Negli Stati dell'Unione Europea, dove i cittadini stranieri sono 38,6 milioni e incidono per il 7,5% sulla popolazione complessiva, l'Italia non è nè il paese con il numero più alto di imigrati nè quello che ospita più rifugiati e richiedenti asilo. Con circa cinque milioni di residenti stranieri (un numero pressoché stabile dal 2013), viene dopo la Germania, che ne conta 9,2 milioni, e il Regno Unito, con 6,1 milioni, mentre supera di poco la Francia (4,6 milioni) e la Spagna (4,4).
E' quanto emerge dal Dossier Statistico Immigrazione 2018, presentato questa mattina al Dipartimento di Scienze Umane dell'Università degli Studi dell'Aquila. Realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS, in partenariato con il Centro Studi Confronti e con la collaborazione dell'Unar, il volume raccoglie una vasta e diversificata serie di dati provienienti da archivi amministrativi, ricerche sul campo e indagini qualitative, opportunamente eleborati e correlati da un centinaio di ricercatori e studiosi che hanno contribuito alla stesura del documento giunto alla 28° edizione. Tra loro, anche il professore Luigi Gaffuri, docente di geografia umana e africanista presso il Dipartimento di Scienze Umane dell'Università degli Studi dell'Aquila e tra i componenti del Comitato scientifico Dossier Statistico Immigrazione.
Intervenuto stamattina insieme alla rettrice Paola Inverardi,al direttore del Dipartimento di Scienze Umane Simone Gozzano, al docente di Pedagogia generale e sociale Alessandro Vaccarelli e a Martina Mittenhuber, dell'Università di Norimberga, Gaffuri ha sottolineato la valenza politica dell'inziativa. Il Dossier, attraverso le lezione dei numeri e un'analisi ragionata della realtà, rappresenta infatti uno strumento utile ad inquadrare nella giusta prospettiva il fenomeno migratorio e gli eventi che ad esso si ricollegano.
Inevitabili i riferimenti al contesto politico e alle diverse forme di strumentalizzazione cui il fenomeno è soggetto. A finire nel mirino è stata la retorica ufficiale costruita attraverso le parole delle autorità istituzionali e dei media mainstream, l'ipocrisia e inefficacia delle attuali politiche migratorie, il linguaggio finalizzato bollare ed etichettare più che a facilitare la conoscenza e la comprensione.
"Credo tra i compiti dell'Università -le parole della rettrice Inverardi- ci sia quello dare la verità dei dati scientifici per favorire la comprensione dei fenomeni che ci circondano . Quello migratorio, in particolare, è un fenomeno planetario epocale e irreversibile che poggia su questioni demografiche ineludibili. Le migrazioni non possono e non devono essere 'gestite' come molti dicono, ma comprese scientificamente. Solo così si possono smascherare le politiche della chiusura dei porti, che non significano nulla e dureranno fino al 26 maggio".
Nella sezione del Dossier dedicata al contesto nazionale, sono riportati dati statistici contestualizzati che smontano puntualmente gran parte dei pregiudizi che ruotano attorno al fenomeno migratorio.
Secondo le statistiche dell'Onu, i migranti nel mondo sono 258 milioni. Nel contesto del Pianeta, rappresentano uno scarso 3, 4%. Con riferimento alle migrazioni forzate, quelle di cui si parla più spesso, che derivano da guerre, persecuzioni, invasioni, rivolte o catastrofi naturali, 40 milioni sono profughi interni (non lasciano cioè i confini del proprio stato di origine) e 65 milioni rifugiati. In percentuale, questi ultimi sono circa l1% degli abitanti del pianeta e una parte infinitesima rispetto a quello che è il movimento migratorio. Tutte le persone di cui parlano i media, quelli che attraversano un tratto di mare Mediterraneo, sono cioè uno scarso 1% distribuito, non solo in Italia o in Europa, ma nel mondo.
L'invasione
Analizzando la mappa dei paesi del mondo per numero di rifugiati presenti, l'Italia non c'è. Sono i paesi del Sud del mondo, quelli cioè, che confinano con le aree di crisi che generano i più imponenti flussi migratori, che detengono il primato dell'accoglienza. Basti pensare che un quarto di tutti i profughi del mondo resta in Africa. Trovano accoglienza in paesi poverissimi quali l'Uganda, che da sola riesce ad ospitare 1.350.000 profughi per lo più sudanesi.
In assoluto, il primo paese al mondo per presenza di rifugiati politici è la Turchia che ne ospita 3 milioni, per lo più provenienti dal paese confinante, la Siria. Poi ci sono l'Iran, il Pakistan e il Libano, tutti con circa 1 milione di profughi, paesi che pagano lo scotto delle guerre che si sono verificate a più riprese in Afghanistan e dei conflitti del medio oriente.
Con riferimento al numero complessivo di migranti regolari, cioè quelli con regolare permesso di soggiorno e che si distinguono dai rifugiati che godono di un preciso status giuridico, nel contesto europeo l'Italia, come detto, è il terzo paese per numero di presenze dopo la Germania e il Regno Unito. Contrariamente alla credenza che vorrebbe il paese assediato dagli stranieri, al netto dei movimenti interni il loro numero è stabile intorno ai 5 milioni dal 2013. Inoltre, la loro incidenza, nell'ordine dell'8% sempre dal 2013, aumenta di pochissimi decimali l'anno, soprattutto a causa della diminuizione della popolazione italiana, sempre più anziana (gli ultra65enni sono 1 ogni 4, mentre negli stranieri 1 ogni 25) meno feconda (1,27 figli per donna fertile, contro 1,97% tra le straniere) e tornata a emigrare verso l'estero (quasi 115.000 espatriati ufficiali nel corso del 2017).
Altro pregiudizio da sfatare è quello legato alla paventata 'invasione da parte di africani e musulmani". In Italia, infatti, la più gran parte dei migranti regolari è europea - provenienti soprattutto dalla Romania, Alabnia, Ucraina- e di religione cristiana.
Analizzando, invece, le presenze di richiedenti asilo (compresi quelli ancora privi di titolo formale o la cui domanda è sotto esame) e di titolari di protezione internazionale, secondo le stime dell'Unhcr, esse rappresentano lo 0,6% dell'intera popolazione (354.000 in totale). Mettendo quindi in relazione il numero dei migranti regolari o dei richiedenti asilo o titolari di protezione, con la popolazione residente, lo scarto tra realtà e percezione del fenomeno dei rifugiati risulta evidente.
Perchè allora l'Italia crede di essere invasa? Secondo l'ultima relazione della Commissione parlamentare Jo Cox sulla xenofobia e il razzismo, l'Italia detiene un triste primato: è il paese del mondo con il più alto tasso di disinformazione sull'immigrazione. Non soprende perciò che, sulla base di un sondaggio del 2018 condotto dall'Istituto Cattaneo, gli italiani risultino essere i cittadini europei con la percezione più lontana dalla realtà riguardo al numero di stranieri che vivono nel paese, credendo che ve ne sia più del doppio di quelli effettivamente presenti.
Le rotte migratorie
La stretta sulla rotta del Mediterraneo, dovuta agli accordi del 2017 tra le autorità libiche e l'italia, ha detrminato la drastica riduzione degli sbarchi nel nostro paese. Nel 2018, per effetto delle politiche messe in atto da Minniti, ministro dell'Interno del precedente governo Gentiloni, il flusso di migranti approdati sulle coste italiane può dirsi esaurito, con una diminuizione dell'87, 4% rispetto al 2016.
La radicale diminuizione degli arrivi è stata ottenuta, però, a prezzo di un aumento vertiginoso dei morti in mare. Secondo l'Oim, tra gennaio e settembre 2018, circa 1728 persone hanno perso la vita in tutto il Mediterraneo, di cui 3 su 4 (1260) nella sola rotta tra la Libia e Italia, anche a causa della diminuità capacità di ricerca e soccorso in mare provocata dalla delegittimazione ed esclusione delle navi Ong impegnate in tali operazioni. Una quota sempre più alta di profughi, inoltre, come riportato dalla cronaca più recente, viene intercettata dalla GUardia costiera libica e riportata nei centri di detenzione del paese nordafricano, dove tornano a subire violenze e torture ormai ampiamente documentate.
Integrazione incompiuta
Contrariamente da quanto sostenuto dalle narrazioni più in voga, le migrazioni mostrano uno stretto legame con lo sviluppo umano e costituiscono un'opportunità per le società e per i territori di origine, per i territori di transito e per quelli di approdo. Tutti e tre questi territori ci guadagnano. Come?
In 45 anni la popolazione straniera si è inserita nel tessuto sociale ed economico in modo sempre più strutturale. Circa un milione e mezzo sono diventati cittadini italiani, mentre sono 2.423.000 gli occupati stranieri nel 2017. Questi ultimi, non solo inviano le rimesse nei luoghi di origine mantenendo milioni di persone nei paesi in via di sviluppo, ma pagano le tasse (11,9% del totale dei contributi previdenziali nazionali, 3,3% di irpef e 4% di altre imposte), contribuendo per un 19, 2% al totale delle entrate, l'1,7% cioè del Pil nazionale. In altre parole, i migranti non gravano sull'economia nazionale ma, al contrario, l'alimentano.
Permangono tuttavia problemi di scarsa integrazione o discriminazione in vari ambiti. Ancora si riscontrano, per esempio, disparità nell'accesso a misure assistenziali o a servizi essenziali di welfare, come asili nido, mense scolastiche, i bonus bebè e i sostegni per le famiglie indigenti. Anche nell'accesso al mercato della casa gli stranieri restano particolarmente penalizzati, sia per gli affitti, a cuasa della frequente e dichiarata indisponibilità dei proprietari a locare a stranieri, sia per gli acquisti, a causa delle difficoltà ad ottenere un mutuo.
Ma le disparità più strutturali riguardano il mondo produttivo. Circa i due terzi di tutti gli occupati stranieri svolgono infatti professioni poco qualificate o operaie. Non soprende, quindi, che siano sovraistruiti più di un terzo di essi. La scarsa mobilità professionale degli stranieri, tipica di un mercato rigidamente stratificato come quello italiano, li inchioda poi in una situazione di subordine, che si riflette nel differenziale retributivo: in media, un dipendente italiano guadagna il 25,5% in più rispetto a uno straniero, mentre le donne straniere guadagnano in media il 25,4% in meno dei connazionali maschi.
Niente di tutto questo fa pensare che gli immigrati sinao in competizione con gli italiani per un'occupazione o che rubino lavoro, come pure la retorica dominante continua a proclamare.