Soumayla Sacko, migrante maliano di 29 anni, è morto il 2 giugno scorso, ucciso a colpi di fucile da sconosciuti che hanno sparato da una sessantina di metri di distanza. Un tiro al bersaglio contro lo "straniero", contro il nero cattivo da rispedire a casa sua.
Soumayla Sacko è stato colpito alla testa, di sera, intorno alle 20:30, nei pressi di una fabbrica abbandonata lungo la Statale 18 in contrada Calimera di San Calogero, vicino Rosarno, al confine tra le provincia di Vibo Valentia e quella di Reggio Calabria. Cercava lamiere per la sua baracca.
Era un bracciante, Soumayla, in prima fila nelle lotte dell'Unione Sindacale di Base per i diritti sindacali e sociali di chi, come lui, lavora in stato di schiavitù nel nostro paese. E non si pensi sia un problema soltanto del meridione: la piaga del caporalato e dei lavoratori ridotti in schiavitù colpisce anche il nord, anche le province più industrializzate. Dalla Lombardia al Piemonte, dalla Toscana all’Emilia Romagna. Contadini braccianti, stranieri ma anche italiani, sfruttati nella raccolta di mele, pesche, albicocche e olive. Sottopagati, con la schiena ricurva per ore, al caldo e sotto il sole. Senza dignità e nessun tipo di tutela. Succede nel Cuneese, nel Bresciano, nel Chianti e nel Mantovano.
"Fra gli stranieri il problema è più acuto – spiega Manuela De Marco, di Caritas italiana – perché vivono in condizioni abitative al limite della dignità". Al Sud, in Puglia, i volontari del progetto 'Presidio', che gira intercettando i lavoratori sfruttati nei campi e nelle serre, hanno trovato braccianti stranieri che vivevano nei piloni dell’elettricità. Purtroppo, però, il problema è che spesso queste persone preferiscono non denunciare. Hanno paura delle ritorsioni. Hanno paura di perdere quei pochi soldi che danno loro l’unico modo per guadagnarsi da vivere.
Soumayla, invece, era in prima fila per rivendicare i suoi diritti. Aveva 29 anni, una bambina piccola di 5: è morto di sera, a fucilate, lontano da casa. Soccorso dal 118 e trasportato prima all’ospedale di Polistena e poi nel reparto di neurochirurgia dell'ospedale di Reggio Calabria, non ce l’ha fatta: è andata meglio a due connazionali che erano con lui, uno colpito ad una gamba, l’altro per fortuna illeso. Vivevano nell'area della tendopoli di San Ferdinando in cui soggiornano i braccianti impegnati nei campi della piana di Gioia Tauro.
Nella zona sono oltre 4000 i migranti che, distribuiti in vari insediamenti, vengono utilizzati come manodopera nella raccolta degli agrumi dai produttori di arance, clementine e kiwi. La maggior parte si concentra a San Ferdinando dove permangono gravi carenze igienico sanitarie a livello abitativo.
Oggi, i nuovi schiavi del XXI secolo, a Gioia Tauro, hanno scioperato. "Tocca ad uno, tocca a tutti", hanno gridato.
"Vogliamo dedicare a Soumayla questa giornata che, per noi, è di sciopero; stamattina, i lavoratori delle campagne del foggiano non hanno lavorato, oltre 2mila persone hanno incrociato le braccia: questo è il messaggio che vogliamo lanciare" ha detto Abdou, rappresentante dell'Unione sindacale di base. "Soumayla era un cittadino, un bracciante, un lavoratore: aveva una figlia di 5 anni, la sua compagna è in Mali, siamo in contatto con la famiglia. Soumayla da oramai due anni era impegnato nella lotta: una lotta rispetto ad una condizione di lavoro d'assoluta schiavitù, di sfruttamento, di ghettizzazione abitativa. Soumayla, insieme a tanti altri, lavorava per meno di 3 euro a giorno: questo era Soumayla, non l'extracomunitario, non il migrante, la persona, l'uomo, il lavoratore, il bracciante, il sindacalista Usb. Questo era Soumayla".
Soumayla è stato assassinato - ha scandito Abdou - "e noi chiediamo verità, chiediamo giustizia e rimandiamo al mittente conclusioni affrettati ed infami. Soumayla non era un ladro: era andato a cercare un po' lamiere perché si lavora ma non si ha un tetto sotto cui dormire. E' normale che vivesse in queste condizioni? No. Lo vogliamo ribadire. L'Unione Europea ha stanziato oltre 161 miliardi di euro per l'agricoltura, soldi che dovevano garantire anche una condizione lavorativa e abitativa dignitosa per tutti i braccianti, indipendentemente dal colore della pelle".
Il sindacato ha messo a disposizione della famiglia di Soumayla sostegno legale e una cassa "di solidarietà e resistenza" per sostenere le spese e "le lotte sindacali che stiamo portando avanti in questa piana".
Soumayla è stato assassinato in un preciso contesto politico, l'affondo dei sindacalisti dell'Usb. "Un ministro della Repubblica italiana (Matteo Salvini, ndr) ha dichiarato in questi giorni che è finita la pacchia: noi, non siamo stati mai nella condizione di parassiti come il suo partito politico; per anni, ci sono state indagini non sui braccianti ma su un partito che prendeva contributi e li spediva, guarda caso, in Africa. Vogliamo dire al ministro degli Interni che la pacchia per noi non è mai esistita: non è finita per noi, è finita per lui. Noi risponderemo. Qui, ci sono lavoratori della logistica, dei servizi, della grande distribuzione organizzata, ci sono lavoratori italiani e stranieri, ci sono famiglie, giovani, studenti, senza presente e senza futuro. Non ci faremo intimidire. E' stato firmato un contratto di governo che richiama gli anni bui della apartheid in Sud Africa, un contratto di società che ha una deriva di discriminazione e non eslcudiamo anche razziale. I bambini che vanno nei nidi, per esempio, non hanno gli stessi diritti: gli italiani possono accedervi, gli altri non possono. Quando si tratta di versare i contributi, non c'è alcuna discriminazione: quando si tratta di accedere ai diritti, però, le cose cambiano. Non siamo stupidi".
Parole durissime, che dovrebbero far riflettere, e che rendono ancora più rumoroso il silenzio degli esponenti del governo appena insediato: il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il vice ministro con delega al lavoro Luigi Di Maio, il vice ministro con delega agli Interni Matteo Salvini non hanno detto neanche una parola sulla barbara uccisione di Soumayla, un ragazzo di 29 anni, un migrante regolare, un papà che lavorava nei campi, morto alle 20:30 di una serata d'estate a colpi di fucile.