La domenica è Praticamente Innocua. Giunto al suo quattordicesimo appuntamento, il viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma ci aiuta oggi a scoprire una parte del centro sconosciuta ai giovanissimi: i portici. Continuano a chiederci, ormai più volte al giorno, chi è davvero Ford Prefect. Noi, naturalmente, non ve lo diremo mai. Buona strusciata.
Ieri, 7 Dicembre 2013, il servizio di messaggistica WhatsApp è andato giù. Tregenda e disperazione tra i teenager mondiali, tagliati fuori dal giro dei loro soliti contatti. Tra loro, la piccola di casa, preoccupata di tenere in piedi con mezzi alternativi il suo network di amicizie, che si estende tra Trento, Sulmona, Pineto e, accidentalmente, L'Aquila. Un network che in situazioni ordinarie interagisce con continuità, svariate volte al minuto quasi ventiquattr'ore al giorno.
Ieri mi sono sentito vecchio come non mai, perchè mi sono reso conto che trent'anni fa il mio network innanzitutto non si chiamava network ma giro e poi a malapena raggiungeva Arischia. Si basava su una modalità di socializzazione completamente diversa, fatta di lunghe separazioni (per circa ventitrè ore al giorno tutto era silente, eccezion fatta per sporadiche telefonate di accordo preventivo) e brevissime ma intense interazioni personali (l'intensissima ora di incontro). La sua sopravvivenza richiedeva, ovviamente, la definizione di un luogo fisico di concentramento, dove con perseveranza e abnegazione, e sfidando a volte difficoltà altrimenti insormontabili quali la neve o la tabella oraria degli autobus (già al tempo poco più di una dichiarazione di intenti i cui orari previsti potevano differire anche di ore da quelli effettivi) la gioventù del futuro cratere potesse convergere e celebrare il rituale della socialità.
Per la gran parte dei miei coetanei e anche di gente con qualche anno di più o di meno, quel luogo erano i Portici. Si andava “sotto i portici” per incontrarsi, e non c'era bisogno di appuntamenti o orari precisi, perchè la lunga pratica ci aveva abituato alla decodifica delle abitudini degli altri. Per esempio era noto che Federico arrivava puntuale alle sette e schiodava alle otto meno tre perchè in centoottanta secondi era in grado di teletrasportarsi dalla sua colonna alla sedia a tavola per cominciare, puntualissimo, la cena di famiglia.
“Sotto i portici” era un'espressione a dir poco fuorviante, perchè era noto che “sotto” non si doveva passare mai. “Sotto” ci passavano i vecchi (quelli sopra i trentacinque anni) che guardavano le vetrine, ma noialtri no, noi si doveva solcare in formazione precisa il corso, con sprezzo delle intemperie e guadagnandosi, quanto più possibile, il centro della carreggiata, salvo deviare come un sol uomo verso la colonna oggetto della spedizione, dove sostava la ragazza target di uno di noi. Come tanti Cirani coi brufoli e decisamente meno padroni della lingua compivamo il nostro dovere di accompagno, poi ripiegavamo alla base commentando il risultato, spesso non lusinghiero.
I Portici erano un intricato e complesso domino di aree di frequentazione dove l'appartenenza era un concetto forte e le dinamiche di gruppo risentivano di aspetti sociali, scolastici, sportivi, residenziali e di decine di altri fattori. I gruppi si fiutavano e si riconoscevano, e occupavano fisicamente locazioni precise che fungevano da base operativa. Il ventaglio delle situazioni createsi era vastissimo e svariava dal “vicolo della Champions”, ritrovo di griffatissimi rampolli della media e alta borghesia, tutti dello Scientifico con qualche innesto dal Classico (ma sempre gente che a greco aveva massimo cinque), quasi tutti rugbysti o rugbofili, che arrivavano in motorino con le Timberland e saccheggiavano gli hotdog del Tambo quando le ragazze del gruppo non li vedevano, alla colonna dei “Cagnano Boys”, che se ne andavano con un imprecisato ultimo autobus quando gli altri ancora non erano arrivati, uniti dalla provenienza periferica e dall'indefessa fede interista, noti per l'attitudine a tappezzare i muri dei portici col simbolo del sol levante e simpatiche scritte tipo “le radici profonde non gelano”.
Io, per esempio, andavo al Credito, dove ti potevi presentare con la polo di Ralph Lauren ma pure con la tuta senza passare per un paria, e dove c'era una certa trasversalità di composizione sociale e scolastica. Tra le pecche principali, una imbarazzante predominanza numerica del sesso maschile, che nell'età dell'esplosione ormonale costituiva un problema non da poco, e una tragica dedizione al fantacalcio, che rendeva l'uscita del lunedì sera un incubo di infinite sterili discussioni sui moduli di Zeman e sulla deontologia professionale di quei venduti dei giornalisti della Gazzetta.
Intorno a questa fiumana a due corsie di giovani sciamanti contornati da due ali di altri giovani in presidio della colonna di riferimento si snodava poi una costellazione di luoghi variamente connessi coi portici stessi. Dal già citato Tambo, tempio dell'hot dog che un giorno sparì lasciandoci orfani e disperati, alla sala giochi del Capo, a piazzetta del Sole, luogo vietatissimo dove ovviamente stazzavamo gran parte del tempo dando vita ad estenuanti tornei di biliardino. C'era, ai quattro Cantoni, il manifesto della stagione di musica classica usato come messaggeria collettiva, nel senso che gli appuntamenti tra membri del gruppo che non si erano beccati in giro venivano scritti e letti e, incredibilmente, la cosa funzionava. Ora che su Google calendar ci tengo pure il compleanno di mia madre non ci riesco a credere neanche io, ma bastava scrivere “Per Mauro, alle otto e mezza a calcetto” e Mauro alle otto e mezza arrivava.
E' vero, era un mondo piccolo, scorcio a volte impietoso della mentalità mignon che parte di questa città si porta dietro. Ma era anche una fase d'incontro importante, la prima occasione in cui ti potevi, e dovevi, confrontare con tanti altri come te, e condividevi cose, e creavi gruppi. Una zona franca tra il provincialismo e la socializzazione, uno strumento di vita da cui ognuno di noi ha preso il meglio che ha potuto.
Ora che i portici sono transennati e le colonne non si possono toccare nemmeno, ora che qualcuno ci cammina pure, ma nessuno si ferma alla Champions o alle colonne del Rex, mi chiedo se quel mondo è perso per sempre o no. Se c'entra o no il terremoto. Forse socializzare in questa maniera oggi non è più possibile, e comunque sia anche quando questo posto riaprirà davvero alla vita i ragazzi si “incontreranno” altrove, sui social o chissà in quale altro modo che deve essere ancora inventato.
Non lo so.
Ma intanto il Bancomat del Credito non c'è più.
WhatsApp invece oggi funziona di nuovo.