"Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito".
Cent’anni di solitudine, una delle opere più significative della letteratura del '900. Uno dei capolavori del romanziere colombiano Gabriel Garcia Màrquez che se ne è andato oggi, 17 aprile, a 87 anni.
Nel 1967 aveva scritto il suo capolavoro, il romanzo che segnò per sempre la storia della narrativa sudamericana. Le vicende della famiglia Buendia nel villaggio di Macondo si intrecciano attraverso i tempi e le generazioni, in un labirinto di emozioni e di realtà che hanno fatto scuola. Oltre ad emozionare centinaia di lettori attraverso le epoche. Così come l’amore che arriva dopo "cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese" per l’impiegato Florentino Ariza. "Ai tempi del colera".
Premio Nobel nel 1982, Márquez era molto malato da tempo: era stato ricoverato in un ospedale di Città del Messico per l'aggravarsi di una polmonite, le sue condizioni erano peggiorate nelle ultime ore, come avevano riportato molti media messicani e internazionali. Lascia un vuoto incolmabile.
"Ho imparato che un uomo ha diritto di guardarne un altro dall’alto in basso solamente quando deve aiutarlo ad alzarsi", disse una volta. Buon viaggio, Gabo!