L'Aquila, la notte della memoria: dopo due anni, la fiaccolata in ricordo delle 309 vittime del terremoto del 6 aprile 2009 è tornata ad illuminare la città.
Il corteo si è mosso dall’area antistante il tribunale, in via XX Settembre. Dopo la sosta commossa davanti all'ex Casa dello Studente, le fiaccole hanno invaso il Parco della Memoria, in piazzale Paoli, dove sono stati letti i nomi delle vittime ed è stato acceso da due degli atleti della Nazionale ciclisti Ucraina, ospite in città a seguito dello scoppio della guerra, il “braciere della memoria”.
"Da L’Aquila deve partire oggi un messaggio forte: la memoria deve essere viva affinché tutte le tragedie che costellano questa Paese bellissimo ma fragile, non debbano più ripetersi", le parole di Vincenzo Vittorini. "Questa sera qui ci sono in presenza e idealmente tutti i rappresentanti delle tragedie italiane, da San Giuliano di Puglia al Ponte Morandi di Genova, da Viareggio al Vajont. Ebbene, bisogna arrivare prima, occorre finalmente imporre, affermare, una cultura della prevenzione. Questo dobbiamo gridare forte qui a L’Aquila. E il ricordo quest’anno va anche alla cara Antonietta Centofanti, che non è più tra noi, che in tutti questi anni si è battuta con noi, e continuerà a farlo, attraverso noi"
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Alle 24, poi, nella chiesa di Santa Maria del Suffragio, in Piazza Duomo, è stata celebrata una Santa Messa in Suffragio delle Vittime del sisma, officiata dall’Arcivescovo Metropolita della Città dell’Aquila e presidente della Ceam (Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana), Cardinale Giuseppe Petrocchi, cui è seguita una veglia di preghiera a cura dell’Arcidiocesi.
In Piazza Duomo è stato azionato, per il terzo anno consecutivo, il dispositivo che emette un fascio di luce verso il cielo.
Alle 3:32, i 309 rintocchi, uno per ognuna delle vittime.
"Da quella notte di tredici anni fa ci sentiamo parte di qualcosa di più grande, nel ricordo di una tragedia che ci ha privati di troppe vite, ma che ci ha consegnato la responsabilità dei loro sogni. E questa sera, dopo due anni, ci siamo ritrovati insieme, con le fiaccole tra le mani, di nuovo stretti in un abbraccio corale che si fa custode di una sofferenza che è parte della nostra vita, della nostra storia, della nostra identità", l'intervento del sindaco dell'Aquila Pierluigi Biondi.
"La sensazione più terribile per l’umanità è quella di aver perso la speranza. E questa sensazione la conosciamo bene noi aquilani, per averla provata nelle ore immediatamente successive al terremoto. Quei secondi interminabili di paura e di disperazione, quel boato che squarciava il buio della notte, le grida, i richiami che si rincorrevano, i brandelli di stucchi e architravi, i cornicioni sulle macerie, la polvere che saturava l’aria … L’Aquila, alla luce dell’alba, appariva come un sudario di lutto e dolore. Pensiamo ora a quei secondi che - non per la natura che scuote la terra, ma per la volontà di alcuni uomini - si ripetono e ancora si ripetono, giorno dopo giorno, nel cuore dell’Europa, teatro di una ingiustificabile guerra di aggressione. Pensiamo a Bucha, cittadina alle porte di Kiev, terra violata e oltraggiata, dove sono stati perpetrati veri e propri crimini di guerra. E, poi, pensiamo al nostro braciere, che è stato acceso nel Parco della Memoria da uno degli atleti della nazionale di ciclismo dell’Ucraina. È stata una sorta di passaggio del testimone, per dire che il loro dolore è il nostro e che li esortiamo a tenere viva la speranza, nonostante l’orrore della guerra, la disperazione e la comunità dispersa che, ne siamo convinti, si ritroverà più unita e forte di prima, nel nome di quel coraggio messo in campo a difesa della propria libertà, fonte e ispirazione di ogni democrazia".
La fotogallery
6 aprile, lutto cittadino
Il 6 aprile è stato proclamato il lutto cittadino per l’intera giornata con l’esposizione a mezz’asta e listate a lutto delle bandiere esposte sugli edifici pubblici presenti sul territorio comunale. È fatto divieto di attività ludiche e ricreative e di ogni altro comportamento che contrasti con il carattere luttuoso della ricorrenza o con il decoro urbano. Tutti i cittadini e le organizzazioni sociali, culturali e produttive, nonché le Pubbliche Amministrazioni sono state invitate a prendere parte, pur nel rispetto della normativa vigente anti Covid-19, alle iniziative promosse in commemorazione del sisma, nonché ad esprimere in forme autonome la partecipazione al ricordo delle vittime, anche illuminando, nella notte fra il 5 e il 6 aprile, i balconi o le finestre degli edifici.
A tal proposito il Comune dell’Aquila e il Comitato Familiari delle Vittime hanno lanciato un appello ad Anci nazionale e ad Anci Abruzzo affinché i sindaci e gli Italiani, nella notte tra il 5 e il 6 aprile, accendano nei loro Comuni e alle loro finestre, una luce di speranza, una candela o il cellulare, partecipando così idealmente all’anniversario e ricordando anche le vittime del Covid e di tutte le guerre.
Gli esercizi commerciali, le imprese, le attività artigianali e le altre organizzazioni pubbliche e private, con esclusione dei servizi indispensabili ed obbligatori, sono invitate a sospendere l’attività lavorativa la mattina del 6 aprile 2022 fino alle ore 11:00.
Il 6 aprile alle 10:30 è previsto un momento di raccoglimento davanti la Casa dello Studente e, a partire dalle 11, si svolgerà al Parco della Memoria l’iniziativa “Open mic” promossa dal Comitato dei Familiari: un momento di riflessione aperto a tutti i cittadini che potranno intervenire con un loro pensiero. Al termine sarà piantumato un albero come simbolo di vita e di speranza.
Le interviste
“Questa commemorazione cade in una fase molto difficile, pensiamo la guerra in Ucraina, esplosa dentro una emergenza pandemica già difficilissima”.
Così il presidente del Consiglio regionale, Lorenzo Sospiri, nel corso della fiaccolata per il 13esimo anniversario del terremoto dell’Aquila.
“Oggi siamo qui per una celebrazione in memoria delle vittime del sisma e anche per non far spegnere neanche per un minuto, come non è del resto avvenuto in questi 13 anni, l’attenzione su tutte le fasi di ricostruzione economica, materiale e anche civile dell’area colpita dal sisma del 2009 e della città dell’Aquila”.
“Tredici anni fa la vita di decine di migliaia di persone, in pochi secondi, cambiò radicalmente a causa del terribile terremoto che colpì L’Aquila e molti altri centri dell’Abruzzo provocando 309 vittime. I ricordi di quella tragedia sono indelebili e ci accompagnano anche questa sera nella fiaccolata della memoria che torna a svolgersi dopo due anni”.
Lo ha voluto ricordare Giovanni Legnini, commissario alla ricostruzione, aggiungendo che “molta strada è stata percorsa per la ricostruzione grazie all’impegno di tanti, a partire da quello dei cittadini che hanno sofferto e combattuto”.
“Oggi è possibile, dopo il susseguirsi delle emergenze postsisma e pandemica, dare ulteriore impulso, oltre che alla ricostruzione, anche al processo di rigenerazione e rilancio economico e sociale. Ciò sarà possibile grazie ai programmi del fondo complementare al Pnrr che accomunano L’Aquila e gli altri comuni abruzzesi a tutti i territori dell’Appenino centrale colpiti dai terremoti, con un lavoro sinergico tra le governance dei due crateri dei terremoti del 2009 e 2016”.
“Il messaggio di questa commemorazione è la resistenza del popolo aquilano e la speranza di questa comunità che nonostante le sofferenze nonostante la fatica è sempre pronta nel ricordo, nella memoria e anche nel costruire una prospettiva. Abbiamo pagato un prezzo altissimo, nessuno dovrà più pagarlo”.
Sono le parole della deputata Pd Stefania Pezzopane.
“In questi anni abbiamo fatto molte cose importanti utili, e soprattutto abbiamo mandato un messaggio forte al Paese, che è il messaggio della prevenzione sismica e di alcune misure nazionali che nascono proprio da quello che qui abbiamo pensato, ragionato e proposto ovvero, ad esempio, il codice della ricostruzione, che finalmente è in parlamento; il sismabonus un’azione nazionale per mettere in sicurezza e le abitazioni”.
“Insomma, una serie di iniziative che erano necessarie con un ritardo di oltre 30 anni. Noi abbiamo pagato un prezzo amarissimo come lo hanno pagato altre popolazioni, penso al terremoto del 2016 ad Amatrice, e nessuno deve più pagare il prezzo alla superficialità, all’incapacità alla mancanza di visione e previsione”.
“Il ricordo del sisma del 6 aprile 2009 cade in un momento particolare per il nostro Paese e anche per il mondo. Oggi il raccoglimento va all’assenza non più recuperabile delle persone che sono venute a mancare quella notte”.
Parole del consigliere regionale Americo Di Benedetto.
“Un insegnamento che dobbiamo tenere vivo è quello della sicurezza sismica, ma anche della qualità delle relazioni, sul profilo dell’educazione che non deve mai mancare, nella dialettica politica e in generale tra le persone. Il messaggio è quello di non perdere mai la speranza di guardare al futuro con ottimismo nonostante tutto”.
Fiaccole accese all'Emiciclo
L'omelia pronunciata dal Cardinale Petrocchi durante la messa
Stiamo celebrando questa solenne liturgia nella ricorrenza del 13° anniversario del terremoto, che devastò L’Aquila e il suo territorio.
Sappiamo che in ogni celebrazione eucaristica si rende presente la Pasqua di Gesù, cioè, la Sua morte e risurrezione. Questa messa conclude la fiaccolata, che ha visto, ancora una volta, la partecipazione commossa e corale della nostra gente. Non si tratta di una manifestazione solo evocativa e simbolica, ma di una testimonianza di fede, di amore e di speranza.
Non si commemorano soltanto una tragedia sismica e le vittime che ha provocato, ma si testimonia la Vita che non soccombe e si erge indomita: sfida la morte e nel duello esce vittoriosa. L’amore, infatti, ha la meglio sulla morte: non viene meno, non diminuisce col passare degli anni, ma si rafforza ogni giorno di più.
La vostra presenza, carissime Sorelle e Fratelli, attesta efficacemente questo prodigio: è l’amore che ha l’ultima parola. La luce delle torce, del vostro corteo, ha squarciato il buio della notte: questi bagliori anticipano la luce del giorno che scaccia ogni oscurità. Sono profezia del Sole che sorge.
Nel Rito della Pasqua, la Risurrezione di Cristo è annunciata con l’accensione del Cero: la Chiesa proclama la “notte luminosa” in cui è uccisa la morte e trionfa la Vita. Proprio per questo, nelle pagine della storia di persone che si amano, la comparsa della morte non segna mai un “punto e basta”, ma un “punto e a capo”. Il legame che ha unito le persone non è reciso, ma è cambiato e viene “eternizzato”: ciò che “prima” era segnato dalla precarietà del tempo, ora porta il timbro indelebile del “per sempre”. La logica della Pasqua, modifica la grammatica con cui è pensato l’evento della morte: quando si parla di una persona che è passata dal tempo all’eternità, non è giusto dire che “è scomparso”, ma doveroso affermare: “continua ad essere presente”; e l’espressione stridente: “estinto” o “non c’è più”, va sostituita con l’altra: “rimane ancora, anche se in modo diverso”.
Il prefazio, che recitiamo in questa liturgia, dichiara solennemente: “ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”. La morte «non è uno sfacelo che tutto disperde e distrugge, ma un semplice passaggio e un cambiar vita» .
Le vittime del terremoto continuano ad abitare nei nostri pensieri, ed hanno stabile dimora nei nostri cuori. Per questo stasera li nominiamo tutti: uno ad uno. Non si tratta di “necrologio”, ma di un “appello”. Non sono “ex” concittadini e confratelli, ma restano a pieno titolo parte integrante della nostra Comunità ecclesiale e civile. I tocchi delle campane non suonano a morto, ma diffondono la voce della risurrezione.
Oggi, nella nostra preghiera, commemoriamo non solo quanti sono deceduti “sotto” la violenza devastante del sisma, ma anche le altre “vittime”, quelle del “dopo” terremoto: coloro, cioè, che sono deceduti a causa di patologie provocate da “traumi” postumi, connessi al sisma.
Come l’amore più grande è dare la vita per i propri amici (cfr. Gv 15, 13), così il dolore più grande è vedere morire le persone che si amano immensamente. A un genitore che ha perso un figlio non si può chiedere di non soffrire più, ma gli va chiesto di soffrire “bene”, con anima evangelica. La certezza della Pasqua non toglie il dolore su cui è impresso il sigillo del vincolo famigliare: ed è bene che sia così. Perché quel dolore è sacro. Testimonia un amore che sbaraglia morte, perché non si arrende e si spinge in avanti, nell’attesa del ricongiungimento. La separazione, infatti, è solo temporanea: costituisce una “pausa” che prepara l’abbraccio definitivo.
Gesù è disceso nel mare della sofferenza, fino a raggiungere il fondo dell’abisso. Ogni evento doloroso, per quanto grave e drammatico, si colloca a livelli meno profondi del Suo, che ha preso su di Sé tutto il dolore del mondo. In Lui, siamo partecipi gli uni degli altri, perché siamo “membra del Suo corpo” (Ef 5,30). La sofferenza non è più solo “tua” o solo “vostra", ma è “Sua” e perciò “nostra”: è portata insieme, “come” Chiesa, e “nella” Chiesa. La consolazione, che viene dallo Spirito, diventa “con-piangere”, ma anche “con-credere”: conduce a “collegarsi”, per grazia, con il Cielo, pur avanzando nel pellegrinaggio sulla terra.
Come tanti chicchi di grano formano un solo pane, nella mensa eucaristica, così tanti cuori, raccolti in Gesù, il crocifisso risorto, formano una sola offerta al Padre celeste, che assume questo dono fatto-Chiesa e lo colma con l’effusione del Suo Spirito: Spirito di Verità, di Amore, di Unità, di Letizia e di Pace. «È con questa forza divina che gli uomini-di-comunione cooperano a costruire la cultura della solidarietà, della giustizia e della pace: in un parola, la civiltà dell’amore. Inoltre, attraverso questa instancabile e luminosa dedizione, sanno di affrettare (cfr. 2Pt 3,12) la venuta definitiva del Regno, nella certezza che “nulla, anche se imperfetto e provvisorio, di tutto ciò che si può e si deve realizzare mediante lo sforzo solidale di tutti e la grazia divina in un certo momento della storia, per rendere più umana la vita degli uomini, sarà perduto né sarà stato vano”» (SRS, n. 48).
Nel brano del Vangelo, che ci è stato annunciato, Gesù ci consegna una formidabile promessa: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (Gv 8,31-32.36).
Liberi, dunque, qualunque cosa accada; liberi, pure “dentro” il dolore, perché accolto e valorizzato come una “risorsa salvifica”, se viene reso amore. Ecco perché quelli che fanno-Pasqua con Gesù, anche in mezzo alle “fiamme” della tribolazione (come è avvenuto per Azaria e i suoi compagni, secondo il racconto del profeta Daniele), restano “illesi”, cioè non sono “consumati” dalla rabbia o dallo sconforto, e mantengono una “serenità profetica”, perché carica di speranza (cfr. Dn 3,49-50).
Le donne e gli uomini, i giovani e bambini della nostra gente, che hanno visto morire i loro cari, e hanno dovuto lasciare angosciati le loro case distrutte dal terremoto, ben capiscono il dramma dei profughi ucraini costretti dalla furia insensata e omicida della guerra ad abbandonare le loro abitazioni e a cercare rifugio in altre nazioni. In questo dolore lacerante L'Aquila, Città-Martire, si sente Città-Sorella con Kiev, Mariupol, Kharkiv, Bucha, Irpin, Odessa, e con tutti i centri urbani o i villaggi colpiti dalla violenza sacrilega e devastante delle bombe.
Per questo il Popolo aquilano - che ben conosce il patire, ma testimonia anche una tenace volontà di ricostruzione - prega per la pace, unito a Papa Francesco, ai credenti di tutte le confessioni e fedi religiose e agli uomini di buona volontà.
In questi giorni sentiamo parlare, con accenti concitati, di allerta e di mobilitazione bellica: vogliamo rispondere alla brutalità barbara e feroce della guerra con l’“allerta” e la “mobilitazione” della solidarietà e della “com-passione”, creando una stretta catena di accoglienza, di amicizia e di condivisione.
Siamo fiduciosi che dopo la bufera, tornerà a splendere il sole della riconciliazione e della fraternità: più luminoso e caldo di prima. Infatti, scrive Papa Francesco: «è il Risorto che ci dice, con una potenza che ci riempie di immensa fiducia e di fermissima speranza: Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Con Maria avanziamo fiduciosi verso questa promessa (EG 287). E proprio a Maria (che ha vissuto lo strazio di fissare lo sguardo su Gesù crocifisso, ma è anche la prima a gioire per averLo visto risorto) affidiamo tutti i popoli martoriati da conflitti armati: sia Lei - Madre, Maestra e Modello dei Credenti - ad insegnarci l’arte di vivere la storia con la forza trasformante della carità (segno distintivo dei figli di Dio) e a renderci costruttori perseveranti di pace, con la coerenza lungimirante e tenace di cittadini degni del Vangelo (cfr. Fil 1,27).