antico mare tropicale che separava Africa ed Europa. Al di sotto, in crosta profonda, le rocce del basamento hanno caratteristiche diverse, non più sedimentarie e calcaree ma cristalline e metamorfiche, prevalentemente silicatiche, ed altrettanto diverse sono le caratteristiche dei piani di faglia e degli sforzi che ne determinano il movimento. Nella parte superiore, quella che meglio conosciamo, i movimenti sono prevalentemente verticali e le faglie tendono a formare le depressioni vallive per riportare in equilibrio il sollevamento della catena".
E nella parte inferiore, invece? Qui gli sforzi sono prevalentemente orizzontali e, sotto la spinta del mare Tirreno che si sta allargando, tendono a fare scorrere la catena appenninica sopra la crosta adriatica e verso le coste dalmate. Nella mappa che segue, ottenuta sempre dal sito INGV selezionando i fuochi dei terremoti localizzati nel basamento ed avvenuti negli ultimi 12 mesi, possiamo vedere che questi delineano abbastanza chiaramente l’arco appenninico esterno, cioè la zona di raddoppio tra la crosta padano-adriatica e quella tirrenica-appenninica che avanza verso N-NE. La scossa di stanotte, così come quella del teramano del 14 scorso e probabilmente quelle del Gran Sasso dello scorso settembre-ottobre, è da inquadrarsi in questo ultimo contesto geologico".
Esistono rapporti diretti tra il rilascio di stress nelle porzioni più profonde della crosta e le faglie superficiali? Non è ancora ben chiaro, od almeno se esistono non ne sono a conoscenza. Certo entrambe fanno parte dello stesso complesso meccanismo che porta alla progressiva crescita delle montagne dell'Appennino. In maniera un poco schematica, ma non credo molto lontano dal vero, potremmo immaginare che questi eventi, così come la scossa di stanotte e le molte che negli anni futuri certamente la seguiranno, costituiscano altrettanti passettini in avanti della catena appenninica verso e sopra la padania e l’Adriatico. Passettino passettino, la montagna si accrescerà ulteriormente ed andrà a ricaricare le grandi faglie superficiali come quella del Gran Sasso le quali, quando l'energia accumulata sarà sufficiente, ricominceranno il loro ciclo simico. Ma questo, almeno nelle nostre zone, riguarderà i nostri nipoti".