Domenica, 12 Gennaio 2014 14:46

Praticamente innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma / 18: Sant'Agnese

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Diciottesimo appuntamento con il viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma di Ford Prefect. Oggi il nostro ci parlerà, però, di una tradizione risalente a ben prima del terremoto che scosse la città nel 2009: Sant'Agnese. Buona lettura. [leggi qui tutte le puntate di Praticamente Innocua]

 

Questa è una piccola città. Piccola abbastanza da poter essere letta come un unico, per quanto esteso, intreccio di amicizie, parentele e vicinanze che assegnano ad ogni singolo una posizione precisa in una specie di allargata scala degli elementi chimici. In una città così nessuno è nuovo, nemmeno se è arrivato ieri, perchè alla prima presa di contatto con una qualsiasi realtà gli viene assegnata tacitamente una nicchia di appartenenza. Questa è presumibilmente una condizione comune alle città di provincia, ma forse perchè, vivendoci, la osservo da così vicino qui questo fenomeno mi pare amplificato a dismisura.

Ho sempre pensato che sia un falso mito quello della non accoglienza aquilana. Viceversa ritengo che dietro un primo impatto quasi sempre difficoltoso questa sia una città che è perfettamente in grado di aprire le sue porte. Il problema, semmai, è che poi te le chiude dietro, tentando di costringerti in una posizione strettamente legata ad un gruppo di appartenenza, un partito, un'associazione, un circolo, una parrocchia.

Questa disquisizione pseudo-dotta da sindrome post-sbornia (ieri sera Le Petit Clos aveva degli zuccherini alcolici metafisici) voleva solo servire a sottolineare che L'Aquila è composta da una fitta rete di circoli e conventicole, interconnesse per affinità o contrasto in maniera così densa che un battito di ciglia in una sala biliardo di periferia può ripercuotersi in una delibera di Giunta o in un'omelia del Vescovo.

Non credo che sia un mistero per chi legge questa rubrica che io non mi colloco tra le fila dei denigratori professionisti di questa città, quello stuolo di lamentatori accaventiquattro che spendono il novanta per cento delle proprie energie a stigmatizzare i limiti di questo angolo di provincia e lo zero per cento a fare qualcosa per migliorarlo. Del resto trovo ancor più detestabile la religione dell "Aquila bella mè", il culto acritico di una presunta grazia iperuranea di questa splendida seconda Gerusalemme, Eden nascosto ed incompreso dai più, algidamente arroccato nel suo confino maestoso a contemplare aristocraticamente i mali del mondo esterno. Io amo questo posto vedendone i limiti, e lo amo soprattutto cercando nel mio piccolo di migliorarlo ogni giorno col poco che posso portare a contributo.

E' proprio questo mio amore che mi porta a detestare la grettezza di questo gioco di scatole cinesi sociali che impastoiano la nostra comunità in questa maglia di parrocchiette e cerchi segreti che ha nella tradizione di Sant'Agnese la sua perfetta metafora.

Prima di continuare, chiariamoci: c'è Sant'Agnese e c'è il santagnesismo. La prima è una consuetudine che non ho mai praticato ma che, ammetto, può risultare addirittura simpatica o perlomeno innocua nella sua odierna accezione; il secondo è una sorta di trasposizione su vasta scala degli aspetti deteriori della prima, ed informa di sé la quotidianità di questo posto.

La tradizione di Sant'Agnese è fin troppo nota agli aquilani, ma spendiamo qualche parola per gli innumerevoli lettori che NewsTown raccoglie ai quattro angoli del globo. Una volta l'anno, il 21 di gennaio, dei circoli di amici, le cosiddette "congreghe", si riuniscono a cena per scambiarsi i pettegolezzi di un'intera annata. Vorrebbe una etiquette largamente disattesa che le chiacchiere in questione riguardassero solo i presenti, e fossero tese a “dire il male” e non “dire male”; una sorta di stigmatizzazione collettiva del malaffare, una specie di autocontrollo del gruppo. Una dinamica tribale sulla quale non mi sembra il caso di soffermarmi troppo, dato che è evidente la deriva bempensantista dietro l'angolo, e soprattutto perchè l'originale senso è stato completamente perso ai giorni nostri, risolvendosi il tutto in pantagrueliche libagioni accompagnate da chiacchiere malevole e di basso profilo culminanti nell'elezione delle cariche sociali per l'anno in corso, dal Presidente al Segretario alla Mamma dei cazzi degl'altri alla lavannara a tutto un pantheon di figure più o meno pittoresche nella cui definizione la creatività popolare ha dato il meglio di sé.

Poi, nelle settimane successive, i faccioni rubizzi e sorridenti dei premiati si affacciano dalle colorate pagine interne dei giornali locali o delle homepage dei siti web (ma non di NewsTown, almeno così dicono in redazione...vedremo) mostrando fieri le loro pergamente ed incrementando il magro fatturato dell'editoria locale.
Questa tradizione popolare ha subito negli scorsi anni un tentativo di istituzionalizzazione per lo meno inquietante a partire dal titolo, "Pianeta maldicenza", che attraverso il ricorso a degnissimi testimonial di caratura nazionale ("Bruno Vespa intervista Francesco Cossiga" dell'edizione 2004 credo spieghi tutto più di mille parole) mirava a proporre questo inquietante format autoctono come elemento di richiamo turistico.

Figlio di questa tradizione, il santagnesismo ne è l'involuzione degradata. Non più momento celebrativo e a modo suo catartico, diventa inclinazione alla calunnia, all'infamia tradotta di bocca in bocca, diventa mezzo di controllo e di censura arbitraria.

Non più “dire il male”, ma “dire male”.

Diventa la rete di segreti e bugie che tutto tenta di avvolgere in città, col paradossale effetto collaterale di rendere tutto accettabile, perchè se qualcosa è falso allora tutto potenzialmente lo è, e quindi non ha più senso fare distinzioni, ma piuttosto è preferibile stringersi alla propria parrocchia e difenderla senza se e senza ma, il difendibile con l'indifendibile, o dall'altra parte della barricata attaccare tutto senza condizioni e senza distinguo, perchè è più semplice così.

Chissà se veramente cominciassimo, in città, a “dire il male”, a purgare parrocchie e parrocchiette da ciò che non va facendo saltare gli schemi che ci tengono, a volte, distanti da persone a noi più affini di quanto entrambi crediamo.

Forse sarebbe un nuovo inizio.

O forse, ieri sera, erano proprio troppi zuccherini.

 

P.s.: il termine “santagnesismo” l'ho letto per la prima volta qualche anno fa da Antonello Ciccozzi. Non so se è un suo neologismo, credo di sì, ma comunque rende benissimo, con un'icasticità estrema, la forma mentis imperante nella parte deteriore della nostra comunità.
Chapeau, Professo'

Ultima modifica il Domenica, 12 Gennaio 2014 16:09

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